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Il genocidio siriano

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 05/04/17

Un libro del vaticanista esperto di Medio Oriente Riccardo Cristiano, ci guida nel dramma che si svolge dall'altra parte del Mediterraneo

Le notizie sulla Siria trovano sempre un difficile riscontro. Oltre alla guerra per il controllo del territorio si svolge, per lo più in Occidente, una altrettanto drammatica guerra per la scoperta della verità. Chi sono i carnefici della Siria? Assad e il suo alleato Putin? L’Isis e i gruppi jihadisti? Senza volerci esimere dal cercare di ricostruire questo dato, possiamo dire con assoluta certezza chi sono le vittime: i siriani. Di ogni religione e credo politico. Di ogni età e sesso. Dei siriani, morti a centinaia di migliaia o fuggiti dalle loro case a milioni, interessa ben poco se non per fare propaganda. Ecco che – da questo punto di vista – il libro di Riccardo CristianoSiria. L’ultimo genocidio” (edito da Castelvecchi) permette di assumere questo punto di vista, quello delle vittime.




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In queste ore si torna a parlare di attacchi con armi chimiche. Al momento possiamo dire, con i dati raccolti da Riccardo Cristiano, che:

Le Nazioni Unite poi hanno ricevuto denuncia dei seguenti “incidenti” chimici: Salquin -17 Ottobre 2012; Homs -23 Dicembre 2012; Darayya -13 Marzo 2013; Otaybah -19 Marzo 2013; Khan el-Asal-19 Marzo 2013; Adra -24 Marzo 2013; Darayya -25 Aprile 2013; Saraqueb -29 Aprile 2013; Sheik Maqsood -13 Aprile 2013; Jobar -12-14 Aprile 2013; Qasr Abu Samrah -14 Maggio 2013; Adra -23 Maggio 2013; Ghouta, 21 Agosto 2013; Bahhariyeh- 22 Agosto 2013; Jobar – 24 Agosto 2013; Ashrafiah Sahnaya- 25 Agosto 2013. Le responsabilità accertate dicono che due “incidenti” sono stati provocati dall’esercito siriano, uno dall’Isis. Secondo un rapporto del network siriano per i diritti umani, sarebbero invece 139 gli attacchi chimici compiuti, prima della conquista di Aleppo, dal giorno dell’attacco alla capitale nella Ghouta orientale: 136 sarebbero stati compiuti dal governo di Damasco e 3 dall’Isis.

Nel calderone siriano i morti sono innumerevoli, la maggior parte dei quali non saranno mai identificati e di quasi nessuno si saprà dire chi ne è il responsabile:

Allo stato attuale non meno di 470 mila persone sono morte in Siria delle quali 55.000 sono bambini. Delle 16.913 vittime civili identificate soltanto nel corso del 2016 – e l’identificazione non è impresa da poco in quel mattatoio che è la Siria –, 8.736 sono state uccise dall’esercito regolare siriano, 3.967 dall’aviazione russa, 1.528 dai jihadisti dell’Isis e della sigla che aveva dato la propria fedeltà ad al-Qaida (l’ex al-Nusra), 1.048 dai gruppi armati dell’opposizione siriana, 951 da varie formazioni armate, 537 dalle forze della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, 146 dai gruppi armati curdi.

Ma più che i numeri, importanti e crudeli, è la ricostruzione delle motivazioni che hanno portato alla guerra civile in Siria a partire dal 2011. Un moto democratico della società siriana interrotto nel sangue da parte del regime siriano e nel caos che si è innescato hanno trovato facile accesso i gruppi del fondamentalismo di ispirazione salafitae wahabita che vedono negli sciiti degli eretici da combattere.




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E proprio la paura che tutti i sunniti siriani possano essere – in potenza – la quinta colonna dei sauditi che induce ad una reazione scomposta e radicale supportata dall’Iran (e da Hezbollah) che teme l’isolamento geografico. La Siria è saldamente in mano ad una minoranza di fede alawita, vicina allo sciismo di Teheran. In questo quadro di tutti contro tutti, che avviene la radicalizzazione del conflitto e dove il fanatismo jihadista trova una popolazione devastata dai raid prima solo siriani poi anche russi e occidentali. La questione è quella che al centro c’è una popolazione martirizzata e oggetto di un genocidio, costretta ad un esodo che non si vedeva probabilmente dagli analoghi del secolo scorso quando ad essere martirizzati furono gli armeni e gli ebrei.




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L’unica istituzione che prova a trovare una soluzione è la Chiesa Cattolica, ricordiamo l’appello di digiuno e preghiera nel 2013 per sventare i bombardamenti in Siria e la ripresa del dialogo. Funzionò solo parzialmente, ma l’impegno e la comprensione dell’esplosività della situazione siriana da parte della Santa Sede e della sua diplomazia è innegabile, ancora di più dell’urgenza di una pace condivisa. Papa Francesco ha chiara la necessità di una riapertua del dialogo, ma è l’unico attore a spingere in questa direzione, gli altri pensano solo in termini di dominio. In mezzo, di nuovo, gli innocenti e – in questo caso – le comunità cristiane locali, minoranza della minoranza nei paesi islamici.

La responsabilità occidentale è quella – secondo l’autore del libro – è quella di voler negare quanto sta accadendo in Medio Oriente, misconoscendo i tentativi di cambiamento nei regimi arabi a favore di una lettura ideologizzata che non è disposta a vedere le responsabilità di tiranni come Saddam Hussein o quelli della famiglia Assad nello sterminio selettivo di fette della popolazione dei rispettivi paesi, e che oggi non vede – nel genocidio siriano – il tentativo di esportare la rivoluzione iraniana fino al Mediterraneo.

In tutto questo l’assenza dell’Occidente, la sua scarsa capacità di accoglienza nei confronti degli sfollati e l’ipocrisia con cui tratta una delle peggiori crisi umanitarie dell’epoca contemporanea.

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