Cosa ci manca, Anna?
Accade qualcosa che segna irrimediabilmente una vita e ne cambia tantissime altre. Nel 1980 nasce a Padova una bambina, Anna, ma un'asfissia da parto le 'cancella' metà cervello. A pensarci bene, è un caso che potrebbe chiudere un'intera famiglia nella gabbia del risentimento contro un destino crudele. Le è mancata l'aria, e ciò l'ha resa una creatura gravemente impedita nelle funzioni anche più semplici, incapace di qualsiasi autonomia. Ma non incapace di essere.
Che aria ci manca, davvero? Qual è il vero ossigeno della vita? Il padre di Anna, Mario Dupuis, ha raccontato in un libro (Il mistero di Anna, ed. Itaca) l'inaspettato respiro di vita che si è generato da una bambina che si farebbe presto a definire scarto. E taluni sarebbero pronti a insegnarci che dovrebbe essere pietà sopprimere chi come Anna ha una vita che non è vita. La replica al boato di un pensiero ridotto e disperato è nella storia che ha come pietra angolare questa bambina che in 15 anni ha messo tutto a soqquadro, facendo quasi niente.
Il corpo bisognoso del mondo
Dalle parole appena riportate s'intuisce che la famiglia Dupuis è cresciuta nell'ambito dell'esperienza di Comunione e Liberazione. E come scrive Mario, non basta essere cristiani per avere subito chiaro come trattare una figlia gravemente disabile, men che meno è chiaro il piano provvidenziale di Dio attraverso quella presenza.
Facciamo un brusco salto in avanti di 15 anni. Lo stesso padre, che aveva questa coscienza di limite di fronte alla figlia, arriva a dire nel giorno del funerale di Anna (9 febbraio 1995):
Che mai è accaduto nel mezzo? Di sicuro il cambiamento di sguardo non è nato da un tuffo nell'esercizio di un virtuoso, muscolare e pietoso assistenzialismo. Mario Dupuis e sua moglie e gli amici che erano loro accanto si sono messi a respirare come Anna, grazie allo sguardo che Don Giussani mostrava verso quella bambina. E respirare in questo caso significa sorprendersi di quanto sia feconda la nostra dipendenza da Dio, quel cordone ombelicale che ci tira fuori dal pantano delle riduzioni. Anna dipendeva in tutto e per tutto da chi la curava, mostrando proprio a loro, per primi, che tutti siamo come lei. Ce lo dimentichiamo, ma siamo innestati nella cura che Dio ha per noi in ogni istante.
Nel mezzo, dunque, è accaduta una rivoluzione copernicana. La fragilità estrema di Anna non esigeva l'atteggiamento di chi si chiede "Cosa posso fare per lei?", ma la domanda ben più radicale "Chi è lei per me?". Conclusa la parte terrena della sua vita, questa ragazza così apparentemente inerte ha lasciato la sua famiglia sulla soglia di una grande avventura. Continuare ad accogliere chi è nel bisogno.
Ca' Edimar
Edimar era un ragazzino brasiliano, un teppistello delle favelas. L'incontro con un'insegnante cristiana gli cambiò la vita radicalmente. Scoprendo da lei il valore unico della sua persona, compì un gesto eroico. Si rifiutò di eseguire gli ordini del suo capobanda (che gli aveva chiesto di ammazzare qualcuno) e per questo fu ucciso.
Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Un paradosso capace di esplodere di senso quando diventa realtà. Edimar e Anna sono parte di quel popolo silenzioso che dà la vita, e così facendo la trova. E la fa trovare agli altri. Un'ipotesi folle e operosa è nata dalla morte di Anna e ha preso il nome di Edimar. Un gruppo di famiglie si è messo a disposizione del bisogno di altri corpi feriti - e anche anime. Da questa accoglienza è nata l'opera Ca' Edimar. Mario Dupuis insieme a una comunità di amici sempre più ampia ne ha piantato il seme a Padova, ormai 25 anni fa.
La vita che non si vive da soli
Mamme sole, minori complicati, casi ingestibili. Sono addirittura centinaia i giovani che hanno passato un tempo di accoglienza a Ca' Edimar. Occasioni di lavoro e di crescita sono state offerte loro, e si potrebbe redigere un bilancio. Qualcosa come il prima e dopo di certe trasmissioni. Ma la logica del bilancio e i report sul prodotto tradiscono il cuore di quest'esperienza. Paradossalmente, un ragazzo difficile potrebbe rimanere un ragazzo difficile, ma che ha conosciuto e accolto la verità di sentirsi amato. Qual è la posta in gioco, dunque?
Leggendo la storia di Anna e quel che è nato dopo la sua morte, si fa i conti con questo. Ci sono parti di noi che non sappiamo vivere da soli. Tendenzialmente sono le più fondamentali. Anna era dipendente in tutto, un ritratto brutalmente onesto dell'umano. Noi siamo altrettanto dipendenti, senza legami non c'è una coscienza autentica di sé. Gesù ci ha lasciato una compagnia di amici, perché non fossimo soli sui tanti 'tram' che prendiamo ogni giorno e su cui c'imbattiamo nelle tentazioni dei nostri molti tradimenti.