In quale scaffale va riposto un libro sulla famiglia scritto da un padre di 7 figli? In una biblioteca moderna finirà di sicuro nella sezione "misteri del cosmo profondo" o "animali estinti". Da quanto vedo, Marcello Belletti non assomiglia a un T-Rex, posso invece benissimo immaginarlo come un simpatico colonizzatore di pianeti sperduti e solitari. E la Terra sta diventando un pianeta di solitari. Che forse ha bisogno di una rinnovata colonizzazione.
Ad esempio, siamo recidivi con le etichette e chiameremmo quella che Marcello e sua moglie Emanuela hanno messo in piedi una famiglia numerosa (aggiungendo a bassa voce "sono dei pazzi"). Il titolo che questo padre dà alla sua storia è Sovrabbondanza (ed Ancora). E sposta il centro della discussione dai meri numeri - e calcoli - al territorio molto alieno della gratitudine.
Un libro, scritto da un padre, sulla famiglia. La cosa si fa interessante. Ho letto Sovrabbondanza di lunedì sera nel parcheggio fuori dalla palestra dove la mia figlia minore fa ginnastica artistica. Lì dove s'incrociano madri di corsa, padri in tuta da lavoro che sistemano body con le paillettes, nonni che non stanno al passo entusiasta delle nipotine. Eccoci qua, siamo già esauriti ed è solo lunedì - penso.
Ma chi ce lo fa fare di mettere su famiglia? Qualunque formato abbia, genera un putiferio incredibile. Ho letto tanti libri scritti da mamme eccellenti sulla famiglia, le ringrazio tutte di aver dato voce alla mia emotività convulsa. E ora ringrazio - nero su bianco - Marcello Belletti di aver dato voce alla versione maschile della storia. È un po' come sbirciare nel lato oscuro della Luna, inoltrarsi nelle giornate e nei pensieri di un padre spericolato e ironico in mezzo a una banda di figli di ogni età.
C'è spazio e si respira a pieni polmoni nell'appartamento sovraffollato dei Belletti, è più accogliente di certi articoli in cui ti assicurano che puoi diventare un genitore bravo e rilassato in 10 semplici mosse. E' comoda la Seat Marbella nera da 150.000 Km di un papà che ritrova la via di casa ogni giorno, più di certe Tesla che accellerano e fuggono a tutta velocità dalla sfida di una promessa eterna di amore.
Ricordo la prima notte in ospedale quando nacque la nostra terza figlia. Mi assalì la disperazione di non farcela di fronte alla banale evidenza che da quel momento il numero dei figli superava quello di noi genitori. Era una crisi reale, capace di scombussolare la testa e le viscere. Mi è tornata in mente quando sono arrivata al brano più scabroso del libro di Marcello. Lui, padre cattolico con ancora solo due figli all'attivo, racconta il suo lavoro in una grande agenzia di promozione pubblicitaria, in cui veniva squadrato come animale raro. E poi arriva la notizia grossa, sua moglie di nuovo incinta: gemelle.
Qui i conti saltano sul serio. Essere aperti alla vita non significa passare a cuor leggero sull'incognita che è accogliere un disegno che trabocca di vita e di fatiche. Eppure in quel caso Marcello racconta di aver fatto un'enorme follia: si licenzia. Se ne va dal posto fisso e sicuro, nel momento meno opportuno. Comincia la strada di un'impresa in proprio. Un rischio eccessivo? Forse. Un temerario spregiudicato? Non esattamente.
E' assolutamente virile questa audacia che fa un passo oltre la gamba. E' Abramo che sale la collina sapendo di dover sacrificare Isacco. Un uomo messo in crisi, sì, ma non al modo attuale per cui tutti vanno in crisi anche di fronte a 50 tipi di capsule Nespresso. La vera crisi non è quella di chi non sa scegliere di fronte a troppe variabili, ma quella di chi dice sì a un Bene che ha un volto, anche se non sai dove ti porterà. Il passo oltre la gamba fatto da Marcello non è per rifugiarsi nel regno dei propri sogni, ma per abitare nel campo dove Dio semina, miete e raccoglie. Ed è un contadino che pota e dissoda con vigore.
Quella famosa notte in cui io andai in crisi tenendo in braccio la terza figlia appena nata, mio marito dormiva sereno accanto a me in una scomodissima poltrona reclinabile dell'ospedale. Abbiamo bisogno di guardare i padri, noi madri. E' benedetto che esista questo lato (a noi) oscuro della Luna familiare. Non mi stupisco di aver sentito l'eco della voce di mio marito dietro ogni pagina del libro di Marcello Belletti. Forse non sono neppure simili come caratteri, eppure sono padri. I bagni sempre senza carta igienica, raccontati dalla voce maschile, sono luoghi in cui scappano parolacce, ma sono meno apocalittici di quello che l'occhio femminile coglierebbe.
Ancora più spudorato è sentire il racconto della fede domestica dal punto di vista maschile, capace di una indicibile tenerezza.
Avremmo mai scommesso che in una famiglia sovrabbondante ci fosse tempo per il rosario? Quante volte ci scappa di detto: "Non ho tempo neanche per andare in bagno". Il tempo e lo spazio si trova. Anche quando ci sono tavole da sparecchiare, divani pieni di vestiti da riporre, rubinetti rotti da aggiustare. Fare spazio a un tempo che non è in mano nostra, è questa l'ipotesi di sovrabbondanza che custodirò dopo questa lettura. E non c'è posto migliore del balcone per un padre e una madre che pregano. Spinti fuori da casa, una casa che trabocca di presenze. Spinti fuori dalle stanze strette dei propri egoismi, ed esposti all'aria fresca della realtà.
Il balcone è un pezzo di cemento sospeso nel vuoto. Pregare è scommettere più sulla Roccia di Dio che sulle leggi dell'ingegneria umana. E anche la famiglia ha a che fare con questo. I nostri figli si addormentano sereni, si abbandonano a noi, non perché siamo genitori capaci, che hanno fatto per bene il loro dovere, ma quando ci vedono indaffarati a difendere un'ipotesi di vita per cui vale la pena spendersi. Esaurirsi, anche.