Il pianto, le lacrime. Per Papa Francesco ce ne sono di sette "tipologie". E le richiama spesso durante i suoi interventi. E tutto rappresentano fuorché un segnale di debolezza, come spiega don Luca Saraceno in "La saggezza delle lacrime - Papa Francesco e il significato del pianto" (Edizioni Dehoniane Bologna).
Il pianto ha un molteplice significato, difficilmente circoscrivibile entro i confini di un unico campo, così come sostiene lo stesso papa Francesco: «Tutti noi, nella nostra vita, abbiamo sentito la gioia, la tristezza, il dolore, ma nei momenti più oscuri, abbiamo pianto? Abbiamo avuto quella bontà delle lacrime che preparano gli occhi per guardare, per vedere il Signore? [...] È una bella grazia. Piangere per tutto: per il bene, per i nostri peccati, per le grazie, per la gioia, anche».
Ecco quindi che è possibile individuare una sorta di "settenario delle lacrime”, sette declinazioni del pianto. Sette genitivi che, spiega Saraceno, mentre interpretano il segno delle lacrime, ci introducono nel cammino di conoscenza del mistero di Dio, della Chiesa e dell’uomo.
Appena dieci giorni dopo la sua elezione, papa Francesco per la prima volta parlava delle lacrime durante la sua meditazione quotidiana dall’ambone della cappella di Santa Marta: «Gesù è morto per il suo popolo ed è morto per tutti. Ma questo non va inteso nel senso della globalità: vuol dire che Gesù è morto per ciascun uomo singolarmente. Ogni cristiano deve dunque dire: “Cristo è morto per me”. È questa la massima espressione dell’amore di Gesù per ogni uomo. E dalla consapevolezza di questo amore dovrebbe nascere un grazie. Un grazie talmente profondo e appassionato che potrebbe anche trasformarsi in lacrime di gioia sul volto di ogni fedele».
Nella santità di Pietro, figura evangelica assai cara a papa Francesco, viene rintracciata la presenza delle lacrime come segno di un sincero pentimento: «Quello sguardo di Gesù, tanto bello, tanto bello! E Pietro piange. Questa è la storia degli incontri durante i quali Gesù plasma nell’amore l’anima dell’apostolo. Quell’amore per il quale Pietro piange quando Gesù, in un altro incontro, gli chiede per tre volte: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. Ogni volta che Gesù ripete questa domanda, a Pietro torna in mente che lo ha rinnegato, che ha detto di non conoscerlo e si vergogna».
Le lacrime di gioia come quelle di dolore, di ansia come di speranza nascono tutte dal grembo dell’amore: sono figlie di un cuore che desidera e spera solo il bene di colui che si ama. Le mamme questo lo sanno bene! Se una mamma piange lo fa quasi sempre per la sorte dei propri figli. Le loro sono lacrime inquiete frutto del profondo amore che esse nutrono per le loro creature.
Nelle Confessioni leggiamo questa frase che un vescovo disse a santa Monica, la quale chiedeva di aiutare suo figlio a ritrovare la strada della fede: “Non è possibile che un figlio di tante lacrime perisca” (III,12,21). Lo stesso Agostino, dopo la conversione, rivolgendosi a Dio, scrive: “per amore mio piangeva innanzi a te mia madre, tutta fedele, versando più lacrime di quante ne versino mai le madri alla morte fisica dei figli” (III,11,19).
Una Chiesa che sa piangere e pregare, far crescere i suoi figli e accompagnarli all’incontro con lo Sposo, una Chiesa che, nella sinfonia (cf. Mt 18,19) di un pianto silenzioso, sostiene, cura, corregge e incoraggia, è la madre di cui sentiamo tutti particolarmente il bisogno e che sapientemente papa Francesco non ha smesso di presentare e ricordare al mondo, anche attraverso le pagine della sua prima esortazione apostolica Evangelii gaudium: la Chiesa è «una madre dal cuore aperto», il nostro alleato più fedele e sempre presente.
Gesù non è insensibile al pianto dell’uomo. Il pianto, che sempre nasce dal cuore, in questo caso inzuppato di dolore, arriva diritto al cuore di chi vede, suscitando la sua divina e umana compassione. E la compassione di Dio, provocata dal pianto dell’uomo, ordina a lui la sospensione delle lacrime, intervenendo prontamente con verbi di delicata e ferma carità: guardare, avvicinarsi, toccare, parlare e restituire. Le lacrime di passione suscitano la compassione, unica in grado di asciugare il pianto e di ridare vita perduta.
Il papa torna spesso sul tema della consolazione (sono circa 70 le volte in cui ne ha fatto menzione dall’inizio del suo pontificato), guardandosi bene dal confonderla con un ridente gaudio mondano: la consolazione di Dio nasce dall’amore che giunge a compimento solo nella misura di una piena e vera offerta di sé, nasce dall’attraversamento delle lacrime. «“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Mt 5,4).
La consolazione ricevuta non fa dimenticare la sofferenza provata: la custodisce come il ricordo di un incontro con il Tu di salvezza, come la possibilità compiuta di una fremente attesa, come la condizione di vuoto che ha reso possibile la dolce pienezza di una buona misura, pigiata, scossa e traboccante versata nel grembo... la consolazione è come cicatrice che segna la storia della pelle: ricorda la coesistenza di una ferita sanguinante e di una guarigione ottenuta.
L’evangelica beatitudine delle lacrime, viene ricordata da papa Francesco nell’incontro con gli uomini e le donne dei centri volontari della sofferenza: «Vorrei ricordare con voi una delle Beatitudini: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Mt 5,4). Con questa parola profetica Gesù si riferisce a una condizione della vita terrena che non manca a nessuno. C’è chi piange perché non ha salute, chi piange perché è solo o incompreso... I motivi della sofferenza sono tanti».
Le lacrime diventano beate perché anche la beatitudine si alimenta della linfa vitale delle lacrime. Il dolore, per il cristiano soprattutto, non è mai il traguardo finale di se stesso: la sofferenza è tensione d’offerta per l’amore che «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7).