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Dopo aver letto questo articolo non potrete più trattenere le lacrime …

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Edifa - pubblicato il 19/02/20

Nella nostra società le lacrime sono spesso interpretate come una forma di vulnerabilità, mentre la forza, l'autocontrollo o l'impassibilità sono considerate delle qualità. E se tutto ciò non fosse vero?

di Christine Ponsard

Nella Bibbia si piange molto: lacrime di lutto, di pentimento, di emozione e di gioia. Anna piange il fatto di non avere figli (1 Sam 1, 10). Davide sale il Monte degli Ulivi in lacrime, tradito dal figlio Assalonne (2 Sam 15, 30). Ma anche Giuseppe, sconvolto per il ricongiungimento con i suoi fratelli dopo anni di esilio (Gen 42, 24). Sara, la futura moglie di Tobia, disperata per le calunnie di una serva (Tb 3,10). Maria Maddalena, le cui lacrime di contrizione si sono sparse sui piedi di Gesù (Lc 7, 38). Pietro, piange amaramente la sua triplice negazione (Lc 22, 62). Paolo scrive ai Corinzi “tra molte lacrime” per dire loro il suo affetto (2 Cor 2, 4) e tanti altri. Anche Gesù stesso piange su Gerusalemme (Lc 19, 41) e viene preso da compassione davanti al sepolcro del Suo amico Lazzaro (Gv 11, 35). “Beati quelli che piangono”, dice la terza Beatitudine (Mt 5, 5). Allora perché alcuni si negano così spesso la possibilità di piangere?

La speranza cristiana non nega la tristezza
Non piangiamo perché non ci piace rivelare la nostra debolezza ed inoltre ci è sempre stato detto: “Non si piange in pubblico”. Non vogliamo mostrare ciò che sentiamo veramente o per paura di far pena agli altri e di aumentare il loro dolore, o “perché ci sono persone ben più infelici di noi! “, non vogliamo infastidirli e far sembrare di ostentare le nostre difficoltà. Si crede che le lacrime siano incompatibili con la speranza cristiana: sant’Agostino scriveva a proposito della morte “Non piangere se mi ami”. Purtroppo si, la morte è triste, come tanti altri eventi che ci straziano il cuore. Certo, la Speranza cristiana è più forte della tristezza, ma non la nega. La Pasqua non cancella il Venerdì Santo! La certezza di essere amati da Dio e la gioia che ne deriva, non ci impedisce di soffrire per le separazioni, i fallimenti e i lutti di ogni tipo, di provare compassione per le sofferenze degli altri. Al contrario! L’amore rende vulnerabili; l’intimità con Dio non blinda il cuore, ma ne affina la sensibilità. La speranza non ci rende degli esseri disumani, distaccati e al di sopra dei dolori che colpiscono l’uomo comune: più ci lasciamo rivestire della forza dello Spirito Santo, meno abbiamo paura di lasciarci toccare da ciò che ci fa male.

Perché non dobbiamo trattenere le lacrime
Se il Signore ci ha dato la capacità di piangere, è per usarla. Non c’è niente di peggio di un dolore tenuto dentro, che non riesce ad esprimersi con le lacrime, non c’è niente di più difficile che intuire il dolore di una persona cara e vederla tacere e chiudere il cuore per non mostrare la sua pena. Il pianto non è un segno di mancanza di speranza, a condizione di non ci chiuderci nel dolore, di non “ripiegarci sulla nostra tristezza”, di non confondere il piangere con il piagnucolare, di saper asciugare le lacrime e di non utilizzarle per manipolare i nostri cari (“Vedi come mi rendi infelice!”). Piangere è un segno di vulnerabilità? Sì, e tanto meglio! Ci ricorda che siamo poveri e piccoli, che abbiamo bisogno di Dio e dei nostri fratelli e sorelle. “Non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime”, scriveva Charles Dickens, “perché sono una pioggia che toglie la polvere che copre i nostri cuori induriti.”.

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