Jorginho aveva un sogno nel cassetto: diventare un calciatore famoso, e per realizzarlo iniziò la sua carriera in Italia…in un monastero. Proprio così!
A raccontarlo a La Gazzetta dello Sport (8 luglio) Riccardo Prisciantelli, ex d.s. del Verona calcio, il club in cui il giocatore oriundo della Nazionale italiana ha iniziato la carriera.
Jorginho, nato e cresciuto nella città brasiliana di Imbituba, arriva a Verona per il provino con gli altri piccoli brasiliani. Palla al piede impressiona tutti: «Stavo arrivando al campo, mi chiama il massaggiatore perché aveva visto il giovane palleggiare. Era estasiato». Il ragazzino convince, ma il club gialloblù è nelle retrovie della Serie C pronto al cambio di proprietà.
Tesserare nuovi giocatori è complicato, i problemi con il passaporto fanno il resto: «Lo portavamo agli allenamenti e alle partite della Berretti (le giovanili ndr). Ci è voluto molto tempo prima che riuscissimo a tesserarlo. Era quasi un infiltrato, non poteva vivere in convitto con i compagni. Lo affidai a una comunità di preti per dargli un letto e un pasto caldo».
Jorginho aveva solo 15 anni e il sogno nel cassetto - cioè diventare un calciatore famoso - passava per un periodo di sacrificio in monastero. Trascorreva le giornate tra allenamenti e il supporto dei frati, poiché la famiglia, che comunque era povera, non poteva muoversi dal Brasile.
«Ai monaci - racconta Prisciantelli - facevo delle offerte. Al ragazzo regalavo 20 o 50 euro quando potevo. Faceva lo stesso Rafael, il portiere brasiliano della prima squadra. Era l’unico modo che avevo per permettergli di studiare, imparare la lingua e giocare».
Jorginho ha un buon ricordo dell’esperienza in monastero., come spiega in una intervista al Corriere dello Sport (9 luglio). «Eravamo in sei in una stanzetta. Le persone però ci trattavano in modo straordinario, si sono presi cura di noi e il cibo era incredibile».
Il problema era però economico, poiché le 20 euro alla settimana con cui veniva pagato, erano una miseria. «Ho chiamato mia madre piangendo, dicendo che volevo tornare a casa e rinunciare al calcio - rivela Jorgihno - I miei genitori mi avevano sempre detto che la vita calcistica è dura e che ci sarebbero state persone orribili di cui non mi sarei potuto fidare ma in quel momento ho detto a mia madre che non volevo più vivere in questo modo».
Lei rifiuta: «Mi ha impedito di mollare e tornare a casa - racconta Jorginho - Mi ha detto: 'Hai passato così tanto, hai vissuto mangiando lo stesso cibo per giorni, senza acqua calda e ora, a causa dei soldi, vuoi rinunciare? Ti stai allenando con la prima squadra e vuoi mollare? Non te lo permetterò». La storia dimostra che aveva ragione lei.