Adesso si che si può parlare di “Veleno”, come il titolo del podcast di Pablo Trincia, che ha spopolato raccontando i falsi misfatti dell’inchiesta sui "Diavoli della Bassa Modenese": quella storia, infatti, si è poggiata su una clamorosa invenzione di uno dei bambini, a cui hanno fatto seguite le suggestioni fantasiose degli altri coetanei. Sostenevano di essere stati abusati, di aver subito riti satanici. Con la regia di un sacerdote, poi morto di crepacuore: Don Giorgio Govoni. Era lui che, a detta loro, orchestrava, questo presunto film dell’orrore che si svolgeva ventitré anni fa, tra Mirandola e Finale Emilia.
Dopo le inchieste giudiziarie che prima ha confermato (in primo grado) e poi smentito (in Appello) la veridicità dell’inchiesta, è arrivata la confessione choc di Davide, oggi 31 anno, testimone “zero” del processo. Che a La Repubblica (13 giugno) ha spiegato come sono realmente andate le cose.
Davide (che viene chiamato ‘Dario' nell'inchiesta) era un bambino dato in affido a un’altra famiglia perché, dice: "i miei genitori erano poveri", ma di frequente il bambino tornava dalla sua famiglia naturale, come prevedeva la prassi:
Davide prosegue:
Ai suoi racconti, evidenzia Fan Page, si sono poi aggiunti quelli degli altri bambini che hanno allargato le accuse ad altre persone. "Mi dicevano che ero coraggioso" nell’aver salvato tutti quei bambini dalle loro famiglie: "Ma io non avevo salvato proprio nessuno. Mi sono sentito morire dentro”.
Sulla scorta delle indagini sedici minori furono allontanati dalle rispettive famiglie e affidati dai servizi sociali ad altri nuclei familiari. Il processo però concluse che non vi furono riti satanici, né molestie e tanto meno omicidi. Secondo l’ipotesi accolta dal tribunale gli interrogatori avevano inculcato nei bimbi delle false memorie, portando a un “falso ricordo collettivo“ (Aleteia, 26 maggio).
Fu troppo “veleno” per il presunto “capo”, Don Giorgio Govoni, che ebbe la condanna nel 2000 in primo grado a 14 anni. il suo cuore non resse: il 14 maggio 2000 un infarto lo ha stroncato. Poi, però, quella condanna fu rovesciata, fino all’assoluzione post mortem della Corte d’Appello di Bologna. Troppo tardi.
«Davide non fa che confermare quello che noi abbiamo sostenuto», dichiara il giornalista Pablo Trincia a Open (14 giugno), interpellato a seguito dell’intervista apparsa su La Repubblica del cosiddetto "testimone zero".
Trincia racconta che aveva parlato la prima volta con il giovane cinque anni fa, ma la madre affidataria avrebbe fatto pressioni per interrompere ogni dialogo con il giornalista: «Gli aveva messo addosso la paura di noi, quindi non lo abbiamo più visto. Alcuni mesi fa si era rifatto vivo con me riconfermando il tutto e aggiungendo ulteriori dettagli che non conoscevo». Un incontro testimoniato da una foto pubblicata dal profilo Facebook del giornalista del 25 maggio 2021, dove scrive: «Sono fiero di poter dire che è un mio amico».