Ho conosciuto Gianna Emanuela Molla alla Marcia per la Vita del 22 maggio scorso. Mi ha emozionato incontrare di persona la quarta figlia di Santa Gianna Beretta Molla, morta dopo averle donato la vita.
Nell’agosto del 1961 Gianna vive l’immensa felicità di una nuova gravidanza ma al contempo una grande preoccupazione: un grosso fibroma a fianco dell’utero. La coraggiosa mamma sceglie di rimuovere il fibroma senza danneggiare la figlia, mettendo in serio pericolo la sua vita. Si raccomanda al chirurgo: “Prima salviamo il bambino!”. L’intervento va bene ma lei poco prima del parto confida al marito, consapevole della gravità della situazione, le sua volontà: “(…) Se si dovrà decidere tra me e il bambino, decidete per il bambino, non per me”.
Il venerdì santo del 1962 comincia la passione di Gianna e il sabato nasce la sua bambina Gianna Emanuela. La donna colpita da una inarrestabile peritonite accoglie le sofferenze continuando a baciare il crocifisso e ricevendo l’Eucaristia. Il sabato dopo Pasqua, provata da sofferenze inaudite – che le facevano invocare con ancora più forza la Madonna affinché la portasse in cielo – muore.
Con questa storia impressa nella mente, mi sono fatta largo tra le persone grazie al mio pancione (sono in attesa, anzi, quasi in procinto di partorire la mia terza bambina) per salutare Gianna Emanuela e parlare qualche minuto con lei.
Mi ha colpito immediatamente il suo golfino color fragola, il viso allegro, l'espressione di sorpresa nello sguardo quasi spaurito, ma soprattutto il tono della voce, sottile e fiabesco.
Nell'emozione di quegli istanti mi sono dimenticata di raccontarle che ho sentito per la prima volta parlare di sua mamma in un confessionale ad Assisi il 15 marzo 2014. Il sacerdote prima dell’assoluzione mi disse - porgendomi l'immaginetta - di pregare Santa Gianna Beretta Molla per ricevere la grazia della maternità. Son certa che anche la santa dottoressa avrà interceduto per me e mio marito per il dono di diventare genitori, avvenuto poi nel 2018.
Come il frate francescano, anche Gianna Emanuela quel sabato alla Marcia per la Vita, senza che io glielo avessi chiesto, subito dopo avermi chiesto della gravidanza, si è abbassata a cercare nella borsa il santino di sua mamma e me lo ha donato con grande bene.
Quando le ho chiesto però se avesse voglia di raccontarmi la sua storia, di fare una sorta di intervista, mi ha risposto di no. Schiettamente. Quasi facendomi ridere. Specificando che ha un rapporto difficile con la stampa. Perciò ha preferito inviarmi la sua testimonianza...
Le sono molto grata di questo dono! Sono certa che le sue parole regaleranno un po' di nostalgia di Cielo anche ai più lontani.
Prima di tutto, come faccio ogni mattina quando mi sveglio e apro gli occhi, ringrazio il Signore, la Vergine Maria che ha fatto incontrare i cuori di Mamma e Papà, la mia amatissima e Santa Mamma e il mio amatissimo Papà, veramente suo degnissimo sposo, per il dono della vita, che è davvero tutto, io posso ben dirlo, non sarei qui adesso se non fossi stata amata così tanto! Il dono della vita è davvero il dono più grande, più prezioso e più sacro, che si è sempre in dovere di onorare, di rispettare e di difendere.
Ho pensato di iniziare la mia testimonianza con una lettera che Papà ha scritto alla Mamma. Premetto che, mentre lei era in attesa di mia sorella Laura, la terzogenita, il Papà, per lavoro, ha dovuto compiere un lungo viaggio negli Stati Uniti d’America, dal 26 aprile al 16 giugno 1959, e quasi ogni giorno si sono scritti una lettera, per rendersi più vicini l’uno all’altro.
Leggendo queste lettere ho capito che non è la distanza reale che ci fa sentire una persona più vicina o più lontana: loro, pur essendo distanti migliaia di chilometri, erano in realtà profondamente vicini, grazie all’immenso amore che li univa e all’intensissima, reciproca preghiera.
La Mamma amava moltissimo la natura e stare in sua contemplazione, perché vedeva nelle meraviglie del Creato un riflesso dell’amore del Creatore, e per questo Papà, nella prima parte della lettera, le descrive quanto vedeva dall’aeroplano mentre sorvolava le Montagne Rocciose e i Grand Canyon, così che anche lei potesse godere di tanta bellezza.
Ricordo quando leggevo questa lettera con Papà e gli dicevo: «Papà, ma tu sei un poeta!»; lui, nella sua profonda umiltà, abbassava gli occhi senza dire nulla. Allora aggiungevo: «Papà, ma certamente era lo Spirito Santo che ti illuminava a scrivere questa lettera alla Mamma, altrimenti non saresti stato capace!» a questo punto confermava, e mi diceva: «Certamente!».
Inoltre, siccome la Mamma era sempre molto preoccupata quando lui prendeva l’aeroplano - e in America le distanze sono così grandi che solo poche volte ha potuto prendere, in alternativa, il treno, perché lei fosse più tranquilla -, in questa lettera ha scritto anche una preghiera, a mio avviso magnifica, intitolata: La preghiera dei miei voli.
Mamma gli ha risposto: «... Sei proprio un carissimo e affettuosissimo maritino, un santo papà, non d’oro, ma di brillante, il più grosso e il più prezioso che ci sia su questa terra...».
Aveva proprio ragione la Mamma, era veramente «un santo papà… di brillante», ed è per questo che, nel gennaio 2003, mi sono sentita in dovere di lasciare il mio lavoro di medico geriatra per prendermi cura di lui; aveva 90 anni ed era ancora attivissimo nell’impegno di diffusione nel mondo della figura e dell’esempio della sua Santa Sposa quando ha iniziato ad avere gravi problemi di salute, per i quali era necessaria la presenza continua di un medico perché lui potesse, come desiderava, rimanere nella sua casa.
Ho pensato: ha sempre voluto un bene immenso ai miei fratelli e a me, è il minimo che io possa fare per lui; se gli dedico tutto il mio tempo è il regalo più grande che posso fargli, insieme al volergli bene; se la volontà del Signore fosse stata un’altra, ora ci sarebbe la mia Mamma accanto a lui: standogli sempre vicino sentivo che avrei fatto felice anche lei, sarebbe stato come fare qualcosa anche per lei.
E così ho avuto la grazia, la gioia e l’onore di assisterlo negli ultimi 7 anni e 3 mesi della sua lunga vita, giorno e notte, sentendomi strumento nelle mani del Signore per aiutarlo anche come medico. Il 3 aprile 2010, Sabato Santo, ha raggiunto la sua amatissima Sposa in Paradiso all’età di quasi 98 anni. La sua mente è rimasta lucida sino all’ultimo giorno, e durante questi anni trascorsi sempre insieme ho potuto conoscere ancora di più la mia Mamma attraverso di lui.
Un sacerdote Americano, Padre Gino Dalpiaz, molto devoto della Mamma, dopo aver letto la rivista Gianna, sorriso di Dio degli anni 2010-2011 che ho dedicato interamente alla memoria di Papà, mi ha scritto una email con queste parole:
Sua Santità San Paolo VI è stato l’«Ispiratore primo e fondamentale della causa di Beatificazione della Mamma», come ha testimoniato il Vescovo Mons. Carlo Colombo, noto come “Teologo di Paolo VI”; era venuto a conoscenza della vita e morte esemplari della Mamma quando era Arcivescovo di Milano.
Su richiesta di Mons. Carlo Colombo, nell’aprile 1971, quando avevo solo 9 anni, Papà ha scritto un profilo biografico di Mamma, sintetico ma molto incisivo, bellissimo, che ha dedicato ai miei fratelli e a me, e che si apre con queste parole:
Il Signore ha scelto la mia Mamma tra tante Mamme Sante che ci sono in Paradiso, perché fosse di esempio alle mamme, ai giovani, ai fidanzati, alle spose, ai medici, agli operatori sanitari, alle famiglie, e perché potesse fare tanto bene, come sta facendo, ormai da molti anni, in diversi Paesi del mondo, io ne sono testimone diretto.
Mi ricordo che Papà mi diceva che aveva implorato il Signore di salvare la vita anche della Mamma, e non soltanto la mia, ma il Signore, nella Sua infinita sapienza e nei Suoi imperscrutabili disegni, non è intervenuto a salvare la vita della Mamma; lui, pur con immenso dolore, ha accettato la Sua santa volontà senza comprenderla.
Soltanto molti anni dopo ha capito cosa il Signore volesse per la Mamma, quando la Chiesa gli ha chiesto il permesso per poter aprire la sua Causa di Beatificazione, e la Mamma è stata proclamata “Beata” come “Madre di famiglia” il 24 aprile 1994, a soli 32 anni dalla morte, da San Giovanni Paolo II, e 10 anni dopo, il 16 maggio 2004, “Santa” dallo stesso Papa:
Ho veramente perso il conto di tutte le grazie ricevute nel mondo per sua intercessione! Con la sua vita cristiana e morte esemplari ha reso lode e gloria al Signore; con la sua potente intercessione continua a rendere gloria al Signore, e il Signore testimonia il Suo amore infinito per noi anche attraverso la sua intercessione.
È considerata una santa patrona delle mamme, dei medici e dei bambini non ancora nati, e in occasione dell’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie (WMOF) svoltosi a Philadelphia, Stati Uniti d’America, dal 22 al 27 settembre 2015, è stata nominata santa patrona di questo grande evento insieme a San Giovanni Paolo II. Che grande onore per la Mamma! Che grande gioia e commozione per me e la mia famiglia!
Gli Organizzatori, a loro insaputa, mi hanno chiesto di portare la testimonianza al Congresso proprio il 24 settembre, nel giorno del 60° Anniversario di Matrimonio dei miei genitori, e nella Sessione dell’Infertilità, cosa che in un primo momento mi ha sorpreso; poi ho capito che la Divina Provvidenza mi stava offrendo un’occasione d’oro per rendere lode e gloria al Signore!
Come ultimo relatore, ho desiderato concludere lasciando un forte messaggio di speranza in ogni cuore, in particolare nelle coppie di sposi che non sono ancora stati in grado di concepire e continuano a sperare, e soffrono così tanto: veramente «Nulla è impossibile a Dio» (Luca, 1:37)!
Posso testimoniare che la grazia più frequente ricevuta per intercessione della mia Mamma, in diverse parti del mondo, è proprio questa: il dono di un figlio, anche dopo 7 anni e più di matrimonio, anche dopo più aborti spontanei. Quante bambine che si chiamano “Gianna” incontro nei miei viaggi negli Stati Uniti!
Ci sono coppie di sposi che hanno ricevuto la grazia divina di un figlio che mi esprimono la loro immensa felicità; rendono infinite grazie a Dio e desiderano testimoniare della grazia ricevuta, perchè, se hanno potuto concepire un figlio dopo molti anni di matrimonio, allora le persone crederanno che il Signore continua a compiere miracoli anche al giorno d’oggi. Mi scrivono della loro più profonda gratitudine verso la mia Mamma, che ha cambiato la loro vita; del loro amore per lei, che ormai è diventata parte della loro famiglia, e del loro desiderio di diffonderne la devozione, cosìcchè con la sua intercessione molte più persone possano ricevere grazie speciali.
Non so davvero come ringraziare il Signore per il dono singolarissimo e incommensurabile, come lo definiva sempre Papà, di averci “ridonato” una Sposa Santa, per lui, e una Mamma Santa, per noi figli, da condividere con il mondo intero!
Per Sua volontà, la Mamma è la prima Santa della Diocesi di Milano, considerata una delle Diocesi più grandi del mondo, dopo il Cardinale San Carlo Borromeo, canonizzato nel 1610!
È stata l’ultima Santa proclamata da San Giovanni Paolo II, alla presenza anche del mio Papà, che allora aveva 92 anni: era la prima volta, nella storia della Chiesa, che un marito fosse presente alla Canonizzazione della propria moglie! Il Santo Padre così disse nell’Omelia:
«Il sacrificio estremo che suggellò la sua vita testimonia come solo chi ha il coraggio di donarsi totalmente a Dio e ai fratelli realizzi se stesso», definendo la sua eroica testimonianza «un vero canto alla vita». Certamente non ci si può improvvisare “santi”: la Mamma è stata proclamata “Beata”, e poi “Santa”, prima di tutto per come ha vissuto; con la sua morte, altrettanto esemplare, ha coronato la sua vita.
È stata definita: «Una Santa della quotidianità», che ha vissuto una normalità esemplare. Il Cardinale Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano, ha espresso molto bene questo concetto in un articolo scritto in occasione della Beatificazione della Mamma e pubblicato su Terra Ambrosiana, una rivista della Diocesi di Milano:
La Mamma è nata a Magenta, provincia di Milano, il 4 ottobre 1922, Festa di San Francesco d’Assisi; insieme al dono della vita, il Signore le ha donato due genitori profondamente cristiani, Maria De Micheli e Alberto Beretta, entrambi terziari francescani.
Battezzata come Giovanna Francesca, era la decima di tredici figli, cinque dei quali morirono in tenera età, e tre si consacrarono a Dio: Enrico, medico missionario Cappuccino a Grajaù, in Brasile, col nome di Padre Alberto Maria, oggi è “Servo di Dio”; Giuseppe, sacerdote ingegnere, e Virginia, medico religiosa Canossiana. Questa mia zia, Madre Virginia, è l’unica zia che ho tuttora vivente: con i suoi 95 anni, grazie a Dio gode ancora di buona salute.
A Bergamo, dove la famiglia si era trasferita, la Mamma, a soli cinque anni e mezzo, ricevette, preparata spiritualmente dalla sua mamma, la sua Prima Comunione, che divenne «il suo cibo indispensabile di ogni giorno». Il Signore fu da lei posto al centro della sua vita.
Durante il fidanzamento con il mio Papà, così ha ricordato i suoi genitori in una lettera del 22 aprile 1955: «I miei santi genitori: tanto retti e sapienti, di quella sapienza che è riflesso del loro animo buono, giusto e timorato di Dio!”.
Trasferitasi con tutta la sua famiglia a Genova Quinto al Mare dopo la morte della sua carissima sorella maggiore Amalia all’età di 27 anni, la Mamma, a soli quindici anni e mezzo, durante un corso di S. Esercizi Spirituali predicato per le alunne della scuola delle Suore Dorotee - dove frequentava la 5ª ginnasio - dal Padre Gesuita Michele Avedano, fece l’esperienza fondamentale e decisiva della sua vita. Di questi Esercizi è rimasto il quadernetto, di trenta paginette, di Ricordi e Preghiere di Gianna, tra i cui propositi si legge: «Voglio temere il peccato mortale come se fosse un serpente; e ripeto di nuovo: mille volte morire piuttosto che offendere il Signore». E tra le sue preghiere: «O Gesù ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada, fammi solo conoscere la tua Volontà…».
I bombardamenti su Genova provarono molto mamma Maria, già debole di cuore, e così la famiglia, nell’ottobre 1941, ritornò a Bergamo. Fu qui che la Mamma, proprio nell’anno della maturità classica, perse entrambi i genitori, a poco più di quattro mesi di distanza l’una dall’altro; nell’ottobre 1942 ritornò, con tutti i suoi fratelli e sorelle, a Magenta, nella casa dove era nata, e un mese dopo si iscrisse e frequentò la Facoltà di Medicina e Chirurgia, prima a Milano e poi a Pavia.
Mentre si dedicava con diligenza agli studi, ha tradotto la sua grande fede in un impegno più che generoso di apostolato tra le giovani nell’Azione Cattolica, e di carità verso i vecchi e i bisognosi nelle Conferenze delle Dame di San Vincenzo. Amando e servendo il suo prossimo sentiva di amare e servire Gesù stesso.
Come ha testimoniato suo fratello, mio zio Padre Alberto «Gianna ha sentito sempre fortissimo dentro di sé l’ideale di fare del bene agli altri e ha scelto la professione di medico perché la considerava uno dei mezzi più efficaci di apostolato»; era la professione che più e meglio di ogni altra le avrebbe permesso di venire incontro al prossimo provato dal dolore e dalla malattia, vedendo nell’ammalato Gesù stesso.
E come ha vissuto la sua professione medica ce lo ha detto lei stessa nei suoi manoscritti dal titolo “Bellezza della nostra missione”, nei quali si legge:
Ha sempre pregato moltissimo, dando esempio alle sue giovani dell’Azione Cattolica. Diceva loro: «Ricordiamoci che l’apostolato si fa soprattutto e prima di tutto in ginocchio». Recitava quotidianamente il Santo Rosario - abitudine nata già nella sua prima infanzia, quando lo recitava con tutta la sua famiglia -, e lo raccomandava alle sue giovani, dicendo loro: «Senza l’aiuto della Madonna in Paradiso non si va».
Intanto si interrogava, pregando molto e facendo pregare, sulla sua vocazione, che considerava anch’essa un dono di Dio, e come tale, si preoccupava di conoscere la volontà di Dio su di lei per poterLo servire al meglio; non ha avuto fretta, ha continuato a pregare sino a che non è stata sicura della vocazione alla quale il Signore la stava chiamando.
Dapprima ha pensato di farsi missionaria laica in Brasile per aiutare come medico suo fratello Padre Alberto, ma la sua costituzione fisica non era robusta da poter sopportare il caldo equatoriale, e il suo Direttore Spirituale riuscì a convincerla che questa non era la sua strada - diversamente il Signore le avrebbe dato la salute necessaria -, e l’ha incoraggiata a formare anche lei una famiglia, santa, come la sua famiglia di origine, imitando l’esempio dei suoi genitori.
Sentendosi allora chiamata dal Signore alla vocazione del matrimonio, l’ha abbracciata con tutta la gioia e con tutto l’entusiasmo.
Nel giugno 1954, a quasi 32 anni di età, è andata a Lourdes insieme ad un altro suo fratello medico, Ferdinando, che partiva con un treno dell’Unitalsi ad accompagnare gli ammalati, perché voleva pregare la Madonna di Lourdes che le facesse incontrare colui che sarebbe dovuto essere il suo sposo, che il Signore le aveva preparato fin dall’eternità. Con mia grande gioia ho scoperto, durante uno dei miei Pellegrinaggi a Lourdes, che la Mamma ha firmato il Registro del Bureau des constatations Medicales, su cui firmano tutti i Medici, proprio il 29 giugno, giorno della Festa dei Santi Pietro e Paolo, e mio Papà si chiamava Pietro!
Papà, nato l’1 luglio 1912 a Mesero, paese vicino a Magenta, da genitori, Maria Salmoiraghi e Luigi Molla, profondamente cristiani, era il quarto di otto figli; i tre fratelli nati prima di lui morirono tutti nel loro primo anno di vita, e a lui seguirono quattro sorelle: Teresina, che nacque al Cielo a soli 23 anni, Luigia, che si consacrò al Signore come Suora del Preziosissimo Sangue, Rosetta e Adelaide che seguirono la vocazione matrimoniale.
Quando ha incontrato la mia Mamma, della quale aveva 10 anni in più, aveva ancora i suoi genitori viventi; era un uomo di grande fede e dalle straordinarie virtù; come lei, aveva posto il Signore al centro della sua vita sin dalla sua giovinezza. Apparteneva egli pure all’Azione Cattolica - anche se, nella sua profonda umiltà, soleva dirmi: «Rispetto alla Mamma, io non ho fatto nulla!», riferendosi al fatto che la Mamma ha ricoperto anche ruoli dirigenziali in questa Associazione laicale -, ed era laico impegnato nella sua parrocchia di Mesero, soprattutto nella sua giovinezza. Ingegnere meccanico, era Direttore pro tempore della S.A.F.F.A., una grande e famosa fabbrica di fiammiferi di Ponte Nuovo, piccola frazione della città di Magenta dove si era trasferito a vivere già dagli anni ‘40.
Posso dire che Papà, da un lato, insieme a questa sua grande fede che permeava e fortificava ogni aspetto della sua vita, aveva una grande dedizione al lavoro - lavorava moltissimo, troppo! Soltanto la mia Mamma è poi riuscita a sottrarlo un po’ a tutto questo lavoro, portandolo ai Concerti di musica classica e a fare gite in montagna! -, e un grande affetto per i suoi genitori e le sue sorelle; dall’altro lato, si sentiva chiamato dal Signore alla vocazione del matrimonio, e aveva un grande desiderio di avere una sua famiglia. Pregava tanto la Madonna di fargli incontrare «Una mamma santa per i suoi figli».
Il Signore stava davvero chiamando i miei genitori alla vocazione del matrimonio come loro pensavano, perché la Vergine Maria ha ascoltato le loro preghiere, e così, grazie a Lei, finalmente i loro bellissimi cuori e anime si sono incontrati, perché già si conoscevano da cinque anni!
Papà era molto riservato e timido, ed è stata la Mamma a dichiarare il suo amore per prima.
«Gentile Dottoressa»: con queste parole, il 12 gennaio 1955, ha iniziato la prima lettera che le ha scritto da Stoccolma, dove si trovava per lavoro, lettera molto formale, anche nella conclusione: «Un cordiale saluto da Pietro Molla».
Il 21 febbraio, lei nella sua prima lettera gli ha scritto:
Carissimo Pietro, (...) Vorrei proprio farti felice ed essere quella che tu desideri: buona, comprensiva e pronta ai sacrifici che la vita ci chiederà. ... Ora ci sei tu, a cui già voglio bene ed intendo donarmi per formare una famiglia veramente cristiana. Ciao, caro Pietro, perdona la confidenza, ma son fatta così. Arrivederci. Con affetto Gianna».
Non scrive “Vorrei proprio essere felice”, perché avrebbe trovato la sua felicità nel rendere felice il suo Pietro!
Posso immaginare l’immensa gioia di Papà, che il giorno dopo le risponde:
Da questo momento hanno creato occasioni sempre più frequenti per incontrarsi, confidarsi desideri e aspirazioni, speranze e certezze, comprendersi sempre meglio. Hanno vissuto il loro fidanzamento come “un tempo di grazia”, con grande gioia e profonda gratitudine verso il Signore e la Vergine Maria, e pregandoli per la loro nuova famiglia ogni giorno di più.
Erano pronti anche ai dolori della vita. Il 5 luglio la Mamma gli scrive:
Il 10 settembre, a due settimane dalle Nozze, Papà così ha toccato il cuore di Mamma:
E lei gli ha risposto con altrettante bellissime parole:
Per prepararsi spiritualmente a ricevere “il Sacramento dell’Amore” la Mamma ha proposto di fare un Triduo: Santa Messa e Santa Comunione nei giorni 21- 22- e 23 settembre, ciascuno nel proprio Santuario Mariano più caro, così che la Madonna unisse le loro preghiere e le portasse al Suo Gesù; Papà l’ha ringraziata del “santo pensiero” del Triduo, che ha accolto con tutto l’entusiasmo.
Si sposarono il 24 settembre 1955 a Magenta, nella Basilica di San Martino, la Parrocchia della Mamma, dove era stata battezzata, e si stabilirono a Ponte Nuovo di Magenta. Papà mi diceva che, per il suo carattere timido e riservato, avrebbe preferito sposarsi in una Chiesetta sperduta in montagna, alla presenza di poche persone, ma che volentieri aveva fatto il sacrificio, veramente forte, di sposarsi in questa grande Basilica, per far contenta la sua Gianna.
Dopo il loro matrimonio hanno pregato moltissimo il Signore e la Vergine Maria per ricevere il tanto desiderato e atteso dono divino dei figli. Il 13 dicembre, circa due mesi e mezzo dopo che si erano sposati, Papà ha scritto alla Mamma la sua prima lettera da marito, da Zurigo, Svizzera, dove si trovava per lavoro; la lettera comprende questa bellissima preghiera:
Le loro preghiere furono ascoltate. Sono nati mio fratello Pierluigi, il 19 novembre 1956, mia sorella Maria Zita (detta Mariolina) l’11 dicembre 1957 - per volontà del Signore, Mariolina, due anni dopo la morte di Mamma, l’ha raggiunta in Paradiso alla tenera età di 6 anni, per una glomerulonefrite acuta con insufficienza renale -, e mia sorella Laura, il 15 luglio 1959, tutti accolti come doni meravigliosi di Dio.
Nella loro vita matrimoniale e familiare i miei genitori hanno concretizzato e pienamente realizzato tutte le aspirazioni, i desideri e le promesse del tempo del fidanzamento, sempre vivendo in grazia di Dio, con la Sua benedizione e facendo continuamente la Sua santa volontà. Hanno vissuto sempre il loro amore alla luce della fede, e questo è evidentissimo leggendo le loro magnifiche lettere, nelle quali il Signore e la Mamma Celeste sono sempre presenti.
Ci sono aspetti che mi illuminano e mi commuovono profondamente: la loro profonda fede e illimitata fiducia nella Divina Provvidenza, la loro profonda umiltà - penso che l’umiltà sia la virtù base della santità, la virtù indispensabile a tutte le altre virtù -, il loro immenso amore reciproco - che li rendeva più sereni e più forti - , il loro incommensurabile amore per noi, i figli, e la loro famiglia, la loro grande stima reciproca, la loro continua comunicazione e supporto reciproco, le loro intense e costanti preghiere per ringraziare il Signore e la Vergine Maria, il loro amore e la loro carità verso il prossimo. Hanno veramente vissuto il Sacramento del Matrimonio come vocazione e via verso la santità.
Mentre trascrivevo le lettere di Papà a Mamma pubblicate solo dopo la sua morte - quando era in vita, per la sua grande riservatezza, non ha voluto, così inizialmente furono pubblicate solo le lettere di Mamma a lui - ho capito fino in fondo che il loro amore era così grande, e poteva essere solo così grande, così profondo e così vero, perché il Signore e la Mamma Celeste ne erano parte integrante, come già erano parte integrante di tutta la loro vita, prima ancora che si incontrassero: penso che il loro cammino di santità sia certamente iniziato prima di allora!
La Mamma ha esercitato la professione di medico di famiglia a Mesero, dove, dal luglio 1950, aveva aperto un Ambulatorio INAM, e a Ponte Nuovo, dove, dal 1956, ha svolto il compito di medico pediatra responsabile del Consultorio delle mamme e dell’Asilo nido facenti capo all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (O. N. M. I.), e prestò assistenza medica volontaria nelle Scuole Materna ed Elementare di Stato del piccolo paese. Come Papà mi diceva sempre, ha saputo armonizzare, con semplicità ed equilibrio, i suoi doveri di moglie, di mamma, di medico e la sua grande gioia di vivere, e si sentì sempre pienamente appagata. In questa armonia, ha continuato a vivere la sua grande fede, conformando ad essa il suo operare e ogni sua decisione.
Le sue gravidanze sono state sempre un po’ difficili, tuttavia desiderava ardentemente dare un fratellino a Pierluigi, nonostante il rischio di una nuova maternità. Dopo mia sorella Laura ha avuto due aborti spontanei, e dunque rappresento la sua sesta gravidanza, in 6 anni di vita matrimoniale: quanto erano aperti alla Vita i miei genitori!
Nel settembre 1961, quando ancora non esisteva l’Ecografia, verso il termine del secondo mese della mia gravidanza le fu diagnosticato un voluminoso fibromioma (più comunemente detto “fibroma”), tumore benigno, all’utero.
Come Papà ha testimoniato, era libera, in quella preoccupante situazione, di scegliere e decidere su tre soluzioni: la prima: togliere il fibroma, interrompere quella gravidanza ed escludersi la possibilità di avere altre gravidanze (la più sicura e la meno rischiosa per la sua vita in quella gravidanza e per il futuro); la seconda: togliere il fibroma, interrompere quella gravidanza e conservarsi la possibilità di altre gravidanze (la più sicura e la meno rischiosa per la sua vita in quella gravidanza e non per il futuro); la terza: togliere il fibroma, non interrompere quella gravidanza e conservarsi la possibilità di altre gravidanze (la più rischiosa e preoccupante per la sua vita in quella gravidanza e per il futuro). Lei ha scelto e deciso per questa terza soluzione.
Mio zio Don Giuseppe, suo fratello, mi raccomandava di dire sempre che la scelta fondamentale la Mamma l’ha fatta in questo momento. Prima dell’intervento operatorio di asportazione del fibroma, pur ben sapendo il rischio che avrebbe comportato il continuare la gravidanza - il rischio che una sutura, praticata sull’utero nei primi mesi di gravidanza, potesse cedere, con secondaria rottura dell’utero e pericolo mortale per se stessa, oltre che per il bambino -, supplicò il chirurgo di salvare la vita che portava in grembo, la mia, e si affidò alla preghiera e alla Provvidenza. La mia vita fu salva. La Mamma ringraziò il Signore e trascorse i sette mesi che la separavano dal parto con impareggiabile forza d’animo, come l’ha definita Papà, e con immutato impegno di madre e di medico.
Alcuni giorni prima del parto, pur confidando sempre nella Provvidenza, e sempre nella speranza che il Signore salvasse anche lei, era pronta a donare la sua vita per salvare la mia e ha detto al Papà, con un tono di voce fermo e al tempo stesso sereno: «Pietro, se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete - e lo esigo - il bimbo. Salvate lui».
Lui, che conosceva benissimo la generosità della sua Sposa, il suo spirito di sacrificio, la ponderatezza e la forza delle sue scelte e delle sue decisioni, si è sentito nell’obbligo di coscienza di doverle rispettare, anche se potevano avere conseguenze estremamente dolorose per lui e per i miei fratelli.
Nel pomeriggio del 20 aprile 1962, Venerdì Santo, la Mamma entra nuovamente nell’Ospedale San Gerardo di Monza, dove le fu provocato il parto, per espletarlo per vie naturali, ritenuta, a quel tempo, la via meno rischiosa, senza esito favorevole. Il mattino del 21 aprile, Sabato Santo, mi diede alla luce per via cesarea. Papà, in tutta la sua lunga vita, non ha mai dimenticato il momento in cui la Mamma mi ha preso tra le sue braccia, descrivendolo con queste parole:
Già dopo qualche ora le sue condizioni generali si aggravarono, e per lei iniziò il calvario della sua passione, che si accompagnò a quella del suo Gesù sul Monte Calvario: febbre, sempre più elevata, e sofferenze addominali atroci per il subentrare di una peritonite settica come complicanza del parto.
Così Papà ha testimoniato:
Ha ripetuto parecchie volte nella sua agonia: «Gesù ti amo», «Gesù ti amo». Nonostante tutte le cure praticate, le sue condizioni peggiorarono di giorno in giorno. Ha desiderato ricevere la Santa Eucaristia, almeno sulle labbra, anche il giovedì e il venerdì, quando non poteva più deglutire la Santa Particola. All’alba del 28 aprile, Sabato in Albis, venne riportata, come da suo desiderio precedentemente espresso al Papà, nella sua casa di Ponte Nuovo, dove morì nel suo letto da sposa, dove aveva dato alla luce i miei fratelli, alle ore 8 del mattino. Aveva solo 39 anni.
È stato Papà a spiegarmi, quando sono cresciuta e sono stata in grado di comprendere il sacrificio estremo della Mamma, il perché di questa sua scelta, aiutandomi a superare i sensi di colpa che avevo verso i miei fratelli e anche verso di lei, sin da quando ero bambina, e a rasserenarmi. Per lei, mi diceva, io avevo gli stessi diritti alla vita dei miei fratelli già nati, e sapeva bene che lei sola, in quel momento, rappresentava, per me, lo strumento della Divina Provvidenza per poter venire al mondo; per i miei fratelli, la loro educazione e la loro crescita, faceva pieno affidamento sulla Provvidenza attraverso di lui e altri familiari. Davvero mi ha donato la vita due volte: quando mi ha concepito, e quando mi ha permesso di venire alla luce, decidendo per la mia vita.
Ricordo quando Papà mi diceva che, se avesse fatto una scelta diversa, avrebbe potuto vivere 100 anni, naturalmente con l’aiuto del Signore; non aveva un cancro, ma un tumore benigno: riflettendo su questo, e pensando alla sua grande gioia di vivere, ho capito quanto è stato grande il sacrificio che ha fatto per me, seguendo l’insegnamento e l’esempio di Gesù: non c’è amore più grande di colui che dà la vita per la persona amata.
Alcuni mesi dopo la nascita al Cielo della Mamma, Papà ha scritto una lunga lettera a mio zio Padre Alberto, suo cognato, cui era molto affezionato, che viveva in Brasile. La lettera termina con questa bellissima preghiera:
Ho vissuto 48 anni della mia vita con il mio Papà e posso testimoniare che la Mamma ha ascoltato questa sua preghiera: lo ha aiutato, giorno per giorno, a portare la sua croce, e a compiere, in modo eroico, la volontà del Signore; e quando il Signore lo ha chiamato a Sè era più che degno di vivere con lei per sempre!
Per Sua volontà, i miei genitori hanno vissuto insieme la loro vita matrimoniale e familiare solo per sei anni e mezzo, poi la Mamma è volata in Paradiso; durante i 48 anni che Papà ha vissuto senza la sua presenza visibile, hanno continuato ad essere “un cuore ed un’anima sola”, spiritualmente molto uniti e in comunione: l’amore vero, che è l’amore che dura per sempre, è veramente molto più forte della morte!
Ricordo che Papà pregava moltissimo, e che continuava a ringraziare il Signore, di tutto; mi colpiva il fatto che, sebbene avesse sofferto tremendamente nella sua lunga vita, mi dicesse sempre: «Non mi basterà l’eternità per ringraziare il Signore di tutte le grazie che mi ha fatto nella mia lunga vita», riferendosi, in modo particolare, all’aver potuto assistere alla proclamazione della Mamma “Santa” da parte di San Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro a Roma.
Quando è mancato, il Sabato Santo, 3 aprile 2010, il Cardinale Carlo Maria Martini, Arcivescovo Emerito di Milano, ha mandato alla mia famiglia un biglietto manoscritto con queste parole:
Da quel Sabato Santo, penso il mio amatissimo “Papà d’oro” - “Pedrin d’or” lo chiamava affettuosamente la sua Gianna -, per sempre unito alla sua adorata Sposa e mia amatissima Mamma; li sento sempre vicini, anzi, “appiccicati” a me, a proteggermi e a guidare i miei passi; mi rivolgo a loro in continuazione con le mie preghiere, e sento che mi ascoltano.
Sempre più persone, da varie parti del mondo - cardinali, vescovi, sacerdoti, persone consacrate, fra le quali anche monache di clausura, laici -, mi dicono e mi scrivono che il Signore mi ha benedetto con due “santi genitori”, che Gianna e Pietro sono due “santi sposi”, e che li pregano chiedendo la loro intercessione. D’altro canto, come si può leggere nelle lettere che gli ha scritto, è stata proprio la mia Mamma a riconoscere per prima la santità di Papà, e a prendere esempio da lui; ora che è stata proclamata “Santa” dalla Chiesa, le sue parole acquistano un significato e un valore ancora più grandi.
In occasione della Quaresima 2014 la Parrocchia San Gregorio Magno di Milano mi ha invitato a commentare le ultime quattro Stazioni della Via Crucis, chiedendomi, in particolare, di svolgere questo tema: Cosa mi insegna la vita dei miei Genitori a proposito della Via della Croce. Confesso che non è stato facile per me: ho pregato e chiesto aiuto allo Spirito Santo affinchè mi illuminasse, e ne sono nate queste riflessioni.
La vita dei miei santi genitori mi insegna che “la Via della Croce” è certamente la via giusta che devo seguire, per poter arrivare un giorno a godere della gioia del Paradiso, della gioia della visione di Dio, e per sempre.
La via della Croce, strettamente unita e indissolubile da quella della Risurrezione, come nostro Signore Gesù ha testimoniato e indicato, è umanamente la più scomoda e la più difficile; tuttavia, penso sia l’unica via che ci permette di dare un senso pieno e compiuto alla nostra vita.
Presuppone, come la nostra Mamma Celeste ci ha bene insegnato, il nostro “Sì”, incondizionato e continuo, alla volontà del Padre, l’umile accettazione della Sua santa volontà, sempre e comunque, anche quando non la comprendiamo.
La vita dei miei santi genitori mi insegna che “la Via della Croce” è certamente anche “la via della gioia”, quella più vera e profonda, preludio di quella gioia, ancora più grande e più profonda, di poter godere un giorno della visione del Signore, e per sempre...
E avere il Signore nel cuore, fare la Sua santa volontà, vedere ogni cosa che ci accade alla luce della fede, ci porta, pur camminando sulla via della Croce, alla gioia, e a sentire il dovere di ringraziare, e continuamente, nostro Signore, di tutto, di ogni nostro respiro - come mi ha insegnato Papà -, di ogni Suo dono... persino di quello della sofferenza.
E ogniqualvolta sopraggiunge una “nuova” sofferenza, anche molto pesante, di quelle sofferenze che capitano come “un fulmine a Ciel sereno” e che, loro malgrado, arrivano come una grazia a rafforzarti nella fede, penso: «sono sulla strada giusta...», e questo pensiero mi incoraggia e mi aiuta moltissimo ad accettarla, e pian piano, con l’aiuto del Cielo e di chi mi è vicino, a metabolizzarla e a “superarla”, se così si può dire, per quanto umanamente possibile, pensando sempre al Bene più grande e alla Gioia più grande che mi attendono...
A conclusione della mia testimonianza, desidero dire che ogni mattina, quando mi sveglio e apro gli occhi, dopo aver ringraziato per il dono della vita prego il Signore, la Vergine Maria e San Giuseppe affinchè mi aiutino ad essere meno indegna possibile dei miei genitori. Vivo con la gioia e la speranza di poterli un giorno riabbracciare, insieme a Mariolina e tutti gli altri miei cari, e questa volta per sempre, per non lasciarci più!
Gianna Emanuela Molla