Giornata contro l’omofobia-lesbofobia-bifobia-transfobia: i giorni a venire.
Domanda classica a qualunque persona che viene identificata come omofobaecc.:
«E se tuo figlio fosse gay?»
La legge Zan ha incluso anche l’abilismo, come oggetto da proteggere nelle maglie del proprio progetto, ma questo non è contemplato nella giornata all’uopo. Perché? Perché, come scrive il professor Mantovano (Legge Omofobia perché non va, capitolo 8, pagg. 138-139), poi ci potrebbero essere docenti che magari, per sfilarsi dalla situazione perché non del tutto d’accordo con la legge, potrebbero parlare di accoglienza dei bambini disabili, dell’accettazione della fragilità come punto di forza, della bellezza nell’imparare a stare tutti insieme ognuno con la proprie caratteristiche e, magari, con una punta di coraggio, potrebbero pure osare di aiutare i bambini e i ragazzi a conoscere e a identificare come il soggetto più debole da proteggere, l’embrione.
E invece no: omofobiaecc e basta. Ovviamente neppure la misoginia è contemplata: vogliamo mica far acquisire la conoscenza ai giovani che i feti femmina sono i più abortiti, o che le mutilazioni genitali femminili sono terrificanti e diffusissime, o che la ‘violenza ostetrica’ è ancora in auge, o del fatto che le donne non sono aiutate dalla politica a fare le mamme e vengono costantemente discriminate, o del fatto che sfruttarle per ottenere ovociti e uso dell’utero è aberrante?
Parlare delle lesbiche, sì, ma non delle donne etero, soprattutto se madri, perché poi se in classe c’è il figlio di due papà, come può sentirsi, se non discriminato?
Torniamo quindi alla domandona: «E se tuo figlio fosse gay?»
Innanzi tutto io non identifico le persone con l’uso che fanno dei loro genitali. Quindi, per quanto mi riguarda, si sta parlando di una persona. Persona che è mio figlio prima, durante e dopo la dichiarazione.
In seconda istanza lo ringrazio per la confidenza: quando un figlio sceglie un genitore per aprire il suo cuore, è certamente merito del genitore che ha creato una relazione di dialogo durante l’arco della crescita del figlio, in seconda istanza è merito di entrambi perché significa che si è passati oltre lo status di ribellione adolescenziale e si può cominciare a parlare tra persone adulte, in terzo luogo è segno che il figlio ripone nel genitore della fiducia, e questo è importante per entrambi singolarmente e come coppia genitore-figlio.
Inoltre, se un soggetto è meritevole, lo è il figlio che passa sopra gli (innumerevoli, per ciò che mi riguarda) errori genitoriali, e vuole bene al genitore per quello che è, riconoscendone i meriti.
«Non buttarti via» sarebbe il concetto del messaggio che un genitore dovrebbe – a mio modesto avviso - dare al figlio anche solo abbracciandolo e dopo averlo ascoltato in silenzio.
Quando si ha bisogno d’amore (come scrivono Jason e Christalina Evert in Come trovare l’anima gemella senza perdere la propria anima), si è coinvolti in una condizione nella quale si cerca affetto, concedendosi a persone e situazioni che mettono in pericolo la salute fisica e dell’animo: parimenti a quello che bisognerebbe trasmettere a qualunque figlio, indipendentemente dal suo status legato alla sessualità, è necessario poter acquisire il concetto che, in quanto persona, è prezioso.
Sono preziosi la sua salute fisica e quella spirituale, la sua enorme ricchezza intellettuale, la grandiosità della sua sola esistenza nel mondo e nella vita del genitore, l’immensa gioia che può trasmettere al prossimo, la bellezza dell’essere figlio di Dio. Ogni persona è progetto di Dio e mezzo per amare il prossimo, per fare del bene andando verso il Bene. Indipendentemente da cosa si fa (con il proprio corpo e con le proprie scelte legate ad esso), innanzitutto si è esseri umani perfetti sin da quando siamo stati donati ai nostri genitori, che ci hanno concepito con amore e per amare.
Mi premerebbe assicurarmi che nessuno gli (o le, lo ricordo) nuocesse. Cosa significa “nuocere”? Per esempio lo avesse costretto a percorrere quella precisa strada sentimentale, l’avesse illuso o circuito. E questo potrebbe succedere per qualunque figlio o figlia: il fantasma di chi, approfittando di una forza psicologica superiore, può ingannare e fare pressione perché questi si pieghi a una scelta obbligata fatta propria in modo inconsapevole, è concreta.
Donne che entrano nella spirale della violenza domestica pensando che quello sia amore, uomini costretti ad accettare che la propria donna abortisca il loro figlio in virtù di un ipotetico rispetto della donna... Ogni situazione “d’amore”, quando la si allontana dalla sua vera essenza – il dono, il rispetto, l’accoglienza – è sbilanciata: quindi, come ogni genitore per ogni figlio, mi premerebbe che ogni scelta intrapresa in virtù del suo essere e delle sue scelte, sia dettata dalla consapevolezza e dall’autentica libertà, come quella che Nostro Signore ci dona perché ne facciamo buon uso.
Di solito la domanda successiva che viene posta dall’interlocutore cocciuto che tenta di trovarmi in fallo, è la seguente: «E se fosse gay, non ti piacerebbe che si potesse fare una famiglia?», ovvero «Non dovrebbe avere il diritto – per Legge – di avere dei figli?»
Questa è una domanda interessante, perché parte da un principio estremamente adultocentrico, che mi urta particolarmente, nell’essenza del concetto di famiglia: costruirsi una famiglia è fondamentale, ma cos’è e di cos’è fatta, la famiglia? Innanzi tutto «la famiglia è dove c’è amore», di solito risponde chi, di famiglia, non sa nulla. Perché affermo questo? Perché non importa disturbare Gary Chapman, ad esempio, autore de I 5 linguaggi dell’amore, o Mariolina Ceriotti Migliarese in tante sue eccellenti pubblicazioni, oppure Tonino Cantelmi e altri eccellenti coautori di Essere padri e madri oggi, per comprendere che magari l’amore non basta, in famiglia.
Come spiega Karol Wojtyła in Amore e responsabilità, l’amore è un buon sentimento che però non deve includere l’utilitarismo: quindi il bisogno di costruirsi una famiglia è sacro, la necessità di farlo attraverso l’altro, è sfruttamento. Quello che in tanti autori e conoscitori della natura umana e della psiche, anche a livello professionale, ci insegnano, è che l’amore, in famiglia, è il presupposto, ma non il fine.
In mezzo a questi due momenti, il prima e il dopo, vi è un durante – nella vita in famiglia – dove non è possibile parlare di necessità personali. Un figlio è un dono attraverso il quale Nostro Signore (o la vita, o il destino) ci incarica di far maturare un cittadino responsabile: non è concepibile usare un figlio per stare bene e confermare al mondo che si è una famiglia, che si è adulti.
Questo perché il figlio è una persona alla quale noi siamo obbligati. Inoltre la famiglia va al di là dell’affetto perché spesso, oltre quello, ci sono immense avversità da affrontare: disgrazie che un componente della famiglia può dover superare e che deve poter attraversare con l’aiuto del coniuge, spesso problemi di grossa portata dovuti a vissuti passati, oppure tante piccole difficoltà quotidiane che ridurrebbero la famiglia in frantumi, se non ci fosse l’intenzione di andare avanti, a volte arrancando entrambi, altre volte procedendo singolarmente spediti ma aspettando il coniuge, ma soprattutto impegnandosi e sapendo che c’è bisogno di sacrificarsi in modo enorme, per il bene dell’ “entità-famiglia”.
Tutto questo non è semplice e, soprattutto, non migliora avendo dei figli, anzi: sapere di dover rendere conto a questi delle difficoltà della vita, è un impegno forte e costante perché i figli hanno diritto ad avere genitori che si donano a loro, che ascoltano il loro bisogni mettendo da parte le loro necessità e le loro urgenze. E per bilanciare i diritti dei figli, con gli obblighi genitoriali, ci vuole la consapevolezza di essere adulti che devono farsi da parte, lasciando perdere screzi ideologici o altro.
Torniamo quindi alla questione: «E se tuo figlio fosse gay, non ti piacerebbe che si potesse fare una famiglia?». La mia risposta è che mio figlio ce l’ha una famiglia che lo sostiene e gli vuole bene, che gli ha insegnato che i bambini hanno esigenze di rispetto ed equilibrio, che la mamma è fondamentale e che papà è necessario, che maschile e femminile non sono in contrasto né intercambiabili.
Se da una parte accoglierei quel sentimento di “prendersi cura” e quella sensazione di bisogno di costruire una “casa sulla roccia” che nasce quando si sente di essere grandi e adulti abbastanza, potrei solo sostenerlo nel fatto di donarsi a chi ha bisogno di una famiglia, senza privare chi è più debole, di tutto quello che lui ha potuto avere.
Semplicemente la fisiologia ci mostra il fatto che un bambino si lega alla mamma in modo indissolubile e si apre alla vita “oltre il nido” grazie al papà.
Se si vuole bene a un bambino non lo si priva né di mamma, né di papà, ma lo si aiuta a crescere, a maturare, diventare uomo o donna in grado di essere responsabile. Questo essere responsabile significa, ad esempio, non sfruttarlo per un ideale, per un’ideologia, per una convinzione personale: soprattutto di fronte al mondo.
Chi usa i bambini per riconoscersi vivo negli occhi di chi mette “mi piace”, perde in partenza perché le uniche persone che possono accogliere i limiti dei genitori e acquisire il buono che è stato loro insegnato, sono i figli, non i followers. Il comandamento “Onora il padre e la madre” è una base della costruzione della famiglia, ma padre e madre debbono rendersi conto, come prima regola, che quelli che vanno onorati (Treccani: “circondare di stima e di ossequio”) sono i figli che, di fatto, non sono un diritto e che non hanno bisogno di amore, ma di coesione, maturità, forza, responsabilità, coerenza e coraggio.
Per rispondere alla domanda: mi piacerebbe che sapesse bene cos’è una famiglia e che accogliesse figli spirituali bisognosi di essere accompagnati come educatore, insegnante, formatore, volontario, ma sapendo che i diritti dei bambini, sono fondamentali e, tra questi, l’avere una mamma che ti abbraccia e un papà che ti guida, è principio fondante della Famiglia. Un genitore accoglie un figlio anche e soprattutto limitandolo, aiutandolo a superare le frustrazioni che la vita gli pone di fronte, non spianandogli le avversità, perché questo sì che gli nuocerebbe per sempre. Un genitore che ama, sostiene, non facilita. Ama, quindi, ma non si sostituisce a te. Un genitore difende, ma ti sgrida se sbagli.