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“29 anni, capelli lunghi, jeans e un sorriso solare”. Era Chiara Amirante

chiara amirante,

Chiara Amirante.

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 20/05/21
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Don Davide Banzato incrocia per la prima volta Chiara nel 1995 a San Vito di Cadore. Lui frequentava il seminario. Ma in quella "suora laica" vide qualcosa che non aveva mai percepito in passato

Poco più che adolescente, Don Davide Banzato incrocia per la prima volta Chiara Amirante. Un incontro folgorante che avviene nel 1995 a San Vito di Cadore, ai piedi delle Dolomiti Bellunesi, durante il periodo in cui lui era in seminario. 

Don Davide lo racconta nel libro autobiografico “Tutto, ma prete mai” (Piemme).

Chiara Amirante avrebbe partecipato ad un incontro di testimonianza al termine della santa messa a San Vito. La definivano una “suora laica” e il futuro sacerdote ammette di non essere stato predisposto a partecipare a quell’incontro. Anche perchè la scelta del seminario lo proiettava in un “combattimento interiore” che proseguiva da tempo, senza sosta. Quella giornata di "svago" dolomitica non sarebbe stata la panacea dei suoi tormenti.

Chiara era una ragazza di ventinove anni con i capelli lunghi e vestita con i jeans in modo sportivo. «Eravamo tutti colpiti dal sorriso solare che le illuminava il volto. Era stata presentata come la fondatrice di una nuova comunità chiamata Nuovi Orizzonti. Anche lei aveva una parlata romana ed era simpatica. Le sue parole catalizzavano tutti».

La testimonianza di Chiara Amirante era orientata sulla sua avventura nell’inferno della strada alla Stazione Termini degli anni ’90. Un vero Bronx. Da giovane, racconta Don Davide Banzato, riportando la testimonianza di quella ragazza fino ad allora sconosciuta - aveva avuto una malattia grave. Si trattava di un’uveite cronica anteriore e intermedia con interessamento della retina, probabilmente connessa alla sindrome di Behçet, altra patologia tremenda di cui erano presenti tutti i sintomi». 

Dopo aver perso otto decimi di vista, era stata sottoposta a cure dolorose, come iniezioni di cortisone negli occhi ogni due giorni. A un certo punto della storia era successo qualcosa di straordinario. Dopo una preghiera rivolta a Dio, era completamente guarita, senza che restasse nessuna traccia postuma della malattia e recuperando totalmente la vista, anzi arrivando a undici decimi.

Per i medici era stata una guarigione inspiegabile, per lei era la risposta di Dio a una precisa preghiera: aveva chiesto di essere messa nelle condizioni fisiche per poter andare dai ragazzi di strada, da chi stava male e ancora non aveva conosciuto l’amore di Dio, per condividere il “vero miracolo” –  così lo aveva definito – ovvero la scoperta che anche nella sofferenza più atroce è possibile custodire una pace interiore frutto della comunione con Dio. 

Così, una volta guarita, Chiara era potuta andare in strada di notte per ascoltare i ragazzi e le ragazze vittime di droga, prostituzione, schiavitù, alcolismo, aids, violenza. Aveva iniziato a Dublino, con la scusa di una vacanza studio per non fare preoccupare i suoi genitori, e poi aveva proseguito a Roma. Andava da sola per non mettere a rischio la vita di altri, ma col tempo altre persone avevano iniziato a seguirla e così si sono create le prime equipe di strada. Il leit-motiv dei giovani e delle ragazze incontrate era un grido disperato: «Chiara, aiutaci tu, portaci via da questo inferno!».

Chiara Amirante, ricorda Don Davide Banzato, aveva iniziato da un anno e mezzo ad accogliere questi giovani in una casa a Roma in zona Trigoria. Era la prima sede dove vivevano con lei i primi che l’avevano seguita, ovvero Tonino e Loredana. Accoglievano ragazzi con varie problematiche molto difficili, con fedine penali colorite e anche casi provenienti da sette sataniche. 

Dal punto di vista economico eran o completamente abbandonati alla Divina Provvidenza, mangiando quello che arrivava e vestendosi con ciò che gli regalavano. La villetta stessa era arrivata dopo una novena di preghiera, insieme ad altre strutture per attività di prima accoglienza e a un centro di ascolto. 

«Ricordo - afferma Don Davide - che Chiara ci aveva raccontato anche di un sogno per il quale ci chiedeva preghiere, lo chiamava Cittadella Cielo: un luogo dove vivere la vita del Cielo già su questa terra, avendo come modello le comunità dei primi cristiani degli Atti degli Apostoli e come unica regola il Vangelo».

La storia di Chiara Amirante aveva molto interessato Don Davide Banzato e gli altri presenti. Qualcuno aveva chiesto se l’approccio in strada era stato difficile e se a volte aveva avuto paura. La sua risposta era stata spiazzante. Aveva confermato che era normale avere dei timori, ma che li si superava grazie alla forza dell’amore. 

Mentre sulle difficoltà nell’approccio aveva richiamato l’esempio di una persona che porta un bicchiere d’acqua a un assetato nel deserto: non c’era bisogno di dare tante spiegazioni, bastava offrire un ascolto autentico e chi incontrava facilmente iniziava ad aprirsi, anche perché generalmente chi vive in strada fa esperienza costante dell’indifferenza e del rifiuto. Una cosa su cui aveva messo l’accento era di non scendere negli “inferi” da soli, ma sempre uniti a Gesù.

Don Davide iniziò ad avvertire delle strane sensazioni. Era estasiato dalle parole di Chiara. Parlava di persone recuperate dal carcere, dalla strada, dallo spaccio, dalle sette sataniche, dalla prostituzione-schiavitù - che si erano impegnati in una consacrazione laicale con promesse di povertà, castità, obbedienza e gioia - con semplicità. «Io ero rimasto folgorato soprattutto dal suo sguardo e dal suo sorriso: aveva una luce negli occhi che non avevo mai visto prima. Il suo sorriso era pieno di gioia e lo sguardo luminoso era quello di chi davvero stava vivendo il Vangelo. Non era una gioia costruita, artificiale». 

Il futuro sacerdote iniziava ad avvertire «come un fuoco che è difficile da spiegare. Pensavo: “Anch’io voglio la gioia che vedo nei suoi occhi! Cosa c’è di diverso tra me e Chiara? Siamo entrambi due persone... Anzi, io sono un seminarista, dovrei essere felice e dovrei essere io a parlare così di Dio”. Invece ero stanco, triste, ripiegato su di me e spiritualmente spento. Non avevo mai sentito parlare di Dio in quel modo. Si percepiva una esperienza autentica di Dio. Ero confuso e spaesato».

«Non si era mai creata una situazione simile - ha concluso Don Davide Banzato -  c’era una strana gioia ed elettricità nell’aria, tutti erano a semicerchio intorno a lei per porre domande e ringraziarla. Non la lasciavano andare via. Di solito noi scappavamo dai momenti proposti perché erano spesso pizzosi. Quella sera era tutto diverso e nessuno voleva rompere quel clima magico che si era creato. Io ero rimasto ancora seduto al mio posto, stordito, senza parole osservavo la scena come da spettatore incredulo».