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I gesti di san Benildo Romancon quando “vedeva” gli angeli in chiesa

san benildo e gli angeli

San Benildo.

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don Marcello Stanzione - pubblicato il 24/04/21
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Salutava e chinava il capo verso gli “angeli dell’adorazione perpetua”. Con loro aveva un rapporto speciale, come se fossero presenti in quel luogo

"Parlava" in pubblico con gli angeli, il santo fratello delle Scuole Cristiane, san Benildo Romacon, che morì il 13 agosto 1862 a Sauges (Francia). Al suo funerale la chiesa era stipata e dal momento dell’interramento la sua tomba divenne una meta di pellegrinaggio. 

Il 23 novembre 1899 a Le Puy si iniziò il processo di beatificazione, che avvenne il 4 aprile 1948 ad opera di Pio XII. Fu canonizzato da Paolo VI il 29 ottobre 1967

Invocare il proprio angelo: una pratica che ci fa sentire protetti.

Gli angeli avevano nel cuore e nella vita di san Benildo Romacon una parte considerevole di predilezione. Ed erano le luminose idee della sana e tradizionale teologia che muovevano qui pure la sua pietà. 

Con i grandi maestri della vita spirituale iniziando dal suo fondatore san Giovanni Battista de La Salle, egli venerava nelle gerarchie angeliche la pura espressione delle divine perfezioni.  

San Benildo Romacon vedeva negli angeli la divina ricchezza dello Spirito di Gesù Cristo e la lode eterna di Dio. In un suo trattenimento letterario sull’arcangelo san Michele, egli esprimeva questi accenti di entusiasmo: 

ARCHANGEL MICHAEL

Nell’abitudine della preghiera continua, egli invocava spesso gli angeli dei suoi Fratelli delle Scuole Cristiane e dei suoi allievi, raccomandando a essi le loro anime e la loro salute eterna. Parlava al suo angelo custode come se realmente lo vedesse e lo udisse. Usava non salutare alcuno senza aver prima riverito il suo angelo invisibile. 

San Benildo Romacon confessava che molte volte aveva vinto le difficoltà e le resistenze incontrate nei suoi Fratelli e negli allievi ricorrendo direttamente ai loro angeli. “Infatti, diceva, gli angeli custodi amano molto le anime a essi affidate, e usano presso Dio tutto il loro credito in favore di quelli che Egli ha commesso alla loro pietà”.  

Vari testimoni ci informano poi che fratel Benildo usava non entrare mai né uscire da una casa senza salutarne i suoi angeli. Entrando in chiesa, dopo aver reso omaggio a Gesù nel tabernacolo e alla sua santa Madre Maria, salutava quelli che egli soleva chiamare gli “angeli dell’adorazione perpetua”, e uscendone faceva a essi una speciale riverenza col capo. 

Così pure faceva a riguardo degli angeli della sua comunità religiosa. E uno dei suoi fratelli del suo istituto lasalliano che per anni gli visse affianco affermò, con alta ammirazione, che “la fede viva di cui era animato lo faceva vivere abitualmente nella società degli spiriti celesti, come viveva in quella degli uomini”.

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