Fin dal lockdown del marzo 2020 cominciammo a chiederci: "Usciremo migliori o peggiori dalla pandemia?". Il pensiero del dopo emergenza Covid è rimasto, spesso come puro e semplice cortocircuito intellettuale, immaginando (ingannandoci) che prima o poi ci sarà una porta da chiudere definitivamente e cominceremo una nuova vita liberata dal gravame delle circostanze attuali. C'è chi dice che resteremo uguali, e che il male patito non ci toglierà di dosso l'egoismo. C'è chi spera che sapremo fare tesoro del dolore e della prova, e saremo capaci di rinascere migliori.
E poi c'è un architetto che ci propone di ripartire dagli ospedali (non di lasciarceli alle spalle). Renzo Piano non parla di Rinascimento ma di Umanesimo: è l'ipotesi di uno sguardo sull'uomo che non passa oltre la crisi, ma attraverso.
Il pensiero del dopo è ingannevole, sposta le nostre energie in un tempo e in uno spazio che non esistono. Ci fa perdere anche il tempo fecondo della nostra presenza, riducendolo alla frenesia di formiche indaffarate ma smarrite.
Mentre in tanti sperano in un tempo in cui non saremo più travolti dai dati sui contagi, l'architetto Renzo Piano sta costruendo 6 ospedali in giro per il mondo: tre in Grecia, uno in Uganda, un hospice pediatrico a Bologna e uno in Francia, nella banlieue a nord di Parigi. In un'intervista rilasciata a La Stampa dice che il presente è il suo trampolino e che un futuro buono è pensabile solo se non ci libereremo degli ospedali, ma ne faremo il perno della civiltà. Il suo punto di partenza per quello che verrà dopo è una scommessa che mette al centro il luogo della passione:
Non gli piace essere chiamato Archistar. Buono a sapersi perché detestavo scriverlo. Suona troppo lontano da terra, e troppo alto come Icaro. Un architetto sa di terra, lavora con la gravità e la materia. A proposito della ricostruzione del Ponte Morandi a Genova (oggi Ponte San Giorgio), Renzo Piano aveva parlato di rammendo, parola quanto mai esplicita nell'indicare un fare che non comincia da zero, dall'illusione di un tessuto vergine, ma da una ferita. Meglio ancora: da uno strappo.
Costruire è un verbo che racconta molto dell'uomo, ogni nostra giornata è piena di cose da fare. La pandemia ci ha strappati alle nostre consuetudini sul come fare le cose, ma attraverso lo strappo s'è visto quanto sia precario costruire solo sulle nostre presunte capacità.
In questi mesi Renzo Piano è a Parigi a costruire il più grande ospedale della Francia, un lavoro che gli è stato commissionato ma in cui non mette all'opera solo le sue capacità tecniche, è occasione di una riflessione sull'identità, sull'etica, sul bene.
Già il Papa parlò della Chiesa come ospedale da campo. Indicò il luogo della cura come il tetto giusto sotto cui ospitare l'uomo del XXI secolo. Le molte pietre scartate dai costruttori di un "nuovo mondo" (inchinato ai dogmi della tecnologia, dell'eugenetica, del social egocentrismo) possono diventare le pietre angolari di una casa in cui la persona è guardata nella sua interezza. E - dunque - non solo amando (cioé tollerando) la sua vulnerabilità, ma riconoscendo in essa il nostro ritratto più sincero.
Uno slancio buono che prende il suo senso dal patire: questa è l'ipotesi di Renzo Piano, ripartire facendo tesoro della passione che si incontra nei corridoi degli ospedali.
Ma tutto quello che stiamo facendo - distanziamento sociale, DAD, mascherine, corsa ai vaccini - non è per liberarci dell'angoscia di finire in ospedale? Non è un luogo che è meglio lasciare il più disabitato possibile?
Parlare di ospedale non significa mettere al centro la malattia, ma la cura. Che l'uomo abbia bisogno di essere curato è un'affermazione su cui potevamo ridere sonoramente fino a qualche anno fa. Avremmo detto che l'uomo è capace di mille cose, e sarà sempre più capace e forte e intraprendente. Curare è un'azione che esige un plurale, un incontro oltre la nostra presunta autonomia.
Siamo molto dipendenti, ecco una bella scoperta di questo tempo duro e dolente. Quando scrittori come Italo Calvino e Mario Tobino raccontarono il mondo oltre la porta di un ospedale (penso a La giornata di uno scrutatore e Le libere donne di Magliano) ci porsero l'evidenza che anche i sani e i dottori hanno bisogno di essere curati. L'occhio di un paziente è uno specchio terso, che spoglia lo spettatore di molte presunzioni e fa nascere germogli di domande messe da parte per orgoglio.
Calvino uscì dal Cottolengo con la certezza che "l'umano arriva dove arriva l'amore". Non dove arriva la banda larga, il potere, il rover Perseverance, ma dove arriva l'amore. Sull'onda di quest'intuizione suona azzeccato l'azzardo di Renzo Piano, quando afferma che gli ospedali devono essere belli:
Questa precisazione sulla bellezza nasce da uno scambio di battute tra l'architetto Piano e Gino Strada di Emergency: quando Strada gli chiese di costruire un ospedale in Uganda disse che lo voleva "scandalosamente bello". Sì, proprio nelle periferie del mondo - dove tutto potrebbe essere fatto come viene, purché sia utile - è ancora più necessario che il bello non si riduca a estetica di facciata, ma sia splendore del vero.
Questa è una grande battuta da muratore, e nient'affatto da Archistar. Non c'è niente di più entusiasmante che mettersi all'opera a servizio di un ideale grande, sapendo di avere le braccia corte. Fossimo all'altezza, non ci sarebbe nulla da aspettarsi. Fossimo all'altezza, sarebbe la fine. Costruisce bene chi sente sa che il proprio io è il cantiere davvero aperto.
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