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Il pianto e l’orgoglio: a Genova si inaugura il nuovo ponte San Giorgio

PONTE GENOVA, SAN GIORGIO

MikeDotta | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 03/08/20

A meno di due anni dal crollo del ponte Morandi, oggi verrà inaugurato il nuovo ponte sul Polcevera. Renzo Piano lo ha pensato come la ricucitura di una ferita e in cima alle campate oggi ci sarà chi vuole guardare ciò che il proprio fratello ha visto prima di morire.

Sarà un’inaugurazione inevitabilmente intrisa di dolore quella che si svolgerà a Genova a partire dalle 18.30: a meno di due anni dal crollo del ponte Morandi, oggi nasce ufficialmente il nuovo ponte San Giorgio. Il pensiero torna alla tragica mattina del 14 agosto 2018, quando accadde ciò che gli occhi stentavano a riconoscere come reale: crolla un viadotto lungo più di un chilometro, simbolo della città della Lanterna; in piena estate l’Italia piange 43 vittime in cui ciascuno riconosce un ritratto di sé o di un suo caro.

Un ponte è un’immagine simbolicamente potente, parla del coraggio di creare un nesso lanciandosi sopra il vuoto. Per tutti il crollo dell’ex ponte Morandi ha significato fare i conti con una fragilità che dà le vertigini. Lasciando da parte i cori delle molte polemiche, anche fondate, l’inaugurazione di oggi tiene insieme due lembi di una storia che solo il ponte di un’umanità davvero ferita e consapevole può unire: il cordoglio per i morti e l’orgoglio di un’opera di ricostruzione in cui tante maestrie italiane si sono spese.


KATASTROFA W GENUI

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Non a caso l’archistar Renzo Piano, suo il progetto del nuovo ponte di Genova, ha usato il verbo rammendare per descrive il lavoro svolto. Sì,  i ponti non dovrebbero crollare, ma quando l’uomo si accorge delle proprie colpe, inadempienze o vulnerabilità riscopre anche il senso della sua presenza: non siamo creatori onnipotenti, ma possiamo essere collaboratori il cui posto migliore è lì, a ricucire dove c’è una caduta o la botta di un duro colpo, come facevano le nonne sui punti più logori dei nostri abiti:

Bisogna – afferma Piano – dare un significato a quello che si fa, anche se nessuna delle opere fatte dall’uomo è destinata a durare così a lungo. Certe cose possono durare solo se sono amate, accudite, oggetto di affetto. Soltanto così si può resistere nel tempo. Io vorrei che questo ponte fosse amato. Tutta l’Italia – spiega – ha bisogno di un lavoro di ricucitura e di rammendo per strade, ferrovie, scuole, ponti, ospedali. Servono rammendi idrogeologici, sismici, riforestazione, manutenzione.  (da Huffington Post)

La cerimonia

Alla presenza del premier Giuseppe Conte, del Presidente del Senato Casellati e di altre autorità locali e nazionali questa sera alle 18.30 il Presidente Mattarella taglierà il nastro del nuovo ponte San Giorgio. Dopo l’inno nazionale, verrà eseguita per la prima volta una versione inedita della canzone di Fabrizio De André Creuza de ma, realizzata da Dori Ghezzi. Il viadotto verrà benedetto dal vescovo di Genova, monsignor Tasca, e a seguire le frecce tricolori porteranno nel cielo il vessillo di San Giorgio, la Croce rossa in campo bianco simbolo della città.

Non saranno presenti i familiari delle vittime, che il Presidente della Repubblica inconterà prima dell’inaugurazione. Solo uno dei parenti dei defunti ha scelto di salire sul nuovo ponte per assistere alla cerimonia.

Sul nuovo ponte a ricordare il fratello

Insieme alle 43 persone morte nel crollo c’è l’intera città di Genova a piangere come vittima colpita al cuore. L’assenza dei familiari e dei sopravvissuti all’inaugurazione odierna è segno di una vicenda umana e giudiziaria che ha ancora molti nodi che devono essere sciolti. Ma tra loro c’è chi ha deciso di fare il passo doloroso di salire sul nuovo ponte: il colombiano Emmanuel Diaz ha perso il fratello di Henry la mattina del 14 agosto 2018. Entrambi erano scappati dal loro paese per sfuggire alle violenze della guerra civile, poi si sono nuovamente separati perché Henry aveva deciso di rimanere a Genova mentre il fratello Emmanuel aveva fatto rientro a Medellin.

Quando la notizia del crollo del ponte Morandi fece il giro del mondo Emmanuel riconobbe nelle immagini dei telegiornali la Opel corsa gialla di Henry, e capì che non si era salvato. Da allora è tornato in Italia per seguire lo sviluppo della vicenda e sua è stata la scelta di essere presente al taglio del nastro del nuovo ponte:

«Mi sto preparando mentalmente per affrontare quei metri. È vero che il ponte è cambiato ma il panorama no. Ed è l’ultima immagine che mio fratello ha vissuto. Non voglio lasciare nulla in sospeso». […] Il 28 giugno 2019, quando le ultime due pile strallate del Morandi sono state demolite con l’esplosivo, sarebbe stato il trentunesimo compleanno di Henry: «Anche allora ero presente. È stato come rivivere il crollo. Ma mi è servito per andare avanti». (da Avvenire)
Genova_ponte_Morandi
Il ponte Morandi prima del crollo

Il lutto è una via dolorosa che ciascuno percorre con il passo più adeguato al ricordo di chi ha amato. Ci uniamo a Emmanuel e a tutti coloro che hanno perso un proprio caro, questa giornata che pure celebra un traguardo positivo rinnoverà il bruciore di una ferita non rimarginata.

Lo sporco lavoro del viadotto

I Genovesi sono proverbialmente schivi e taciturni, ma a chi li conosca al di là degli stereotipi svelano un cuore grande e profondo. Gente di mare, scabra come la roccia eppure capace degli slanci impetuosi del mare. L’ex ponte Morandi era un simbolo della città e nella sua ricostruzione c’è l’impronta digitale dell’operosità tipica genovese, molto solerte e poco loquace.

Ha raccontato bene il sentimento ferito della città ligure il cantante Francesco Baccini:

Per me non è stato mai null’altro se non il Ponte di Brooklyn. Mio padre mi ci portava e mi diceva: “Bada bene che questo lo ha costruito chi ha disegnato e ideato il ponte di Brooklyn, quello americano”. Così, per me non aveva affatto la denominazione del Morandi. Quel ponte, infatti,  era molto più ‘vissuto’ che nominato. Andavo a trovare, da ragazzo, uno dei miei più cari amici che abitava in via Fillak, a pochi metri dalle case di via Porro: quel viadotto ha accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza. (da Huffington Post)

Da chi ha vissuto e vive a Genova impariamo il termine più appropriato per parlare di cosa abbia significato vedere «il ponte di Brooklyn» sbriciolarsi; era un’arteria viva della città, pulsante quanto il piglio energico dei suoi abitanti, e dunque la parola «crollo» risulta troppo generica e tecnica per rendere la verità degli eventi:

Mi è venuta in mente l’immagine del taglio di un braccio. La città era amputata: nell’anima e nella sua fisicità. […] Non diamo questo ponte alla politica, alle tifoserie, alle strumentalizzazioni, consideriamo per quello che è: un viadotto. E che faccia lo sporco lavoro per cui è stato costruito.
FRANCESCO BACCINI
Antonio Nardelli | Shutterstock

Il nuovo ponte sarà un vero genovese, si augura Baccini e l’architetto Renzo Piano, anche lui nato nel capoluogo ligure, ha avuto la medesima idea nel progettare l’opera che si inaugura oggi.

Un ponte semplice, robusto, parsimonioso

Il nuovo viadotto sul Polcevera, che da ponte Morandi è diventato ponte San Giorgio, è un’opera che rimarrà nella storia del nostro paese e sarà un riferimento imprescindibile nell’ambito delle infrastrutture: è lungo 1067 metri, un po’ meno del precedente, e conta 19 campate (tre da 100 metri e le altre da 50). Disegnato dall’architetto Renzo Piano e costruito da Webuild e Fincantieri in 15 mesi di lavori non stop, ha superato anche la prova del Covid-19: il lavoro è stato terminato nonostante le restrizioni dell’emergenza sanitaria in corso.

Proprio Renzo Piano ha accompagnato la ricostruzione con parole che testimoniano la riflessione emotiva intensa alle spalle del progetto. Per quanto non si voglia fare di questo viadotto un simbolo, inevitabilmente la costruzione di un ponte è simbolica e ancor di più ne è origine un lutto grave. Un anno esatto dopo il crollo del Morandi, l’archistar Piano scrisse un pezzo su Il Secolo XIX in cui, più che descrivere l’impresa tecnica a cui si stava dedicando, aprì il suo cuore a spiegare il senso profondo per cui spendeva il proprio impegno e quello delle centinaia di operai e maestranze del cantiere:

Presto avremo il nuovo ponte, lo stiamo costruendo con un grande lavoro corale al quale sono orgoglioso di partecipare. Perché lavorare in cantiere significa lavorare insieme, e costruire diventa un gesto di pace e convivenza. E questo ponte non rappresenterà solo la città intera, ma anche e soprattutto il quartiere che ci sta sotto, quello più ferito dalla tragedia. Per qualcuno è una periferia, anche se in realtà è proprio al centro della città. Personalmente amo molto quel quartiere, perché c’è nato mio padre. Il nuovo ponte dovrà durare mille anni. Sarà come una grande carena bianca di nave che attraversa la vallata del Polcevera. Sarà semplice, robusto e parsimonioso. Sarà un ponte genovese. Lo sappiamo fare perché a Genova costruiamo navi da sempre. E chi sa costruire le navi, sa fare di tutto. (da Il Secolo XIX)
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