Se c’è una cosa che siamo capaci benissimo di fare noi, cresciuti nella cultura del Wqui e ora", è quello che potremo chiamare “emergenzialità”: siamo capacissimi di guardare bene il dito, ma mai dove sta puntando.
Poi, dopo che abbiamo rimirato bene il dito, la mano della quale fare parte, abbiamo osservato se vi sono cicatrici e magari tentato di capire a chi appartiene, improvvisamente esclamiamo un “OH” meravigliato perché scopriamo che avremmo dovuto osservare oltre il dito, ma verso l’esterno.
I bambini soffrono. I bambini stanno male. I bambini hanno bisogno di socializzare. I bambini vivono situazioni di stress mostruoso. I bambini stanno perdendo uno sviluppo psicomotorio e neurologico sano. I bambini…
Vediamo di fare chiarezza sull’ipocrisia adulta degli ultimi anni, che solo ultimamente ha messo in dubbio se stessa solo grazie (sì, lo ringrazio sentitamente) al Covid-19.
Che i bambini soffrano è chiaro da decenni. Sono figlia di genitori separati e non mi pare che qualcuno, a parte qualche glorioso e coraggioso esperto ovviamente tacciato di bigottismo, patriarcalismo e maschilismo, sia mai stato ascoltato quando tentava di dire che il diritto dei genitori di mettere un punto al matrimonio non doveva mai soverchiare il diritto dei bambini ad avere una famiglia unita.
Il risultato è stato non solo che ci si separa e si divorzia così rapidamente che un figlio si trova spesso in poche settimane a vivere quella migrazione mostruosa tra la casa di mamma e la casa di papà, ma che non ci si sposa più perché tanto convivere è lo stesso e che, soprattutto – e ben più grave – non importa che situazione familiare vivano i figli, perché l’importante è ciò che possiedono.
Durante quest’ultimo anno, le famiglie numerose (composte da madre, padre, figli e spesso nonni) hanno “tenuto botta” in modo egregio. Spiace tanto a chi adesso si rende conto che esistono i bambini e stanno soffrendo, ma i figli che hanno vissuto in famiglie composte da madri e padri (se pur mamme stressate magari da telelavoro applicato in modo grossolano e imposto da chi non ha idea di cosa vuol dire stare a casa con dei bambini, e papà spessissimo preoccupati dalla situazione economica) e magari con due o più fratelli, sono stati meglio di tanti altri.
Altri come i figli unici di genitori non solo separati, ma pure “riaccompagnati” che hanno dovuto condividere casa con altri bambini estranei; i figli unici dei genitori single che cercano disperatamente compagnia di amichetti via videochiamata; i figli di genitori uniti, ma che vivono situazioni di violenza fisica o psicologica… Insomma: i bambini che vivono, diciamolo chiaramente e senza falsi buonismi, situazioni patologiche. Sì, la separazione dei genitori, per un bambino, è patologica.
Lo è il fatto di vivere in casa con i figli della nuova moglie del papà, lo è il fatto che esistono omuncoli violenti che non hanno fatto esperienza né hanno un vissuto di paternità virile, che si permettono di alzare le mani sulle mamme.
Lo è il fatto di vivere soli, senza neppure i nonni, affrontando relazioni coi genitori che sono del tutto inesistenti. Perché questo è: le relazioni tra genitori e figli sono del tutto apparenti.
Ecco perché adesso la scuola dell’Infanzia, la scuola Primaria e le Secondarie sono divenute tutt’un tratto fondamentali: perché il genitore, abituato che altri assumessero oneri al proprio posto, si è accorto che per fare il genitore non occorre fornire oggettistica, ma occorre esserci. E, oltretutto, occorre non solo esserci in quanto individuo adulto, maturo e responsabile, ma è necessario esserci-con (l’altro genitore) per esserci-per (il figlio, i figli). La grande bugia del “metti al mondo un figlio, ma torna subito al lavoro tanto c’è la scuola”, è stata definitivamente svuotata.
Per mettere al mondo un figlio serve la presenza. E non per dire, ma proprio in modo pratico: finalmente la grande bugia del “Per il bambino è più importante la qualità del tempo che sta con il genitore, piuttosto che la quantità” è stata definitivamente svuotata.
Ai bambini servono presenza, verità (mamma è felice di stare con te, ma potrebbe anche darsi sia stanca e preoccupata), maturità (che non dipende dall’età del genitore) e responsabilità (la DAD non sostituisce la presenza in classe, che già non poteva sostituire l’essere presenti come genitori). Tutte caratteristiche che gli adulti non sempre riescono a possedere intenzionalmente, figuriamoci – oramai – istintivamente.
In un articolo come ne sono usciti tanti ultimamente, il pedagogista Daniele Novara, per parlare di quello che sta accadendo attualmente, parla chiaramente di una situazione nella quale lo Stato (che siamo noi) e la cultura (sempre noi) non tiene conto dell’infanzia: denuncia, infatti, “Un’ondata anti-infanzia” ("C'è un'ondata anti-infanzia". L'esperto: aprire subito asili e primarie. Il pedagogista Novara: si rischiano danni incalcolabili. Bisogna ricostruire la scuola, partendo dalla formazione dei docenti, Simona Ballatore, Il Giorno del 20 marzo 2021).
Ora, scevra da ogni pregiudizio negativo e dalla vena polemica che mi contraddistingue, non vorrei sembrare cattiva, ma Don Fortunato di Noto qual è stata l’ultima volta che è stato invitato a un telegiornale?
Qual è stata l’ultima volta che in Parlamento si è parlato di evitare che le donne ricorrano all’aborto quando il problema è economico? Qual è stata l’ultima volta che invece di parlare dei diritti delle coppie omogenitoriali, si è parlato del diritto dei bambini a venire al mondo provvisti di una madre e un padre?
No, quello no perché è bigottismo. Anche la diffusione di pedopornografia pure tra i minorenni, lo è? Anche il sexting tra adolescenti? Anche il fatto che il bullismo e il cyber-bullismo non sia solo caratteristico dei ragazzini e dei giovani, ma pure dei genitori di costoro, è “bacchettonismo”? E il fatto che i bambini siano del tutto rachitizzati da un abuso costante di computer e cellulari, cos’è?
Abbiamo voluto concentrarci solo sulla situazione sanitaria Covid19, ma abbiamo dimenticato quella sociale e, soprattutto, quella infantile.
La riprova? I mezzi d’informazione hanno mostrato le donne manifestare per avere la RU486 a casa (come quando c’erano gli aborti clandestini e l’aborto era una questione da tener nascosta), e tra queste moltissime colleghe ostetriche (purtroppo), ma non ho visto dare ascolto - durante la chiusura di marzo 2020 – alle tante mamme ben felici dei loro bambini, ma messe in difficoltà da telelavoro, didattica a distanza (solo mio figlio ha acutizzato la sintomatologia dovuta alle sue difficoltà di apprendimento?), mancanza di terapie riabilitative (esistono bambini disabili che le mamme sono state ben felici di accogliere, nonostante venga data voce a una cultura più dedita alla ricerca dei difetti genetici e congeniti per eliminare il malcapitato, piuttosto che a quella della bellezza appartenente a qualunque vita messa al mondo) e mancanza di lavoro.
Ho visto manifesti di una povera ragazza che ha trovato gradevole e quasi salutare usare la RU486 per privarsi dell’immensa opportunità di diventare madre, ma tutta la politica scandalizzarsi per dei manifesti pro-vita.
Mio caro pedagogista Novara, lei e tutti coloro che si occupano d’infanzia (ginecologi, ostetriche, pediatri, educatori, insegnanti, psicologi infantili e perinatali, docenti di ogni ordine e grado), finché penserete solo ai “già nati”, escludendo coloro che debbono ancora farlo, siete condannati alla disoccupazione.
Pensare dalla parte dei bambini che ancora debbono venire al mondo, significa cercare di fare qualsiasi cosa pur di aiutare i giovani a trovare il modo di progettare di diventare genitori a un’età che consenta loro non solo di occuparsi dei figli, ma pure di concentrarsi sulla carriera, la professione e il mestiere.
Stare dalla parte dei bambini significa avere il coraggio di affrontare chi si è autoincensato per aver promosso l’uso della EllaOne anche alle minorenni, per dirgli che le giovani donne meritano molto di più che una pilloletta che possa evitare di trovarsi nei guai perché il ragazzino è diseducato alle responsabilità.
I nostri giovani avrebbero certamente meritato di fare esperienza dell’essere figli amati e curati da una famiglia unita e che affronta le difficoltà senza temere le avversità, mentre si sono ritrovati una cultura densa d’individualismi che ha portato le loro famiglie a dissolversi, diventare liquide, prendere altre forme senza badare al concreto e certamente senza assolutamente accorgersi della necessità di essere la parte forte, quella ricca di significati e di stabilità. I giovani venti-trentenni sono quelli che, nella mia città ma non credo solo nella mia, se ne fregano di tutto e si ritrovano fuori dai bar a “divertirsi” perché tanto chissenefrega e perché la vita fa già abbastanza schifo: qualcuno deve averglielo fatto vivere, qualcuno deve avere la responsabilità di questa situazione.
Carissimi professionisti che adesso vi siete accorti dei bambini, troppo comodo guardare il dito per decenni e poi, come colpiti da un’improvvisa illuminazione, rendervi conto che ci sono pure loro: dov’eravate quando la famiglia si dissolveva sotto il peso degli egoismi del singolo uomo o della singola donna?
Dov’eravate quando gli assistenti sociali bollavano (lo fanno ancora adesso senza timore) le madri di “troppo attaccamento” e toglievate quei bambini amati alle braccia materne?
Quanto desiderio di famiglia può possedere chi non ne fa esperienza? Dov’eravate decenni fa, quando si è deciso che gli adulti hanno più diritto dei bambini, alla felicità? Dove sta scritto che per avere bambini felici, i genitori debbono esserlo? Dove ci sta scritto che c’è un diritto alla felicità che poi immancabilmente non compare e allora la vita fa schifo?
Sono cresciuta con chi mi tentava di convincermi (psicologhe e avvocati in testa) che era certamente meglio per me avere una madre felice con un uomo che non fosse mio padre, piuttosto che avere una madre triste a causa di mio padre, quindi so di cosa parlo:
dov’era l’allarme di una cultura “anti-infanzia” quando io continuavo a dire che sinceramente mi interessava avere mamma e papà uniti anche nell’affrontare le difficoltà (che avrebbero certamente risolto se avessero dovuto farlo), piuttosto che due adulti occupati a darsi addosso reciprocamente anche grazie all’aiuto di una cultura che ha deciso che gli adulti sono più importanti dei bambini?
E dov’erano gli allarmi verso una cultura “anti-infanzia” quando la politica promette solo asili nido (ovviamente in periodo elettorale) e non un aiuto concreto alle neo-mamme che si trovano sole, anche a causa del fatto che loro madri sono state allevate a ripudiare una maternità presente e accogliente?
Non ho sentito sirene antiaeree quando psicologhe e ostetriche diffondono la cultura dello scarto del bambino indesiderato, marciando in favore dell’aborto che non nuoce mai alle donne, quando qualunque professionista sincero e onesto ammette che moltissime donne che si privano della bellezza della maternità per qualunque motivo, soffrono moltissimo fino ad arrivare anche a uccidersi: questa non è una civiltà “anti-infanzia”?
Guardiamoci nel bianco degli occhi e diciamoci la verità: siamo immersi in una cultura adultocentrica che da decenni si occupa di godere del momento, escludendo l’infanzia dal concepimento in poi. Adesso che i pedagogisti, i pediatri, i neuropsichiatri infantili se ne sono accorti, possiamo cominciare a occuparci dei bambini partendo dalla generazione dei futuri genitori?