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Soffri di “Alzheimer spirituale”? Il Natale è il periodo migliore per curarlo

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 11/12/20
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Le recenti omelie di papa Francesco per il concistoro del 28 novembre ci hanno riportati ai temi delle famose “15 malattie spirituali” delle curie, che abbiamo già visto valere anche per tutti i cristiani. La dimenticanza della storia della propria salvezza è una malattia sulla quale l’Avvento e il Natale sono periodi particolarmente propizi a intervenire.

Tutti abbiamo ancora nelle orecchie l’affettuosa ruvidità con cui il 28 novembre 2020 papa Francesco ha voluto accogliere tredici nuovi membri del Collegio Cardinalizio: 

Cari Fratelli, tutti noi vogliamo bene a Gesù, tutti vogliamo seguirlo, ma dobbiamo essere sempre vigilanti per rimanere sulla sua strada. Perché con i piedi, con il corpo possiamo essere con Lui, ma il nostro cuore può essere lontano, e portarci fuori strada. Pensiamo a tanti generi di corruzione nella vita sacerdotale. Così, ad esempio, il rosso porpora dell’abito cardinalizio, che è il colore del sangue, può diventare, per lo spirito mondano, quello di una eminente distinzione. E tu non sarai più il pastore vicino al popolo, sentirai di essere soltanto “l’eminenza”. Quando tu sentirai questo, sarai fuori strada.

Ancora il giorno dopo, mentre celebrava la messa con i tredici cardinali novelli, Francesco tornava a rincarare la dose commentando Mc 13,37: 

Ma, se dobbiamo vegliare, vuol dire che siamo nella notte. Sì, ora non viviamo nel giorno, ma nell’attesa del giorno, tra oscurità e fatiche. Il giorno arriverà quando saremo con il Signore. Arriverà, non perdiamoci d’animo: la notte passerà, sorgerà il Signore, ci giudicherà Lui che è morto in croce per noi. Vigilare è attendere questo, è non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, e questo si chiama vivere nella speranza. Come prima di nascere siamo stati attesi da chi ci amava, ora siamo attesi dall’Amore in persona. E se siamo attesi in Cielo, perché vivere di pretese terrene? Perché affannarci per un po’ di soldi, di fama, di successo, tutte cose che passano? Perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno? Perché cercare dei “padrini” per avere una promozione e andare su, promuoverci nella carriera? Tutto passa. Vegliate, dice il Signore.

Anche le vocazioni autentiche si possono corrompere

Che succede? Il papa si era pentito di aver conferito a quei tredici uomini l’onore della porpora romana e cercava di mettere le mani avanti? Una tesi buona per uno di quei pezzi che aiutano i giornali a vendere copie e clic, al limite, ma poco valida per una comprensione decente del tema: il Vescovo di Roma infatti parla per tutti, a cominciare da sé stesso, quando dice del rischio di finire “fuori strada”.



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C’è un tacito fraintendimento che spesso soggiace alle nostre riflessioni sul “discernimento vocazionale”: se un prete è diventato un criminale, ci diciamo (ce lo siamo detto tante volte negli ultimi vent’anni), è perché quella non era la sua strada; se un uomo tradisce e/o picchia la moglie (parallelamente) è perché quella non era la donna giusta per lui (anzi, così sa di apologia del femminismo, ma se la leggiamo a rovescio diventa moneta corrente). E invece la verità è che l’aver imbroccato “la strada giusta” – ma su questo si dovrebbe aprire una vastissima parentesi – non garantisce affatto circa la perseveranza in essa: «Se qualcuno avrà presunto della propria perseveranza – ammonisce severamente il Concilio di Trento – sia anatema». O qualcuno vorrà dubitare dell’autenticità della vocazione apostolica di Giuda Iscariota? 

In Nell’anno del Signore, un bel film di Luigi Magni (1969), Ugo Tognazzi e Alberto Sordi diventavano le memorabili maschere di un importante dialogo su “la tragedia di chi ha il potere” (significativo per noi in quanto tutti abbiamo il potere – se non d’altro – di rovinarci la vita o di lasciarcela salvare). 

– …e io me so’ fatto frate pe’ servi’ er Signore!

– E io? Sono diventato cardinale per servire chi?

– Eh?

– Avanti, rispondi!

Poi la conversazione sciupa in parte gli spunti spirituali dati da queste domande, perché si indirizza su temi di interesse del Regista, ma i classici sono tali anche perché buoni pure fuori stagione, e dunque noi possiamo rileggere le parole del mirabile duetto Tognazzi-Sordi sullo sfondo delle due omelie di papa Francesco: perché un ragazzino che s’innamora di Gesù e che lascia sinceramente le lecite aspettative mondane per seguirlo – e lo fa con tanta dedizione da essere notato in mezzo a moltissimi altri e da ascendere vertiginosamente nella gerarchia ecclesiastica – dovrebbe poi essere sensibile al fascino di sirene come «soldi, fama, successo»? Come fa a sfumare nel nulla tanto discepolato, al punto che ci sono sempre stati alcuni consacrati che – così li stigmatizzava Salviano di Marsiglia – «si astengono da ciò che è lecito [cioè il matrimonio] e non da quel che è illecito [ad esempio il concubinato]»? Né si tratta (solo) di sesso, ma complessivamente de «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» (1Gv 2,16). 

L’epica della guerra è quella dell’amore

Lo ha ricordato efficacemente proprio stamane il blogger/fumettista Salesalato, commentando da par suo Gaudium et Spes 37: 

Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per rimanere saldo nel bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio.

Gaudium et spes 37

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Salesalato

Bellissimo e molto eccitante, ma il più delle volte facciamo fatica anche solo a ricordarlo (e “Gaudium et spes” non ci fa pensare alla Terra di Mezzo, normalmente, bensì a più tranquilla e noiosa “roba di chiesa”). Sicché “nella Contea” è sempre il giorno buono per chiedersi “e io? Sono diventato cardinale [– ma anche “prete”, “marito”, “cristiano” –] per servire chi?”. Ce lo ricordiamo ancora? 

Quello della dimenticanza è un dramma cronico della guerra spirituale, come ci si immagina facilmente se si pensa a degli assediati che durante un assalto si dimentichino del pericolo che incombe su di loro e dello sforzo bellico che la situazione richiede. 

L’immagine marziale è molto suggestiva, ma – come risulta chiaro dalle parole di Aragorn riportate nella vignetta – essa è soprattutto la ricaduta attiva di un amore contemplativo, come commenterebbe un altro grande re epico/cinematografico, l’Artù de Il primo cavaliere di Jerry Zucker (1995 – altra grande saga cristiana, quella di Camelot!): 

Un uomo che non teme nulla è un uomo che non ama nulla. E se non amate nulla, quale gioia ci può essere nella vostra vita? 

La differenza fondamentale tra i due re è che Artù cerca di destare Lancillotto alla coscienza di un grande amore, mentre Aragorn richiama alle sue schiere la memoria di quello stesso grande amore: tra le due situazioni c’è l’esperienza infida dell’oblio, che è decadimento – di Dio, della fede, della speranza – dalla mente e dal cuore, ed è ciò per cui «la carità di molti si raffredderà» (Mt 24,12). 

La terribile diagnosi dell’“Alzheimer spirituale”

Penso che si riferisse esattamente a questo papa Francesco quando – nell’ormai lontano 2014 – descrisse alla Curia Romana la sintomatologia e la diagnosi dell’“Alzheimer spirituale”: 

C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non hanno il senso “deuteronomico” della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé muri e abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.

Il vantaggio di questa pagina del papa rispetto alle altre due citate sopra è che mentre lì si poteva incappare nel rischio di limitarsi a un giudizio moralistico su (o contro) chi finisce “fuori strada”, qui se ne percepisce anzitutto il dramma umano e spirituale: si scopre insomma – per dirla in termini tolkieniani – che Smeagol è anche Gollum, e che della propria idolatria egli stesso è la prima vittima, oltre che l’artefice. 

La prognosi sembrerebbe infausta, ma se così fosse davvero il cristianesimo non si fonderebbe davvero su un Evangelo: 

San Marco – come pure Matteo e Luca [ha precisato il papa lo scorso 28 novembre] – ha inserito questo racconto nel suo Vangelo perché è una Parola che salva, una Parola necessaria alla Chiesa di tutti i tempi. Anche se i Dodici vi fanno una brutta figura, questo testo è entrato nel Canone perché mostra la verità su Gesù e su di noi. È una Parola salutare anche per noi oggi. Anche noi, Papa e Cardinali, dobbiamo sempre rispecchiarci in questa Parola di verità. È una spada affilata, ci taglia, è dolorosa, ma nello stesso tempo ci guarisce, ci libera, ci converte. Conversione è proprio questo: da fuori strada, andare sulla strada di Dio.

Preghiera e carità: per una prognosi non necessariamente infausta

L’“inversione a U” – in ebraico שׁוּב [shuv] – è possibile, ma come si fa, fuor di metafora? Ai cardinali novelli Francesco indicava due vie: la preghiera e la carità. 

Il sottotesto di questo consiglio sta probabilmente nelle regole ignaziane per il discernimento degli spiriti, che il papa gesuita tiene spontaneamente a bussola del proprio pensiero: 

La consolazione, e il ricordo di essa – ha commentato un altro gesuita –, ti servono per andare avanti anche nei momenti di oscurità. La fede stessa è ricordo di ciò che Dio ha fatto per te e per la storia degli uomini. Orientare il pensiero a questa memoria positiva che ti fa sentire vivo e in relazione, aiuterà anche il tuo inconscio a purificarsi, acquisterai forza interiore per leggere e reggere positivamente la realtà. Le promesse (in particolari quelle di Dio) che sembrano svanire acquistano senso e verità se sai fare memoria. Lui non tradisce la storia che costruisci insieme.

Ricordare “il primo amore” si fa nell’adorazione: 

Pregare è accendere una luce nella notte. La preghiera ridesta dalla tiepidezza di una vita orizzontale, innalza lo sguardo verso l’alto, ci sintonizza con il Signore. La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza. La preghiera ossigena la vita: come non si può vivere senza respirare, così non si può essere cristiani senza pregare. E c’è tanto bisogno di cristiani che veglino per chi dorme, di adoratori, di intercessori, che giorno e notte portino davanti a Gesù, luce del mondo, le tenebre della storia. C’è bisogno di adoratori.

C’è però una guerra da combattere, dice Aragorn, e da parte sua Artù spiega che «c’è una pace che si trova solo oltre quella guerra»: «l’iniquità infatti dilaga nel mondo» (è Gesù stesso che l’ha detto, lo riporta Matteo – 24,12), e proprio in vista di questa battaglia permanente – in quanto escatologica – Paolo scrisse agli Efesini: 

Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.

Ef 6,13-17

Così equipaggiati i cristiani possono non solo resistere alle tentazioni, ma soprattutto passare all’“offensiva” che partecipa al mondo la redenzione unica ed eterna di Cristo: 

La carità è il cuore pulsante del cristiano – ha detto Francesco ai nuovi cardinali –: come non si può vivere senza battito, così non si può essere cristiani senza carità. A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da perdenti! In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore.

Mai separare la contemplazione e l’azione, le opere dalla fede, la grazia dalla libertà… e non (solo) perché ne risulterebbero altrettante eresie, ma anzitutto perché la cosa non starebbe in piedi. Il papa parla di “senso deuteronomico della vita”, cioè della capacità spirituale di rileggere il proprio cammino e di rinverdire – a partire dalla memoria della storia che rende Dio nostro e noi suoi – i vincoli dell’alleanza, cioè “il primo amore” di cui parla Apoc 2,4: 

Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni. Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te.

Osserva i comandi del Signore tuo Dio camminando nelle sue vie e temendolo; perché il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele; paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame. Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa del paese fertile che ti avrà dato. Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio così da non osservare i suoi comandi, le sue norme e le sue leggi che oggi ti dò. Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire.

Guardati dunque dal pensare: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati invece del Signore tuo Dio perché Egli ti dà la forza per acquistare ricchezze, al fine di mantenere, come fa oggi, l’alleanza che ha giurata ai tuoi padri. Ma se tu dimenticherai il Signore tuo Dio e seguirai altri dèi e li servirai e ti prostrerai davanti a loro, io attesto oggi contro di voi che certo perirete! Perirete come le nazioni che il Signore fa perire davanti a voi, perché non avrete dato ascolto alla voce del Signore vostro Dio.

Deut 8,2-20

Fare memoria del “primo avvento di Dio” nella nostra vita

Quello di Natale è un periodo particolarmente propizio al memoriale del primo avvento di Dio nella nostra vita: Dickens diede a questo momento dell’anima il volto drammatico dello “spirito dei Natali passati”, malinconico e doloroso come la coscienza della grazia sciupata. Tale sofferenza può essere acutissima, al punto che i cuori induriti possono giungere a odiare il Natale – e ciò che esso permanentemente significa nell’esistenza cristiana –: «Senza effusione di sangue – però – non c’è remissione» dei peccati, non c’è redenzione. La salvezza è stata acquistata per tutti dal valore infinito del sangue di Cristo, ma ciascuno accede a quel tesoro con l’obolo della propria dolorante confessione: chi giudicherebbe intelligente e sensato negarsi il tesoro per risparmiare gli spicci?