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Per Ognissanti, contempliamo il sorriso di chi si è lasciato salvare

JAN PAWEŁ II
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Henri Quantin - pubblicato il 29/10/20
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La gioia dei santi è attrattiva: il loro sorriso non è mai compiacente, perché detesta il male. Esso è segno della felicità che Dio vuole per ciascuno di noi. «Non esiste al mondo se non una fonte di tristezza: non essere santi». Che cosa derivare dalla famosa formula di Léon Bloy, se non l’evidente inferenza per cui solo i santi sono felici? Siamo pronti a credere che Dio vuole la nostra felicità e che la santità è pienezza e non isolamento austero o trappola perversa? «Non sono un santo», si dice a volte. Dietro l’apparente umiltà della frase si nasconde spesso una condiscendenza per le nostre ambiguità, per quelli che vezzeggiativamente chiamiamo “i peccati quotidiani”.

«Non sono un santo» significa allora “sono un tipo sveglio che sa divertirsi, non un musone complessato”. Triste idea della santità, che fa dell’unione con Dio una minaccia per la nostra felicità. Nessun peccato è piccolo e carino, perché tutti sfigurano il volto luminoso che Dio vuole per noi. Sbalorditiva, la nostra volontaria schiavitù: teniamo a quel che ci assoggetta e temiamo quel che ci libera.


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La gioia di fratel Luc

Pregate di fornire delle foto della loro sorellina, Teresa di Lisieux, le sorelle Martin avevano creduto bene omettere quelle in cui sorrideva. Credevano di aiutare così la causa dei beatificazione della sorella, mostrando come fosse una ragazza seria. Fortunatamente il sorriso della “piccola pallina di Gesù” ci è stato restituito: sì, i santi possono sorridere. Nel film Uomini di Dio il volto delicato di fratel Luc, che la morte di Michaël Lonsdale ha recentemente riproposto, lo ricorda gentilmente ai confratelli di agonia. Ammettiamo che davanti a questa infanzia spirituale prolungata e all’offerta di sé pudica e divertita, il volontarismo un po’ rigido di fratel Christian (almeno come l’ha interpretato Lambert Wilson) faceva più fatica a convincere lo spettatore della gioiosa unione a Dio del martire.



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Non per questo, del resto, ogni sorriso è santo. Ernest Hello, uno dei maestri di Léon Bloy, ci invita a non confondere compassione e complicità:

Il vero santo ha la carità; ma è una carità terribile, che brucia e che divora; una carità che detesta il male, perché vuole la guarigione. Il santo come se lo immagina il mondo avrebbe una carità zuccherosa che benedirebbe tutto e tutti in qualsivoglia circostanza. Il santo come se lo immagina il mondo sorriderebbe all’errore, al peccato, a tutto, a tutti…

Non a caso, raramente un sorriso mieloso annuncia cose buone, e Cristo non sorride affatto a tutti.

Tutto è possibile a Dio

Tocca allora a noi sorridere quando un vero santo ci trascina verso l’alto, invece di compiacerci nei nostri piccoli compromessi col male. Non dimentichiamo mai che Dio vuole la nostra santificazione. «Per me è troppo difficile», si dirà. Certo, ma niente è impossibile a Dio, se perlomeno non opponiamo resistenza. Non dimentichiamo, qualunque cosa accada, che «Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa». Massimiliano Kolbe, Teresa di Calcutta, Jean-Marie Vianney: nessuno è nato con un capitale di santità superiore al nostro. Per non far passare in vano Ognissanti, chiediamo al Signore di renderci santi. Il mondo ha bisogno più che mai di uomini e di donne che sappiano da dove viene il loro sorriso.

Scoprite questi santi che ci assomigliano:

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]