La mistica romana ha documentato numerose dialoghi con l’arcangelo. Questi le consigliava sopratutto come convertire efficacemente i miscredenti
La Serva di Dio Giuseppina Berettoni nacque a Roma il 6 agosto 1875. Trascorse la più tenera età sotto la cura dei genitori: Cesare Berettoni ed Orsola Marini. A soli otto anni, ebbe il desiderio di ricevere Gesù nel suo cuore.
Dalla quasi quotidiana frequenza alla santa Eucaristica maturarono nel suo animo a otto anni l’entrata nell’associazione delle “Figlie di Maria” e il voto di verginità.
Così scriveva nel suo piccolo diario quando aveva appena dieci anni: «Tutte le mie forze – scriveva – tutta la mia vita voglio spendere per far conoscere Gesù in mezzo al popolo cristiano».
L’ultima Comunione
Da adulta fece opere di bene in Argentina, in Liguria e nelle Marche, dove fu per brevi periodi di tempo; in Roma, dove passò quasi tutta la sua esistenza e profuse la maggior parte del suo apostolato.
Dio le concesse di chiudere la sua giornata terrena il 17 gennaio 1927 e, come aveva pregato e predetto, pochi minuti dopo aver ricevuto la Comunione.
Infatti concluse il suo pellegrinaggio terreno nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove aveva ricevuto la Grazia Battesimale, nella Cappella di Maria SS.ma “Salus Populi Romani”, che le aveva dato tante prove, anche straordinarie, della sua protezione. Roma ne conserva le venerate spoglie al cimitero del Verano ed i molti ricordi del suo fecondo apostolato.
L’errore di Giuseppina
Nell’agosto 1909, quando Giuseppina era occupata a “Casa Famiglia”, in via di Torre Argentina, attorno alla festa dell’Assunzione, fu pregata da una sua giovane conoscente di fare visita al fratello, degente nell’ospedale di S. Giacomo in Augusta, allo scopo di adoperarsi per la sua conversione: la serva di Dio con sollecitudine si recò al S. Giacomo.
Ma le accadde che per errore parlò con un altro degente: un vecchio, che da circa 16 anni non si era confessato ed era carico di peccati. La Berettoni gli parlò in modo suadente e ne ottenne la conversione; il vecchio, infatti, si confessò e di lì a qualche giorno morì.
La visione dell’Arcangelo
L’8 settembre, avendo saputo dalla giovane l’errore in cui era incappata, Giuseppina volle subito andare dal fratello; ma appreso che questi non era così grave come le era stato detto, entrò dapprima nella chiesa di San Giacomo per attingere dalla preghiera la forza necessaria per convertire l’uomo.
Fu allora che vide l’Arcangelo Michele: era bellissimo, di uno splendore intenso, ed era vestito da guerriero. “Vieni!” l’invitò San Michele. Accadde che, seguendolo in spirito, uscì dalla chiesa; le sembrò di entrare nell’ospedale, di attraversare dormitori e di arrivare fino al letto del giovane infermo, il cui aspetto denotava un’età di circa 18 anni.
Il giovane bestemmiatore
Nella corsia, l’Arcangelo se ne stette da una parte di fronte a Giuseppina, la quale, durante il colloquio che seguì, all’occorrenza lo guardava. Mentre Giuseppina parlava con l’infermo, san Michele era in atteggiamento di preghiera ed in qualche momento sembrava che pregasse con maggior fervore.
Il giovane aveva un’abitudine alla bestemmia; e, dicendogli Giuseppina che, se per caso gliene sfuggiva una, dopo ch’egli aveva promesso seriamente di non bestemmiare più, non doveva farsene una colpa. A quel punto l’Arcangelo le fece un segno di approvazione.
“Michele è il protettore di chi vuole convertirsi”
Nel corso del colloquio Giuseppina consigliò all’infermo la devozione a san Michele, del quale affermò: “È il protettore speciale di coloro che desiderano veramente di convertirsi al Signore”, né l’Arcangelo fece alcun cenno di disapprovazione.
“Ed è potente contro i demoni. Costoro – proseguì – si impegnano principalmente onde siano commessi peccati di bestemmia e d’impurità, perché sono i peggiori. La bestemmia perché è diretta allo stesso Dio; l’impurità, perché, pur non riguardando Dio direttamente, corrompendo a fondo l’uomo, lo rende ebete da non poter egli più comprendere le cose spirituali”.
“Faccia Iddio ciò che vuole di me!”
Giuseppina e il ragazzo, sotto lo sguardo di San Michele, recitarono un’Ave Maria. L’infermo a un certo momento promise a Giuseppina che sarebbe andato a confessarsi non appena guarito, dato che da tre giorni era sfebbrato.
Quando verso la fine del colloquio Giuseppina lo esortava a proporre di non più peccare e a chiedere a Dio che gli togliesse la vita prima di commettere un peccato mortale, l’infermo stette alquanto in esitazione davanti all’idea della morte. Lei allora cercò di dimostrargli quanto fosse maggiore il valore dell’anima e della vita di questa per la Grazia, rispetto alla vita del corpo. Al giovane non rimase che concludere: “Ebbene: faccia Iddio ciò che vuole di me!”.
La giaculatoria
Fu a questo punto che l’Arcangelo Michele fece un segno di compiacimento, per cui Giuseppina esortò l’infermo a ripetere tre volte la suddetta giaculatoria: “Sia fatta in me la volontà di Dio“.
Quella non fu né la prima, né l’ultima volta che Giuseppina, durante le sue estasi, affermò di vedere e dialogare con l’Arcangelo Michele. Le sue visioni sono riportate nel libro “Giuseppina Berettoni e gli spiriti celesti per le vie di Roma e del cielo” (edizioni Segno), a cura dello studioso di angelologia Marcello Stanzione.
Leggi anche:
“Un giovane bellissimo con l’armatura bianca”. L’apparizione di San Michele in Sicilia
Leggi anche:
Come consacrare una parrocchia o una famiglia a San Michele arcangelo
Leggi anche:
Durante una peste mortale, Papa Gregorio ebbe una visione consolatrice di San Michele Arcangelo
Leggi anche:
Il monte italiano in cui San Michele Arcangelo è apparso quattro volte
Leggi anche:
Nella grotta di San Michele c’era la firma originale di San Francesco