Per amministrare in modo degno la Comunione occorrono due condizioni: assicurare l’adorazione delle sacre Specie e favorire nei fedeli la recezione fruttuosa del Sacramento. Un esperto liturgista ci spiega se questo accade o meno nelle liturgie oceaniche«La distribuzione della santa Comunione in grandi assemblee è ormai un fatto ricorrente, soprattutto nei viaggi papali e nelle giornate mondiali, ma anche in celebrazioni diocesane o presso importanti santuari. Per questo è sempre più urgente impostare il problema su precisi principi teologici e conseguenti normative liturgico-pastorali», avverte ad Aleteia don Enrico Finotti, liturgista, già curatore della rivista “Liturgia Culmen et Fons”.
Il fenomeno del passamano della Comunione nelle messe oceaniche ha numerosi precedenti nel tempo, sopratutto nelle celebrazioni officiate dal Santo Padre, durante i suoi viaggi lontano da Roma.
Un caso che molti ricordano è quello delle Filippine: alla santa messa del viaggio di Papa Francesco nel 2015, erano presenti sei milioni di persone, e diversi video documentano il “passamano eucaristico”. Il presidente della Conferenza episcopale filippina, l’arcivescovo Socrates Villegas, ha detto che in quell’occasione «era necessario aiutarsi a ricevere la Comunione» per via della folla record. Il responsabile del rapporto con i media della conferenza episcopale, padre Francis Lucas, ha ribadito che «dal momento che la gente non poteva muoversi, il passaggio delle ostie di mano in mano era motivato» (iltimone.org).
Un gesto superficiale
Don Enrico frena però per non scadere in giustificazioni superficiali. «Dare la santa Comunione – sottolinea – è un gesto sacerdotale. E’, infatti, il terzo dei gesti eucaristici del Signore: prese il pane (calice); disse la benedizione; lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli. I riti costitutivi della liturgia eucaristica (offertorio – consacrazione – comunione) sono impostati secondo questi tre gesti del Signore. Dal fatto che il Signore stesso comunica i suoi apostoli, deriva la competenza del sacerdote nel comunicare i fedeli. Fin dall’antichità, tuttavia, la Chiesa ha affidato anche al diacono un ruolo ausiliario nei riti dell’offertorio e della comunione. Egli è abilitato ad aiutare il sacerdote nella preparazione delle oblate e nella distribuzione del Corpo e del Sangue di Cristo».
La prece consacratoria
Non si tratta, dunque «di sostituire il sacerdote in tali gesti, ma di prolungare la sua mano sacerdotale». In particolare, «nella Prece eucaristica Pontifex solus intrat in canonem, recita l’antica rubrica, e nessun altro ministro può interferire con lui nell’atto supremo dell’offerta del Sacrificio incruento: soltanto al sacerdote compete la prece consacratoria. Nell’offertorio e nella comunione, invece, il sacerdote compie almeno il gesto centrale di tali riti, che viene poi completato dai diaconi: nell’offertorio il sacerdote prende le oblate e le presenta a Dio, concludendo la preparazione previa dell’altare fatta dai diaconi; nella comunione presenta al popolo il Corpo di Cristo per l’adorazione e inizia la comunione comunicando se stesso, affidando ai diaconi la distribuzione del Sacramento ai fedeli».
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Il ruolo del diacono
Si comprende quindi come i tre gesti eucaristici del Signore, osserva il liturgista, «siano essenzialmente gesti sacerdotali e in quanto tali competano al sacerdote, coadiuvato dal diacono, secondo le modalità sopra descritte. Conviene precisare anche il ruolo del ministro straordinario della santa Comunione. Egli è appunto straordinario, non solo nel senso che subentra in caso di reale necessità, ma anche in senso teologico. Ministro ordinario della Comunione é soltanto il sacerdote e in dipendenza da lui, alle condizioni stabilite, il diacono. Ogni altro ministro (laico o religioso) è sempre straordinario, in senso pratico e teologico».
Due condizioni per una degna comunione
Per amministrare in modo degno e conveniente la santa Comunione, spiega don Finotti, occorrono due condizioni: «assicurare l’adorazione delle sacre Specie e favorire nei fedeli la recezione fruttuosa del Sacramento». In altri termini, il santissimo Sacramento «non deve mai essere privato dei segni visibili della sua intrinseca sacralità e i fedeli devono riceverlo con profonda devozione (non solo materialmente – materialiter, ma anche spiritualmente – spiritualiter)».
Regole per le “sacre specie”
Per assicurare tali condizioni la tradizione della Chiesa ha sempre stabilito delle precise norme liturgiche. «Riguardo alle sacre Specie: qualità dei vasi sacri, nobiltà degli abiti dei ministri, segni di venerazione, dignità dei luoghi di distribuzione».
Concretamente, evidenzia il liturgista, «le pissidi devono essere sicure (solide e impermeabili – non cesti), nobili (nell’arte e nei materiali impiegati) e munite di coperchio, soprattutto quando ci si allontana alquanto dall’altare e si celebra all’aperto; il ministro deve rivestire l’abito liturgico proprio senza indebite riduzioni; gli accoliti devono garantire un minimo di segni esterni di venerazione: un cero all’interno della chiesa o un ombrello all’esterno, l’eventuale piattino o la tovaglia; i luoghi di distribuzione devono essere scelti con cura: – all’interno della chiesa si prestano di preferenza le cappelle e gli altari laterali, che, preparati con i ceri accesi, creano un polo sacro al quale i fedeli attingono ispirazione spirituale per una recezione santa dell’Eucaristia – all’esterno i luoghi siano individuati non solo per la funzionalità, ma anche per la loro dignità».
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Regole per la “ricezione del sacramento”
Riguardo alla ricezione devota dei fedeli «si ricordi che dalla cura della sacralità con cui si circonda il Sacramento nel momento della sua amministrazione dipende grandemente lo spirito di pietà, di adorazione e di corrispondenza interiore al Dono che viene ricevuto». Una distribuzione meccanica e veloce, senza alcun segno di venerazione, produce nei fedeli «superficialità, formalismo, distrazione e assenza di ogni interiore partecipazione». Inoltre è conforme alla modalità praticata dal Signore «che il sacramento sia dato personalmente dal ministro ad ogni fedele, secondo la duplice modalità attualmente stabilita dalla Chiesa (in bocca o nella mano, in ginocchio o in piedi)».
E’ dunque evidente, aggiunge Finotti, «l’esclusione sia dell’auto-comunicazione, sia del ‘passamano eucaristico’. Il Corpo di Cristo è ricevuto personalmente dalle mani stesse del Signore invisibile, mediante il ministero visibile del sacerdote o del diacono o, se vi è una reale necessità, dei ministri straordinari».
La “profanazione” del sacramento
A questo punto si pone la domanda: come amministrare la santa Comunione nelle grandi assemblee, osservando le condizioni appena esposte? «Occorre innanzitutto premettere che non si deve dare la Comunione a tutti e a qualunque costo – evidenzia Finotti – c’è un limite oltre il quale la distribuzione della Comunione diventa precaria e si espone il Sacramento alla profanazione o anche al sacrilegio. Questo va del tutto evitato. Perciò bisogna formare i fedeli a valorizzare altre opportunità e modalità, che possono costituire valide alternative in situazioni di emergenza».
Ricevere la grazia
Occorre perciò riproporre, secondo il liturgista: – il valore di grazia del divin Sacrificio, anche senza la comunione sacramentale, non sempre possibile o conveniente allo stato dell’anima o alla situazione contingente; – la comunione spirituale, che in caso di impossibilità fisica o morale di accedere a quella sacramentale e desiderando questa in voto appena possibile, produce gli stessi effetti di grazia nel cuore del fedele; – la possibilità di celebrare l’Eucaristia nel gruppo ristretto, prima o dopo la grande celebrazione, in modo che con una Comunione sacramentale degna e proficua ci si prepari o si estenda la grazia che nella celebrazione plenaria ha la sua manifestazione solenne.
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La superficialità dei fedeli
Occorre non dimenticare mai che la condizione primaria per una comunione degna per tutti i fedeli (clero, religiosi e laici) «è lo stato di grazia santificante, senza la quale ogni ritualità esteriore rimane sterile. Questo richiamo basterebbe da solo a stimolare in ognuno un salutare discernimento secondo le parole dell’Apostolo». Oltre alla formazione dei fedeli è anche necessario stabilire dei «limiti», che consentano di evitare una distribuzione «incontrollata e pericolosa» in grandi assemblee in cui vi è il rischio che persone estranee alla fede, presenti per curiosità o convenienze umane, «si accostino con superficialità a ricevere il Corpo di Cristo». Per questo motivo sono necessari dei «precisi criteri e delle concrete normative, che proteggano il santissimo Sacramento da un uso improprio».
La corretta distribuzione
Ecco alcune regole come proposta di ricerca e dibattito, che propone il direttore della rivista Liturgia Culmen et Fons: – idealmente tutte le particole da consacrare dovrebbero essere poste sull’altare della celebrazione in modo da rispettare il segno della comunione all’unico altare; – una certa estensione potrebbe essere quella di consentire ad un numero contenuto di sacerdoti o diaconi di circondare l’altare reggendo le pissidi dall’offertorio alla comunione: tale concessione non dovrebbe essere talmente estesa da coinvolgere un numero esorbitante di ministri posizionati anche in zone molto lontane dall’altare, anzi, la prossimità all’altare dovrebbe essere un criterio discriminante; – stabilire un numero determinato di comunicandi che, raccolti in un settore vicino all’altare, possano accostarsi con facilità e nel modo conveniente alla santa Comunione, evitando di voler raggiungere tutti in qualunque modo e in qualunque situazione logistica si trovino.
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Alternativa alla “messa oceanica”
Queste proposte, afferma don Finotti, «non sono certo una novità, perché sono sperimentate e verificate alla luce di competenti studi e sagge realizzazioni, tuttavia richiamarle significa non rassegnarsi ad una ritualità senza regole e priva delle condizioni necessarie per la dignità di un così grande atto liturgico». Infine sarebbe anche opportuno valutare se in certe grandiose manifestazioni «non fosse più confacente una celebrazione liturgica alternativa alla Messa, o una liturgia della Parola, o un pio esercizio, celebrando, invece, la santissima Eucaristia in una grande Cattedrale o importante Basilica e favorendo maggiormente che l’assemblea convocata abbia le disposizioni elementari per una liturgia degna e una comunione fruttuosa».
Sancta Sanctorum della Chiesa
La celebrazione del divin Sacrificio con il suo naturale e intrinseco complemento della Comunione sacramentale, «non è in prima istanza un atto missionario ad gentes, bensì costituisce il Sancta Sanctorum della Chiesa, nel quale i catecumeni sono introdotti mediante un laborioso itinerario di Iniziazione. In tal senso la legge dell’arcano, che nell’antichità cristiana imponeva di non rivelare i santi Misteri ai non-iniziati non è da considerare del tutto superata in una società cosmopolita e in una cultura interreligiosa come quella in cui viviamo».
Esperienza che fa riflettere
Don Finotti conclude raccontando una sua esperienza dei primi anni di sacerdozio. «Vi era l’uso di dare la santa Comunione a conclusione di alcuni pii esercizi (via Crucis in Quaresima e Rosario nel mese di maggio). La maggioranza dei fedeli si accostava alla Comunione. Proposi di staccare la Comunione dal pio esercizio e, dopo aver congedato il popolo, amministrare la Comunione nella cappella del santissimo Sacramento a coloro che lo desideravano. Dal quel momento soltanto qualche fedele si fermava per ricevere la Comunione. La cosa mi ha fatto riflettere: era evidente la diffusa superficialità di molti fedeli nel comunicarsi».
«Ecco perché – chiosa il liturgista – una normativa intelligente e mirata aiuta i fedeli nel necessario discernimento».
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