In questo ultimo contributo sui tratti inediti del volto di Gesù, vorrei richiamare un aspetto che caratterizza la Sua persona e, in particolare il Suo sguardo. Gesù è un poeta. Questa parola ha probabilmente bisogno di una chiarificazione.
Poeta non è colui che scrive delle poesie, ma chi ha una visione della vita e del mondo. È poeta colui che permette alla vita di sconvolgere l’anima, chi si lascia scalfire dal vento, dalla notte, dalla passione e dalla tempesta, chi non affida il racconto di se stesso, della vita e del mondo a una fredda razionalità senza cuore, ma, invece, riesce a narrare l’esistenza attraverso la profezia dei sogni.
Chi ha uno sguardo poetico è capace di vedere oltre e dentro. Oltre la mera rappresentazione delle cose così come appaiono ai nostri occhi, e dentro quelle stesse cose per cogliervi significati diversi e una presenza silenziosa e invisibile.
Se ci soffermiamo un momento allo sguardo di Gesù, cogliamo la bellezza e la profondità del suo animo poetico. Sono almeno due gli aspetti che ci riconducono al carisma poetico di Gesù: il suo sguardo e i suoi racconti.
Gesù ha un suo modo di vedere. Quando il suo sguardo si posa sull’uomo, Egli è capaci di superare le apparenze, vincere i pregiudizi, liberare chi gli sta davanti dalla prigionia di un’etichetta e non identificare mai la persona con aspetti parziali della sua vita – come il peccato – ma guardarla nella sua totalità.
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Ma, ancor più, Gesù ha uno sguardo poetico perché sa contemplare la realtà. Quando osserva il creato, le cose, il semplice esistente che incontra camminando, il suo sguardo non è mai rapace; non brama di possedere e di usare; non è frettoloso nello spogliare con uno sguardo ciò che gli sta davanti.
Gesù è un contemplativo, con uno sguardo di stupore che si meraviglia e gioca con la vita; per questo, si lascia attorniare dai piccoli e gioca con loro nel bel mezzo di una missione impegnativa e di giornate stancanti. Gesù è un contemplativo perché ha uno sguardo gioioso, che partecipa alla festa di nozze di due giovani a Cana, mangiando e bevendo con loro, ma anche alla gioia di una donna che ritrova la sua moneta preziosa dopo aver spazzato tutta la casa e chiama le amiche per rallegrarsi.
Gesù è un contemplativo che sa andare all’essenziale, a ciò che davvero rappresenta la realtà intima delle cose; per questo, egli sa cosa c’è dietro la perdita di una pecora per un pastore, conosce il desiderio del seminatore quando getta il seme sul terreno, ha ben chiaro il valore simbolico del sale e della luce, di una misura abbondante di grano e di un albero rigoglioso dove gli uccelli possono fare il nido.
È uno sguardo che, dinanzi alle situazioni quotidiane della vita, si interroga, desidera, sa attendere, sa giungere in profondità per trasmettere calore, accoglienza e amore. In ogni cosa del creato, sa cogliere la bellezza e la verità, porgendola a noi: guardate gli uccelli del cielo, osservate i gigli dei campi. Perché non siete fiduciosi come loro e vi preoccupate?
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Ancor più, questo sguardo poetico di Gesù si trova nei suoi racconti, nel modo in cui ci parla di Dio usando delle narrazioni poetiche per eccellenza: le parabole. Egli sa che i momenti di momenti di trasformazione della vita non avvengono in modo sconvolgente, ma in quella valle ordinaria e spesso banale della vita quotidiana, quando sappiamo sporgere il cuore vero l’infinito; per questo motivo, sceglie di parlare di Dio non da una cattedra sacra altisonante, ma semplicemente osservando e interpretando le cose di ogni giorno: immagini di vita vissuta, di travaglio quotidiano, di lavoro sudato, di sogni infranti e mai spezzati. E, così, egli permette a chi ascolta di immaginare Dio partendo dalle cose della sua vita, svelando che la grandezza del Dio Eterno si nasconde e si svela nella piccolezza dei dettagli.
Le parabole ci parlano di Dio attraverso le immagini della vita: un pastore col suo gregge, il lavoro dei campi, il grano, il seme, la vigna coi i suoi operai. Così, Gesù fa entrare Dio nelle esperienze di tutti i giorni e apre gli occhi di coloro che ascoltano perché anch’essi diventino capaci di guardare in profondità: Egli permette loro di trovare Dio come Colui che abita nel sorgere del giorno, nella gioia di una festa di nozze, nella fragranza del seme del campo, nell’allegria di una donna, nelle gemme di primavera che spuntano sugli alberi, nel contadino che semina o nel vignaiolo che pianta. E, ancor più, nella storia comune di un padre e due fratelli, definita da Primo Mazzolari “la più bella avventura mai raccontata”.
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Guardando all’animo poetico di Gesù possiamo lentamente lasciarci trasformare nello sguardo, per imparare anche noi a leggere noi stessi, gli altri, la vita e la realtà che ci circonda attraverso gli occhi della contemplazione; ci accostiamo alle cose cogliendone il senso profondo, e ci accostiamo alle persone togliendoci i sandali per non calpestarle e cogliendo il mistero unico che si nasconde dietro ad esse.
Possiamo imparare a trovare Dio non solo nell’evento, nella parola, nel concetto, nell’incenso di una bella liturgia, ma anche nella ferialità della vita, dove Egli si svela come Dio dei miei giorni e di tutti i giorni e mi parla e mi interpella attraverso la bellezza della natura, lo stupore per un tramonto mozzafiato, la meraviglia per i gesti degli animali, l’eleganza di un fiore che spunta, il miracolo di un po’ di farina che diventa pane. Semplicemente, la fragranza semplice ma fondamentale del quotidiano.
Come Chiesa, possiamo imparare ad avere uno sguardo sereno e luminoso, senza essere prigionieri della lamentela, del vittimismo o del moralismo. Invece che giudicare l’apparenza, possiamo accogliere il mistero delle persone; invece che volare nei concetti filosofici, possiamo aiutare a interpretare e leggere le piccole cose della vita. Più che parlare di Dio attraverso fredde verità e rigidi concetti, possiamo come Gesù raccontare delle storie, impastate di vita e di umanità. E lì, il volto di Dio splenderà come il Dio della poesia, che ha uno sguardo di bellezza sulla nostra vita.
E guardando a Gesù, possiamo scoprire questo Dio che abita nelle pieghe nascoste dei giorni, nel nostro lavoro, nel nostro camminare, nella gioia di un bicchiere di vino bevuto in compagnia e nella speranza che anima le nostre fatiche.
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Francesco Cosentino, sacerdote calabrese, è docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana e officiale della Congregazione per il clero. Tra le sue pubblicazioni recenti: Immaginare Dio. Provocazioni postmoderne al cristianesimo (Cittadella, 2010); Il Dio in cammino. La rivelazione di Dio tra dono e chiamata (Tau, 2011); Sui sentieri di Dio. Mappe della nuova evangelizzazione (San Paolo, 2012); Incredulità (Cittadella, 2017).