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Santa Caterina da Genova: essere causa del dispia­cere di Dio, la pena in Purgatorio

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 29/10/19
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Don Marcello Stanzione spiega le visioni e gli scritti della mistica ligure secondo cui l’anima purgante soffre ma è serena perché si sta liberando del peccato

Nella sua opera più famosa, il “Trattato sul Purgatorio“, santa Caterina da Genova (1447-1510) racconta il Purgatorio come non siamo abituati ad immaginarlo. Una descrizione che è sia il frutto di alcune visioni, sia un’esperienza vissuta in prima persona, attraverso le sofferenze patite durante tutta la sua vita, specie negli ultimi nove anni, che accetterà come mezzo di purificazione.

Quello che stupisce ed è innovativo, rispetto agli scritti precedenti sul Purgatorio – scrive lo studioso Don Marcello Stanzione in “Santa Caterina e le anime del Purgatorio” (edizioni Segno) – è che per la santa esso rappresenta il regno dell’Amore; non più visto, quindi, come un inferno a scadenza, ma come un dono dell’amore divino per ristabilire un ordine turbato dal peccato.

È come un fuoco d’amore che distrugge la “ruggine” del peccato e le anime sono totalmente abbandonate in questo amore, seppur doloroso, perché sono “così felici di appartenere al piano di Dio, che non hanno pensieri per se stesse e non sono più in grado di desiderare altro se non esclusivamente il volere puro della carità pura”.

La purificazione delle anime

La vera felicità per le anime del purgatorio, scrive Stanzione, consiste nella totale adesione alla volontà divina senza alcuno sguardo su se stesse, né sulle altre anime. Il loro sguardo è fisso nella speranza dell’unione con Dio e la sofferenza derivata da questa mancata unione con Dio, cresce man mano che l’anima si purifica dalle scorie del peccato, finché l’anima si perfeziona e cresce il desiderio di Dio.

La purificazione che intende Caterina arriverebbe attraverso pene sensibili come quelle date dal fuoco. In questo modo segue la teoria di san Tommaso d’Aquino per il quale le anime possono soffrire pene sensibili.


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O nel bene o nel male. Per sempre

Nella visione del “Trattato del Purgatorio”, al termine della sua vita terrena l’anima rimane fissa per sempre nel bene o nel male che essa ha scelto. La santa afferma: “Per ciò che dipende da Dio; vedo che il Paradiso non ha porta alcuna: chi vuole entrare lo può fare perché Dio è tutto misericordia e sta con le braccia aperte verso di noi, per riceverci nella sua gloria”.

Ma poiché l’Essenza Divina è così pura, l’anima con un qualsiasi impedimento dovuto al peccato si precipita da sola nel Purgatorio per distruggere questo impedimento.

Il “viaggio” delle anime

Per santa Caterina, evidenzia l’autore del libro, l’Inferno e il Purgatorio manifestano l’ammirabile sapienza di Dio. “Nel momento stesso in cui lo spirito si separa dal corpo, l’anima – se si diparte in peccato mortale – raggiunge il luogo prestabilito, guidata dalla natura del peccato”. L’anima in stato di peccato, non trovando un luogo appropriato a sé, va da se stessa nell’Inferno; l’anima giusta che non ha ancora la purezza necessaria all’unione, si getta essa stessa volontariamente nel Purgatorio per essere purificata.

Questo aspetto viene sottolineato da santa Caterina con il termine della “scelta” dell’anima: “L’anima sceglie questo luogo per trovare in esso la misericordia che le occorre per potersi mondare dalle sue colpe”.

Lo stato di colpa

La differenza che intercorre tra le anime che vanno in Purgatorio e quelle che procedono all’Inferno è relativa allo stato di colpa. La santa lo definisce come stato di volontà di peccare: “La colpa resta sempre e dura quanto l’uomo resta nella volontà del peccato, commesso o da commettere”.

Il passaggio importante è quello del pentimento o dolore per i peccati commessi a cui consegue il perdono e la conseguente purificazione.


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Come la ruggine

Per santa Caterina la purificazione dal peccato può essere intuita pensando alla ruggine. Il dolore dell’anima non diminuisce, ma cresce in proporzione inversa al diminuire del tempo di espiazione dei peccati.

L’immagine della ruggine è vista da santa Caterina come “copertura delle anime del purgatorio: quando la copertura si consumerà esso si dischiuderà al sole e corrisponderà al riverbero del sole nella misura in cui si sarà consumato ciò che lo copriva”.


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Il fuoco

L’immagine del fuoco e della ruggine ritorna spesso nel Trattato: “La ruggine del peccato è l’impedimento; il fuoco consuma la ruggine e così l’anima si apre sempre di più all’influsso di Dio”. La santa vede come dei raggi di fuoco che purificano l’anima e li paragona all’oro liberato dalle sue scorie nel crogiolo. Quando l’anima è interamente purificata il fuoco non ha più nulla da bruciare ed essa non ne sentirebbe alcun dolore.

Per santa Caterina il fuoco diventa simbolo di una purificazione mistica.

Non è un inferno temporaneo

Dunque è totalmente ribaltata la visione di purgatorio come di un inferno temporaneo. Se dunque le anime sono immerse nel fuoco dell’Amore divino è vivissima in loro la gioia data non solo dalla speranza, ma anche dalla possibilità di diventare come si sarebbe dovuti essere, ossia ricolmi dell’amore netto e puro, disinteressato e forte che aveva Caterina.

Il fuoco dell’Amore immerge l’anima nella Carità Vera, ossia in Dio, per cui nulla che sia contrario all’Amore rimane più in essa. Certo questo non avviene senza sofferenza poiché ogni purificazione la esige.

La vera pena, infatti, di coloro che sono in Purga­torio “è soprattutto quella di essere causa del dispia­cere di Dio e il fatto che esso sia il frutto di un atto volontario compiuto contro la bontà divina, rispet­to a qualsiasi altro dolore. Dico ciò perché i pur­ganti, dal momento in cui godono della Grazia, si accorgono finalmente dell’importanza dell’impedi­mento che li distacca da Dio”.



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