Una polemica di cui sembra colpevole solo Fabio Volo. Eppure non c’è difesa possibile per l’ennesima pop-star usata come merce sessuale per spostare sempre un po’ più in là il limite dell’indecenza. Fabio Volo è un maschilista, Ariana Grande una coraggiosa ragazza libera. È più o meno così che l’intero coro del mondo social e dell’informazione ha indirizzato la polemica sorta in questi giorni. Cito come esempio la chiosa del pezzo di Claudia Torrisi su Vice:
È solo l’ennesima espressione di maschilismo mascherata da buon senso, da padri preoccupati e tutori della morale, contornato da grasse risate. (Per fortuna Ariana Grande non è figlia di Fabio Volo)
Proviamo a supporre cosa possa essere successo partendo da queste parole, senza conoscere la polemica reale. Potrei immaginare un’uscita pesante e aggressiva di Fabio Volo che abbia ingiustamente leso una ragazza, suscitando una cordata femminile di sostegno e difesa della dignità di lei. Ebbene, Fabio Volo è stato davvero pesante, ma la donna da difendere è lei:
Ariana fa festa con le amiche. Niente di male
Cosa è dunque successo? In molti lo saprete già. Dai microfoni di Radio Deejay Fabio Volo ha commentato con parole molto volgari il video della canzone 7 rings di Ariana Grande, sostenendo che sia l’ennesima istigazione per le nostre figlie a comportarsi da sgualdrine.
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Mi astengo dal ripetere le parole esatte del conduttore-scrittore non per giustificare o edulcorare il suo discorso, ma proprio perché sono irripetibili. Sono segno che un buon argomento meriterebbe una forma semplice e adeguata, senza scendere – come è abitudine abusata – nel turpiloquio. Ben gli sta. Grazie a questo scivolone nella volgarità, l’informazione mainstream ha trovato l’appiglio giusto per mettere alla gogna lui e santificare la Grande. È davvero dura trovare qualcuno che osi dire che, forse forse, Fabio Volo ha detto – malamente – la verità.
Si trovano invece frotte di commenti, proprio scritti da donne, che seguono la falsa riga di questo:
“Wear a ring, but ain’t gon’ be no Mrs
Bought matching diamonds for six of my bitches”(“Porto un anello ma non sono la donna di nessuno
ho comprato sei diamanti uguali per sei delle mie amiche”)Nel video Ariana Grande balla con le sue amiche, è una festa di sole donne; il testo è pronunciato da una donna che può fare a meno dell’uomo, e non ha neppure bisogno di dirglielo: la sua canzone non è rivolta a lui, non lo riguarda. Non c’è bisogno di scomodare Paul Gilroy per capire che qui c’è tutto il portato dell’hip-hop come racconto di emancipazione sociale. (da giornale della musica)
La chiamano emancipazione sociale, mi pare ben altro. Firma questo pezzo una donna, Lia Bruna, che evidentemente sarà abituata a feste lussuose e lussuriose di cui l’immagine sopra ci illustra ogni dettaglio. Evidentemente approverà questo modello, ma non credo che il pensiero di tutte le donne sia allineato al suo. Qualcuna, molte, si sentono offese che per l’ennesima volta un video musicale racconti il divertimento giovanile in una simile cornice. Evidentemente, poi, la suddetta autrice è furbetta, perché traduce come le pare il passo della canzone di Ariana Grande: “bitches” secondo il dizionario significa ancora “puttana”, per quanto lo slang ne abbia reso in certi ambianti una forma di appellativo per le “amiche”.
Chiedo: certi ambienti in cui le amiche si appellano così non si possono criticare? È lecito solo criticare Fabio Volo che usa quell’appellativo volgare per Ariana Grande o è anche lecito aver qualcosa da dire ad Ariana Grande che sceglie un tono linguistico identico per rivolgersi alle amiche? Redarguisco l’uno, ma non approvo l’altra.
E non contesto Ariana Grande al singolare come persona. Siamo assediati da immagini identiche, pur nella varietà di depravazione: è evidente a tutti che i video musicali sono ampiamente sconfinati nella pornografia e non c’è fascia protetta che tenga. Il fatto che ci siamo abituati (o meglio: il fatto che attraverso lo stillicidio quotidiano la propaganda dietro queste immagini sia diventata abituale) è un’aggravante. Una ragazza vestita da coniglietta, sdraiata sul tavolo, in pose ammiccanti e in un contesto molto simile a quello delle donne esposte in vetrina nei bordelli non è “una donna libera di essere chi vuole e vestirsi come le pare”. No, care redattrici di DiLei, non ci beviamo la vostra versione dei fatti:
Che a guardare bene quel “l’ho visto, mi piace, lo voglio, ce l’ho/lo prendo” che ha scandalizzato tanto lo scrittore [Fabio Volo – Ndr] non aveva alcun riferimento sessuale, ma riguardava la possibilità di spendere e acquistare senza problemi grazie alla sua emancipazione. Un segnale forte di empowerment che gli è sfuggito. Ma in fondo la malizia è sempre negli occhi di chi guarda. (da Di Lei)
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Peccato non poter bussare alla porta di Aretha Franklin per chiederle cosa ne pensa di questo genere di empowerment. Nessun riferimento sessuale? Per scrivere una menzogna del genere non occorre certo avere malizia negli occhi; occorre invece aver acconsentito a prostrarsi a un pensiero nient’affatto leale con la femminilità e tollerante verso le sue ciniche logiche commerciali. Ma la gente comune ha ancora sufficiente buon senso per capire quando simili pennivendoli mentono sapendo di mentire.
La nuova dis-educazione sentimentale
Ariana Grande è una manna dal cielo per il businness: è una ragazza che ha 26 anni e ne dimostra 15. Concede il lusso di speculare sulla pedofilia senza trasgredire la legge. Tutto in quel video suggerisce questo scenario: le luci rosa, la cameretta, i pupazzetti. Non veniteci a raccontare che è fatto apposta per contestare lo stereopito della casa di bambola. È proprio fatto apposta per usare la casa di bambola come invito sessuale e per blandire chi – e sappiamo che il mercato è vasto – ha un debole per le ragazzine molto molto giovani.
Cosa vedo in questa foto? Una ragazza libera di vestirsi come vuole? No, vedo la schiava di un mercato che usa il corpo di una giovane per fare soldi col sesso. Vedo una vittima chiamata col nome di pop star internazionale. Non vedo nessuna libertà, ma un abuso. Ariana Grande e tutte le altre Britney-Spears-che-verranno non sono affatto libere. Se così fosse, vedremmo nei video musicali una varietà di proposte femminili ampia e disomogenea; invece vediamo solo seni rifatti, labbra turgide, volti truccati e photoshoppati, vestiti costosi, scene di sesso in ambienti extralusso. I video musicali delle pop star milionarie sono davvero tutti volgarmente uguali, un insulto alle donne e una ingiusta provocazione per le nostre figlie. Quando il panorama è tutto uguale, vuol dire che la libertà è assente. Le chiamano star e influencer, ma dietro la pellicola c’è qualcosa di molto simile – se non peggiore – al paese dei balocchi di Pinocchio. Non cascateci, ragazze! Al dittatore sul trono oggi non piacciono le divise da carcerati, gli piace invece ammantare le sue schiave di diamanti, Chanel & followers. Sembra la felicità, resta una prigione.
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Ed è una prigione che vorrebbero imporci. Il giochetto dietro la canzone 7 rings di Ariana Grande (che ha suscitato il turbamento di Fabio Volo) è solo l’ultimo tentativo di introdurre capitoli sempre più degratati di una tremenda dis-educazione sessuale. Il motivetto alla base della canzone in questione è preso dalla colonna sonora di Tutti insieme appassionatamente: molti si ricorderanno la scena in cui Julie Andrews accoglieva nella sua stanza i figli del colonnello Von Trapp e li consolava dal temporale cantando Le cose che piacciono a me.
Ecco, il brano è quello e Ariana Grande lo usa per raccontare le cose che piacciono a lei. Il velo cade, il senso è chiaro. L’età dell’innocenza, dei legami familiari autentici, raccontata da Tutti insieme appassionatamente, non deve esistere più; perché farsi educare da Suor Maria se oggi ci si può far educare da una giovane bambola disinibita? Le parole della canzone sono altre ma il messaggio delle immagini parla chiaro:
Cara ragazzina, vedi come si fa? Lascia stare le premure della mamma e del papà, vieni ad abitare nella casa delle amiche che possono renderti felice: spogliati, truccati, seduci non è troppo presto. Non vedi in quanti amano Ariana Grande e la adorano perché sculetta e si morde le labbra?
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Turbamento
La scrittrice Michela Murgia è tra le molte donne che hanno difeso la pop star e puntato il dito contro Fabio Volo:
Ariana cara , non ti mettere a 20 unghie – esordisce la Murgia – non lo fare perché lo turbi quest’uomo qua. Potresti dare cattivo esempio alle figlie inesistenti di un uomo che intervistava nudo Alessia Marcuzzi. Vuoi turbare un uomo così? Un uomo che da come sei vestita giudica la tua moralità? Non lo fare, canta non a quattro zampe ma a due quanto meno e non vestirti col body, non vestirti di rosa, perché poi ti dice tutte quelle brutte parole, che ti sei vestita un po’ intro*ata. (da Repubblica)
Prendo questo caso come esemplare per la contraddizione che contiene. Michela Murgia è stata violentemente aggredita e insultata per il suo aspetto fisico, conosce sulla sua pelle la violenza che lede la dignità di ogni persona, donna in particolare. Eppure in questo caso, il turbamento da ridicolizzare secondo lei è quello del maschilista Fabio Volo. Non una parola sul vero e preoccupante turbamento che una figura agghindata come una bambola (e messa quattro zampe a dire oscenità) provoca sulle ragazze e sui ragazzi pre-adolescenti e adolescenti. Non una parola spesa per ricordare che per l’ennesima volta dobbiamo subire la sfacciataggine di un corpo perfetto e ostentato, senza pensare quali danni psicologici può generare in una giovane ragazza in difficoltà ad accettare un corpo imperfetto. È la solita frase moralista? Se lo è, è il caso di ripeterla di fronte a ogni nuova imposizione mediatica che spinge sempre un po’ più in là il limite dell’indecenza. Spero che la signora Murgia sia consapevole che difendere l’immagine femminile esibita in quel video significa ferire l’anima di molte ragazze.
Ci sono molte giovani donne che hanno bisogno di essere difese dall’immagine che le tante Ariana Grande spiattellano davanti a noi senza cortesia, con una violenza subdola gravissima. Perché la signora Murgia e le altre giornaliste non hanno speso una parola per queste giovani, normali e imperfette come tutte noi ma ancora prive di una serena consapevolezza? Perché neanche un inciso per ribadire che no, nessuna deve scendere così in basso nella volgarità per sentirsi accettata, piaciuta, considerata?
Non veniteci a dire che la ragazzina chiusa in una scatola e in posa da rivista hard è l’ultimo gradino dell’emancipazione femminile. Quello che tutti noi vediamo in questa foto è il prezzo troppo alto che alcuni accettano di pagare, è tutto ciò da cui vogliamo tenere lontani i nostri figli ed è una bugia: nessuna donna è appagata e felice dentro quella scatola di plastica rosa. La verità spiacevole non è neppure troppo lontana da cercare, lo scorso aprile Ariana Grande parlò della sua depressione su Instagram citando una definizione di Jim Carrey:
La depressione è il tuo corpo che ti dice: ‘Non voglio più essere questo personaggio. Non voglio più recitare questo avatar che hai creato nel mondo. È troppo per me’.