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NY: diplomati 13 nuovi pompieri, figli di vigili del fuoco morti l’11 settembre

GROUND ZERO, FIREFIGHTER
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Annalisa Teggi - pubblicato il 11/09/19
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18 anni fa l’attentato alle Torri Gemelle: il ricordo, ancora pieno di dolore, si riempie di nuove storie fiorite da quelle macerie. Il sacrificio di questi padri ha lasciato in eredità ai figli il valore della solidarietà, del coraggio e della difesa della vita.Ricorre oggi il 18esimo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle di New York, un numero evocativo che associamo alla maturità.

Colpiti a morte da un attentato pianificato per essere simbolico oltre che devastante, gli Stati Uniti fanno ancora i conti con l’impatto di quella strage. Eppure il tempo trascorso mostra che l’umano s’impegna a far fiorire la terra insanguinata, sia che i singoli uomini siano consapevolmente legati o meno a quella verità evangelica sul seme che morendo dà frutto. Si mostrano, a questo proposito, segni di inequivocabile maturità nel popolo americano o, se vogliamo, segni di un cammino che parte dalla voragine di Ground Zero e conduce a una ricostruzione dei cuori, non solo dei grattacieli.

Il progetto Look Up di Aleteia ha ospitato la storia di Tom Colucci, capitano dei Vigili del fuoco di New York che sulle macerie delle Torri Gemelle ha fondato la sua vocazione ed è diventato sacerdote. Partire dalle sue parole aiuta a guardare nella direzione giusta:

Quel giorno abbiamo visto il peggio dell’umanità, ma anche il meglio. Tutti dicono: “Dov’era Cristo quel giorno?”. Beh, ho visto il Suo volto tra i soccorritori, tra le persone che sono corse ad aiutare.



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Onora il padre

Molti altri hanno visto, in mezzo a quel cumulo di macerie, urla, cadaveri e distruzione, il riflesso di qualcosa che morte non è. Tante storie umane documentano cambiamenti, svolte, occasioni nate all’indomani dell’ 11 Settembre 2001. L’America, poi, ha un rapporto profondissimo con l’epica del singolo: gli esempi umani hanno un valore fondativo per l’intera comunità. In questi giorni un altro paragrafo luminoso si aggiunge al capitolo più cupo della recente storia statunitense: 13 giovani, figli di pompieri morti a Ground Zero, si diplomeranno all’Accademia dei vigili del fuoco di New York. Hanno seguito le impronte paterne, il valore buono del sacrificio ha prevalso sull’ombra della paura e del pericolo. Chi sono?


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Sono 12 uomini e 1 donna, ci sono due coppie di fratelli. Non sono i primi “orfani dell’11 settembre” ad aver scelto di servire la propria città, ma questa classe di futuri pompieri è quella in cui è più numerosa la presenza di figli delle vittime dell’attentato di 18 anni. Il New York Post ha raccolto le loro storie, o meglio quelle dei loro familiari, perché ai ragazzi è stato chiesto il silenzio stampa fino al giorno del diploma, il prossimo 24 settembre.

Spicca senz’altro il profilo della famiglia Asaro: morendo a soli 39 anni, il papà Carl lasciò orfani 6 figli. L’11 settembre 2001 a Ground Zero morirono insieme a lui altri 15 colleghi della sua stessa unità. Due dei suoi figli maggiori sono già entrati nel corpo dei vigili del fuoco, questo mese si aggiungeranno i due più “piccoli”, Rebecca di 27 anni e Matthew di 30. Il pensiero va subito alla madre, a un cuore ferito che potrebbe patire di queste scelte; la signora Heloiza invece sostiene con entusiasmo i suoi ragazzi:

Essendo loro due i più giovani, sono più preoccupata. Vogliono onorare il loro papà, aiutando gli altri come faceva lui. Anche se non fosse morto avrebbero fatto i pompieri. Fin da quando erano piccoli il vigile del fuoco era Babbo Natale. Coi vigili del fuoco facevamo i picnic.

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https://pixabay.com/photos/firefighter-training-live-fire-848346/

Tra questi giovani che hanno deciso di seguire le orme paterne ci sono anche figli di vittime morte a causa dell’attentato alle Torri Gemelle, ma molto dopo l’11 settembre. Si pensa di solito a chi è morto eroicamente sul campo quella mattina del 2001, ma tantissimi si sono spenti in ospedale molti giorni o mesi o anni dopo in conseguenza a traumi o tumori procurati dal servizio in quell’inferno di macerie.

Cos’è il coraggio?

Complimentandosi con i 13 candidati che a breve saranno vigili del fuoco a tutti gli effetti, il commissario Daniel Nigro ha dichiarato:

Queste famiglie, che hanno sacrificato così tanto per la nostra città, si distinguono per il coraggio. Sono orgoglioso dell’impegno che i ragazzi hanno già dimostrato e non vedo l’ora di festeggiare insieme a loro. (da Il Fatto Quotidiano)


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Coraggio è una parola da riempire di esperienze vissute perché non cada nel grande cesto della pura retorica.

Ci ricordiamo senz’altro quel giorno di 18 anni fa, quando ancora non sapevamo cosa, chi e perché, eppure vedevamo New York immersa nel panico e nel fumo. Controcorrente rispetto alla fuga generale di gente impazzita di paura andavano le vetture dei pompieri, a sirene spiegate verso il centro del disastro. Sfrecciavano per le strade perdendosi poi in una nuvola di fumo fittissimo. Non si sapeva ancora niente, se non che degli aerei si erano schiantati sulle Torri Gemelle; era certo che migliaia di persone fossero in trappola nei grattacieli colpiti.

Il coraggio non è solo quello del soldato impavido di fronte a un nemico odiato. C’è un coraggio che si muove in virtù di un ideale da difendere. Molte vittime dell’11 settembre morirono senza sapere nulla di Al Quaeda; molti poliziotti, infermieri, pompieri e comuni cittadini morirono ignorando Bin Laden ma affermando il valore del soccorso, della solidarietà, della fratellanza che si sente più forte quando c’è un pericolo mortale.

Chesterton disse che il vero soldato combatte non perché odia ciò che ha di fronte ma perché ama chi ha alle spalle. Il coraggio di chi presta servizio per il bene della collettività ha questa forma; il vigile del fuoco arriva lì dove gli altri scappano. C’è un’altra definizione di coraggio che ho imparato da Chesterton e che mi pare adeguata a descrivere chi è disposto a sacrificare la propria vita, consapevole dei rischi:

Coraggio è, in effetti, una contraddizione in termini. Significa: un forte desiderio di vivere che prende la sua forma dalla prontezza a morire. ‘Chi perderà la sua vita, la salverà’, non è una citazione mistica per santi ed eroi. È un’indicazione quotidiana per marinai e montanari. Potrebbe essere stampato su una guida alpina – o su un manuale di addestramento. Questo paradosso è il principio su cui si basa il coraggio, anche il coraggio assolutamente terreno e brutale. […] Ma la Cristianità ha fatto di più: ha segnato il limite tra la tomba tragica di un suicida e quella di un eroe, mostrando la distanza che c’è tra chi muore in nome della vita e chi muore in nome della morte. (da Ortodossia)

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Incosapevolmente i padri di questi nuovi 13 vigili del fuoco hanno dato una risposta testimoniata al terrorismo dei kamikaze. Si può dare la vita morendo; la morte può essere l’ultima testimonianza che un padre dà sul valore che è la vita, cara al punto di sacrificarsi perché altri siano salvi. Questo genere di coraggio, nutrito di uno sguardo d’amore per chi si ha alle spalle, genera. La logica della morte personale è sconfitta lasciando ai propri figli un seme da nutrire.


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Tante volte noi genitori ci preoccupiamo di dare il buon esempio, di avere un comportamento irreprensibile; l’astrazione poi cede il passo a tanti inciampi nel quotidiano. Immagino che quei padri morti alle Torri Gemelle fossero distratti e imperfetti come noi, magari sbottavano malamente durante i litigi domestici e avevano altri comportamenti scomposti. Il loro esempio non è quello di un eroismo fuori dalla portata di noi comuni mortali, semmai la loro storia ci ricorda l’urgenza di una domanda: se all’improvviso ti venisse chiesto di rendere conto di tutto, sapresti per cosa vale la pena vivere e dare la vita?