La vicenda dei 13 ragazzi intrappolati dal 23 giugno scorso in una grotta in Thailandia si è conclusa con la salvezza di tutta la squadra ma anche a prezzo di una vita: il sub volontario, ex militare, è morto per mancanza di ossigeno
Il salvataggio dei Cinghialotti: i numeri di una lunga prova di resistenza, competenza e amore fraterno
Quattro i chilometri di percorso dalla grotta Pattaya Beach alla luce del mondo esterno. Non troppa, all’inizio, perché dopo più di due settimane (18 giorni per la precisione, dal 23 giugno) passate all’oscuritàgli occhi di quei bambini non sono in grado di reggerla. Quattro i ragazzi estratti la prima giornata di recupero, avviato con l’incombere di nuove piogge; notava poco fa su Skytg24 il giornalista che la situazione meteo pare avere risparmiato in questi ultimi giorni proprio la zona circostante la grotta. In tre giorni, dal 9 all’11 luglio, sono usciti tutti, compresi i quattro Seal Navy che per una settimana hanno fatto compagnia ai ragazzi.

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Più di cento erano i soccorritori impegnati nel salvataggio di queste vite che improvvisamente si sono mostrate per quel che sono: preziosissime. E non per i loro cari soltanto, ma per tutta la loro nazione e per il mondo intero. Non è mica colpa dei social, non c’entra il web. C’entra la pasta di cui siamo fatti e a tutte le latitudini. C’entra una rete invisibile e forte che un po’ ci tiene in trappola e un po’ ci culla ed è la dipendenza reciproca, l’amore, il senso di bene per ogni vita che sia sbucata nel mondo. Certo esiste anche la forza opposta che ci allontana e ci fa trovare gli uni gli altri molesti se non detestabili, addirittura. Non importa, quella spesso se ne va di fronte al pericolo.
Siamo tutti nella stessa rete e non è il web
Queste vicende così drammatiche, soprattutto quando si risolvono positivamente, hanno il grande merito di rivelarci di nuovo a noi stessi, noi tutti come famiglia umana. Siamo legati l’uno all’altro, siamo dipendenti l’uno dalla felicità dell’altro. Ora capisco il senso di commozione che spesso mi assale quando vedo le ambulanze che corrono e tutti noi automobilisti le lasciamo passare contenti di non essere più di intralcio; o quando in spiaggia o al supermercato vedo ben segnalate le attrezzature mediche per la rianimazione. Siamo tutti lì insieme, apparentemente indifferenti gli uni agli altri, affaccendati a riempire il carrello o distratti dal telefono, ma un amore reciproco, incondizionato, taciuto quasi per imbarazzo resta in agguato, pronto ad inchiodarci di nuovo gli uni alla vita degli altri.
Così è stato per i Cinghiali del Moo Pa e per il loro allenatore, “Ek”. I genitori si sono affrettati a comunicare al coach sostegno, perdono e l’assenza totale di rimprovero. Lui chiedeva scusa e intanto, là dentro, rinunciava a tutto a favore dei suoi ragazzi. E’ lui infatti ora quello in condizioni più critiche, sia cliniche, sia familiari (è orfano dai 12 anni), sia giudiziarie: la mossa di portarli all’interno della grotta senza nessuna misura di sicurezza è stata perlomeno incauta. Ma scopro leggendo che di risorse nascoste ne aveva e le ha messe al servizio dei ragazzini: tecniche di meditazioneper resistere alla fame e all’ansia.
L’annuncio dell’esito delle operazioni da parte dei Navy Seal è quello ormai famoso che non sa decidersi tra la doppia ipotesi miracolo o scienza. A noi da qua pare un bel mix vincente di entrambe le cose.