Sconosciuti, poi subito amici. Uno scatto diventato virale, la cui migliore didascalia è ciò che disse Chesterton sulla compagnia: “Non ci sono parole per esprimere l’abisso che corre fra l’essere soli e l’avere un alleato”.In America le scuole cominciano ad agosto. Ai nostri figli verrebbe da sudare freddo, a noi genitori – che abbiamo più o meno egregiamente gestito la quotidianità della pausa estiva – può forse nascere un’ipotesi di endorsement al sistema statunitense. Il primo giorno di scuola, oltre che un evento reale, è un simbolo che abbraccia molte altre esperienze di vita: la fatica e paura di ogni inizio, soprattutto.
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Ad ogni nuovo anno scolastico è tradizione fare le foto di rito davanti all’ingresso col bimbo – non sempre ben disposto a sorridere – in divisa o col grembiule inamidato e nella città di Wichita in Kansas (io ce l’ho in mente solo grazie al film Erin Brockovich) una mamma si è ritrovata tra le mani uno scatto che è e sarà qualcosa di più di una semplice foto ricordo. Courtney Moore si è accorta che suo figlio Christian ha fatto un gesto di vera amicizia verso un bimbo che non conosceva:
Sono orgogliosa di mio figlio, ha visto un bambino stretto in un angolo ed è andato a consolarlo; gli ha preso la mano e sono entrati a scuola insieme. È un onore crescere un figlio così amorevole e compassionevole. Ha un cuore grande e il primo giorno di scuola è iniziato proprio bene.
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Christian non conosceva Connor, il bimbo in difficoltà; l’ha aiutato spontaneamente ignorando che fosse affetto da autismo e che quindi il carico emotivo da gestire in quel momento fosse ancora più forte per lui. Insomma, è stato un gesto libero in cui al centro della scena c’è uno sguardo di amicizia senza altre etichette, neppure quella del pietismo. Non solo Connor, ma anche la sua mamma stava vivendo con apprensione il nuovo inizio scolastico. Il gesto di Christian ha smussato le preoccupazioni di lei:
Ho paura ogni giorno che qualcuno lo derida perché non parla correttamente, o che lo deridano perché non riesce a stare seduto fermo e salta su e giù battendo le mani. (da Western Journal)
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Due è duemila volte uno
Il gesto di Christian è diventato virale, con tutto il bene e male che la grande visibilità comporta. Da una parte sono immagini come questa che “vincono” su mille tentativi astratti di far emergere il valore della cultura dello scarto. Dall’altra il rischio è quello di trasformare Christian in un idolo. Se n’è accorta sua madre Courtney che, pur essendo ben felice che il gesto di suo figlio sia stato tanto applaudito, ha riportato il fatto nei ranghi, cioè ha chiamato in causa Dio:
Molte volte noi genitori dimentichiamo che i nostri figli non sono nostri, appartengono a Dio. Dio ce li affida affinché noi genitori li sorvegliamo e guidiamo. Sono una mamma orgogliosa in questo momento, ma questo non è il mio momento, è di Dio. Lui ha usato Christian e Connor come messaggeri per riportare la speranza al nostro paese, possiamo essere davvero uniti. Nessun genitore è perfetto, il ruolo di genitori non sarà mai perfetto. Viviamo e impariamo dai nostri errori e cresciamo anche grazie a essi. “Ci vuole un villaggio per crescere un bambino”.
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Come madre a me spesso l’orgoglio s’impenna quando un figlio compie un gesto apprezzato dagli altri, ma la vanità non mi dà la stessa gioia di quando guardo una capacità impensata di mio figlio e mi accorgo all’improvviso della novità dirompente che è la sua presenza, ben oltre la mia presunzione di conoscerlo. Sono appunto i momenti in cui mi accorgo che non è mio.
Ma il piccolo Christian mi perdonerà se oso azzardare un’ulteriore lettura dello scatto di cui è protagonista. Che ne diciamo della presenza dirompente di Connor? Smarrito in mezzo alla gente, impaurito ad entrare, schiacciato in un angolo. E’ lui che ci mette a nudo; è lui il ritratto in cui mi ritrovo meglio descritta. Di fronte all’idolo del sentirsi sempre all’altezza, occorre applaudire la forza dei fragili. Chi non ha maschere e mostra un volto vulnerabile di fronte agli inizi, alle novità, agli incontri, alle possibilità è il nostro migliore alleato. Proprio perché ci ricorda che è più umano affrontare ogni cosa con un alleato. Chi si sente all’altezza, o presume di esserlo, resta fondamentalmente solo e si condanna ad un pericoloso autogol.
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E’ bello che ci sia qualcuno che ci tende la mano (Christian), ma è altrettanto necessario che ci sia qualcuno che non nasconda di avere bisogno di una mano (Connor). Talvolta riusciremo a essere premurosi come Christian, ma ogni mattina siamo fragili come Connor. Magari non sempre vogliamo ammetterlo, mal interpretando la nostra manchevolezza come penalizzazione. Non siamo scalatori solitari, siamo destinati a salire solo in cordata.
Qualche anno fa mi dedicai alla traduzione de L’uomo che fu Giovedì di Chesterton; in molti continuano a chiedermi il senso di quel romanzo, perché effettivamente è una storia così profonda da risultare oscura. Una cosa però mi è chiara: tutte le persone ferite pesantemente dalla vita, trovano conforto in quel libro. Forse perché il filo rosso che sta a cuore a Chesterton è in tutto simile a quello che vediamo nella foto di Christian e Connor. L’esistenza è un mistero, anche Dio resta un mistero in ultima analisi (non ci saranno mai parole umane per “spiegarlo”), l’unica via che la proposta cristiana porta è l’essere compagnia dentro il mistero del vivere. E così nella storia scritta da Chesterton c’è un momento in cui il protagonista si sente completamente in pericolo e solo. Teme che qualcuno lo segua per ucciderlo o rapirlo. La città di Londra è precipitata nel buio di una notte nevosa. La morte sembra a un passo. Invece, chi lo insegue è un amico. Nel momento dell’incontro che salva entrambi Chesterton scrive quella che resta la miglior definizione di compagnia:
Non ci sono parole per esprimere l’abisso che corre fra l’essere soli e l’avere un alleato. Si può concedere ai matematici che quattro è due volte due; ma due non è due volte uno: due è duemila volte uno.
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