“Non passava mai accanto ad una chiesa od in una parrocchia senza salutare l’angelo custode della chiesa, della parrocchia e di ogni abitante; aveva sempre notato in quella devozione i più felici frutti”
San Francesco Regis, della diocesi di Narbona (Francia), nacque il 31 gennaio 1597 da rispettabile famiglia cattolica. Ancora ragazzo, Francesco si dimostrò di indole molto mite e delicata, sebbene non fosse privo dei difetti che accompagnano l’adolescenza. Dimostrò da subito un grande amore per lo studio e molta propensione ed assiduità alle pratiche religiose, così venne introdotto nel collegio dei Gesuiti in Bezieres.
Doti non comuni
Qui, il Signore gli fece conoscere la sua vocazione: doveva essere gesuita e nel 1615 all’età di 18 anni entrò nella Compagnia fondata da sant’Ignazio. Appena Francesco riconobbe quale fosse la volontà di Dio a suo riguardo, si applicò ad eseguirla con tale slancio e ardore che perfino i suoi superiori se ne stupivano. Dopo un breve periodo passato in famiglia, si recò a Tolosa per incominciare il noviziato. Dice il padre Labrone che tante furono le grazie che il cielo profuse in quell’anima, e tanto fedele fu la corrispondenza, che già fin dai primi mesi di noviziato dimostrò, con la vita comune, di possedere delle doti non comuni. Da Tolosa fu mandato a Cahors, dove emise i primi voti; poi fu a Dillon maestro di grammatica.
La cura degli appestati
Dopo tre anni si recò a Tournon per gli studi della filosofia, e infine di nuovo nel 1628 a Tolosa per il ciclo di studi di teologia. Dopo aver ricevuto gli ordini sacri, devotissimo alla Madonna e all’angelo custode, si diede subito con zelo instancabile a curare gli appestati, giacché era scoppiata la peste. Appena il contagio cessò, Francesco cominciò le sue missioni in Linguadoca e Alvernia fra i poveri di campagna, che divennero poi il suo apostolato specifico e grazie al quale ottenne un risultato notevole nel ripristinare l’osservanza delle pratiche religiose in quelle zone abbandonate spiritualmente.
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L’ultima missione
Percorse così, predicando, quasi mezza Francia, raccogliendo ovunque testimonianze di gratitudine. Passava dalle giornate intere nel “ santo tribunale di penitenza” e per fargli prendere un po’ di cibo gli si doveva fare dolce violenza. Con la sua mansuetudine condusse molti eretici calvinisti alla vera fede e trasse dalla via dell’iniquità e dal disonore molte persone, raccogliendole in case apposite. Quando, per privilegio divino, conobbe che la sua ultima ora era vicina, sebbene già molto debole e malandato, volle ancora recarsi a fare una missione; il male però lo colpì durante il viaggio e, affranto dalla febbre e indirizzato dal freddo, dovette ritirarsi in una capanna fino all’alba.
Fu consolato dalla Madonna
Trascinandosi fino al paese, vi arrivò il 24 dicembre 1640. Nonostante fosse così ammalato volle ancora predicare, ma ben presto dovette mettersi a letto, che non lasciò più. Ricevuti i Sacramenti, assistito da due sacerdoti suoi confratelli, visibilmente consolato da Maria, spirò il 31 dicembre 1640. Aveva 43 anni. Papa Clemente XI lo dichiarò beato l’8 maggio 1716 e Clemente XII, il 5 aprile 1737, lo ascrisse al catalogo dei santi.
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Il Curato d’Ars
A La Louvesc, data la crudezza dell’inverno suoi monti del Vivarese, la festa del santo non si celebra nella data di culto ufficiale pubblico (31 dicembre) ma il 16 giugno. Fu durante un pellegrinaggio verso il suo luogo di sepoltura che san Giovanni Maria Vianney, il famoso curato d’Ars, capì la sua vocazione sacerdotale e successivamente scrisse una vita di padre Regis. Il gesuita Giovanni Francesco Regis aveva una tenera devozione ai santi angeli e particolarmente al suo buon angelo custode, al quale si rivolgeva con la più grande fiducia, ponendo la sua salvezza tra le sue mani, e chiedendogli di benedire tutte le sue azioni, per la più grande gloria di Dio.
Il saluto all’angelo custode
Egli non passava mai accanto ad una chiesa od in una parrocchia senza salutare l’angelo custode della chiesa, della parrocchia e di ogni abitante; aveva sempre notato in quella devozione i più felici frutti. Se vedeva venire un peccatore per confessarsi, egli cominciava col raccomandarlo al suo buon angelo, e lo scongiurava di toccare quell’uomo, di spingerlo e di fargli comprendere l’importanza della sua salvezza. I santi angeli non lasciavano questa pia fiducia senza ricompensa.
La mano invisibile
La sua vita ne fornisce un gran numero di prove. Un giorno, egli è fermato da una mano invisibile; non può avanzare. In quell’intervallo, si apre una finestra d’un quarto piano da cui si domanda con grandi urla un sacerdote per assistere una persona che stava morendo. Egli sale ed ha il tempo di sentire la confessione della morente e di amministrarle gli ultimi sacramenti. Chi aveva potuto fermarlo mentre percorreva quella via? Era senza dubbio l’angelo custode di quella persona in agonia, affinché potesse aiutarla a ben morire con i sacramenti. Infatti la Sacra Scrittura ci dice che Dio ha ordinato ai suoi angeli di avere cura di noi e di custodirci in tutte le nostre vie.
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