La cronaca documenta multe salate per chi bestemmia in un luogo pubblico ma anche sul web; di contro si tollerano gruppi virtuali che istigano alla bestemmia e c’è chi, come Michela Murgia, tenta la via erudita per fraintendere il senso degli insulti a Dio. Non sarei stupita se facendo una breve indagine tra i più giovani saltasse fuori che la bestemmia è «quella cosa che se la dici ti cacciano dal Grande Fratello». Forse la mia è solo una provocazione, per mettere il dito nella piaga: quali sono i riferimenti spiccioli e rumorosi che influenzano la gente? Invece non è solo una provocazione notare che siamo circondati da una specie di nebbia che oscura il senso dietro il linguaggio, si pronunciano parole ma che significato abbiano davvero si è smarrito lungo la strada. La leggerezza con cui molti trattano la bestemmia è uno dei tanti segnali che ci dicono con chiarezza che Dio è lontano dalla nostra vita.
La bestemmia è percepita come insulto, al pari di altre parolacce e nulla più. D’altra parte siamo assediati da una esplicita propaganda che svilisce pesantemente il divino senza che un filo di potesta si alzi: quante immagini o slogan ammiccano alla religione per offenderla, anche solo travisandone il messaggio? Eppure filano via dagli occhi senza ferire lo spettatore mediamente letargico, quanto a coscienza. Eppure il messaggio si annida, fosse anche solo in una zona inconscia e sottopelle dell’uomo comune: la religione può essere oltraggiata.
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La cronaca di queste ultime settimane ha portato alla ribalta alcuni episodi legati alle bestemmie e alla relativa punizione per chi le pronuncia. Si registrano, da una parte, un sentire popolare ancora molto offeso dalla violenza contro Dio, dall’altra una selva altrettano folta di chi deride o sviscera senza remore la sua violenza verbale.
Multe al parco e per strada. E su Facebook?
A fine luglio il paese di Saonara in Veneto si è guadagnato i titoli dei maggiori quotidiani per l’aggiunta di una norma al regolamento di polizia urbana, voluta dal sindaco Walter Stefan: una multa di 400 euro per chi verrà sorpreso a bestemmiare “contro le divinità di qualsiasi credo o religione” in un luogo pubblico.
nel testo le bestemmie in pubblico sono definite “atti contrari alla pubblica decenza e alla sensibilità di persone terze presenti”, ed è stata presa “dopo che ci sono giunte numerose segnalazioni da parte di cittadini su frasi blasfeme pronunciare spesso da giovani e giovanissimi nei parchi cittadini”, spiega il primo cittadino di Saonara. (da Adnkronos)
È bene ricordare che dal 1999 la legge italiana ha depenalizzato l’atto di bestemmiare, da reato penale a illecito amministrativo; inoltre non sono previste sanzioni se l’insulto è rivolto alla Madonna o ai Santi. Quanto accaduto a Saonara, però, registra un malcontento diffuso sul dilagare di un turpiloquio offensivo tra i giovani, che non si rendono neppure ben conto di ciò che dicono. Gran parte della cittandinanza applaude. La legge può limare i contorni della pena, ma la percezione popolare è ancora chiara sul fatto che l’offesa di Dio sia un atto grave.
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Da Trieste arriva invece un’altra vicenda, esemplare perché percepita quasi come fatto ironico. A metà luglio, un automobilista arrabbiato per aver ricevuto una multa per divieto di sosta ha bestemmiato di fronte al vigile, il quale ha rincarato la dose aggiungendo un’altra multa per la bestemmia pronunciata. Emblematico come i fatti siano riportati:
All’arrivo del proprietario del mezzo, visibilmente alterato come chiunque riceva una multa, la discussione si è animata e sono volate alcune bestemmie. Codice alla mano l’agente ha deciso di applicare una norma, forse dimenticata dai più, e ha elevato così un secondo verbale. Questa in sintesi la storia che un parente del multato ha deciso di raccontare ai social network, dove qualcuno ha anche ironizzato: «Se beccavano me arrivavo a tre mila euro». (da Il Piccolo)
La si butta sull’ironia, appunto. Si sghignazza commentando: Ma pensa, c’è ancora qualcuno che si ricorda di applicare quella desueta norma …
Se questi fatti accadono sul suolo pubblico di alcune nostre città, che ne è di quell’altro suolo altrettanto pubblico per quanto virtuale? Il web è regno dell’anarchia emotiva e verbale, anzi è la selva oscura. È un territorio senza frontiere e quindi sfrontato, incontrollato. Da Carpi arriva, in questi giorni, una notizia che contiene un messaggio da sapere: anche la bestemmia pronunciata sui canali social è sanzionabile.
A commento di un’operazione dei Carabinieri di Carpi pubblicata come aggiornamento su un profilo Facebook, un uomo ha scritto un post in cui inveiva contro le Forze dell’Ordine anche attraverso bestemmie: ora rischia 3 anni di reclusione per diffamazione aggravata e dovrà pagare una multa di 300 euro per aver offeso la divinità cristiana.
Il capitano dei Carabinieri Iacovelli ha dichiarato: “La gravità di un insulto, seppur veicolato via web, rimane tale. Le parole hanno un peso, infliggono ferite e comportano conseguenze nella vita reale. Ogni gesto, consumato in rete così come nella quotidianità, esige un’assunzione di responsabilità. Ricordiamocene ogni volta che, on-line, cediamo alla tentazione di lasciarci andare, scrivendo parole che mai ci lasceremmo sfuggire vis-à-vis. Postare certi tipi di frasi può costare caro, fino a qualche anno di reclusione. Credo sia chiara a tutti la necessità di sensibilizzare i numerosi utenti che considerano il web come uno spazio in stile Far West, nel quale dare sfogo a qualsiasi istinto, forti di una importante componente di anonimato o presunto tale”. (da Sassuolo 2000)
Se questa dichiarazione è confortante, meno lo è dare uno sguardo all’altra faccia del panorama virtuale che ci circonda. Documentantomi anche molto sommariamente, ho scoperto – grazie al giornalista Gigio Rancilio – che esisteno gruppi Facebook dedicati alle bestemmie, vere e proprie libere camere di sfogo al turpiloquio più raccapricciante che ha come oggetto di violenza Dio, Gesù, la Madonna. Altrettanto rammarico suscita l’evidenza che questi gruppi siano tollerati, mentre sappiamo bene che la premura censoria del famoso social network è molto solerte nel sopprimere contenuti giudicati pericolosi (guai a scrivere contro l’aborto o contro l’eutanasia!).
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Non ho volutamente nominato i gruppi che sono complici di un vomito di parole così perverse e maligne. Figuriamoci cosa salterebbe fuori se le mie ricerche sommarie si approfondissero. Se il primo instinto nel leggere alcune frasi è stato di dolore arrabbiato, in un secondo momento è emersa una forte costernazione. A cosa si è ridotta l’umanità? A costruirsi prigioni senza sbarre e senza forma dove sputare veleno contro un Dio di cui ignora la misercordia? Il nome di Dio viene invocato solo come rigurgito di una malvagità che nasconde la paura del vuoto, del male che ci circonda, del non avere speranza, dell’assenza di risposte alle urgenti domande della coscienza. È desolante.
Alla luce di questa ferita aperta, mi sono chiesta, da capo: cos’è una bestemmia?
La bestemmia di Michela Murgia
Il primo comandamento ci tuffa nella stretta di un rapporto vivo: Dio ci vuole fissare negli occhi, e vuole che altrettanto fissi siano i nostri occhi su di Lui. È geloso, e allo stesso tempo, premuroso, del nostro sguardo: Lui, nient’altro che Lui. Solo chi è innamorato perso esige un vincolo così intransigente e totalizzante. E senza questo primo passo, sarebbe incomprensibile il secondo comandamento: non nominare il nome di Dio invano.
Così spiega il Catechismo:
La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell’abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro «che bestemmiano il bel nome [di Gesù] che è stato invocato » sopra di loro (Gc 2,7). La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. È blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L’abuso del nome di Dio per commettere un crimine provoca il rigetto della religione.
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La ferita che procura un insulto a Dio si capisce solo nell’orizzonte del rapporto di Bene totale che Lui propone a noi. Offenderlo, allora, è tutt’uno con il voler rifiutare consapevolmente quel Bene offerto. La bestemmia si ritorce contro il bestemmiatore, lo condanna a voler star lontano da un abbraccio che salva dal male. Nella percezione comune, di una società sempre meno permeata dal messaggio cristiano, la bestemmia è “solo” un insulto a Dio. I Comandamenti e il Catechismo ci ricordano che è peggio, ed è un danno grave a noi stessi: è il rifiuto violento di Chi ci offre misericordia.
Parlare in questi termini, anche della bestemmia, sarebbe utile; potrebbe risvegliare, come il negativo di una fotografia, i colori umani della nostra anima, assopiti nella nebbia del nichilismo. Non mi stupisco che si remi in direzione opposta, cioé che qualsiasi cosa attinente al senso religioso umano, anche per via negativa, venga coscientemente sradicata dalla sua origine. E così, L‘Espresso si premura di educare i suoi lettori alla riscoperta di certe parole … e affida il vocabolo “bestemmia” alla cura di Michela Murgia. Il trafiletto della scrittrice sarda è comparso lo scorso 8 agosto ed è proprio l’emblema di una cultura che si sradica da Dio nel modo più vile possibile, svilendo persino il senso di un insulto. Non ci vogliono incattiviti contro Dio, sperano che piombiamo in una dolce assenza di memoria, una beata ignoranza.
Nelle righe della Murgia non si legge nessuna parola di biasimo sulla bestemmia, è un puro excursus di pseudo-erudizione fino all’assalto finale:
In quest’ottica la maggior bestemmia, quella da cui è nato il cristianesimo tutto, è l’Incarnazione, l’abbinamento di Dio non al cane o al porco, ma all’essere umano. (da L’Espresso)
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Ecco qui tutta la saccenza insensata di chi non ha osato confontarsi a cuore aperto e libero con la proposta cristiana: la grande bestemmia sarebbe un Dio che si fa uomo. Eh no, cara Murgia, non bluffiamo. Qui lei velatamente, ma anche no, offende Dio denigrando la Sua volontà di incarnarsi. Ma, oltre a offendere, tradisce il senso di qualcosa che non comprenderà mai, finché non ne farà esperienza. C’è gente che ride delle bestemmie. Ma nessuno può giorire quanto un cristiano che impara l’umiltà da Dio. Chi ignora Gesù lo deride, ma chi lo conosce esulta come la Madonna nel Magnificat:
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili.
Si tenta in molti modi di umiliare Dio, dimenticandosi che Lui ha già capovolto i suoi detrattori facendo dell’umiltà il suo punto di forza.