C. (iniziale del nome, NdR) è una donna meravigliosa, una donna che vive per Dio e per gli altri, nella realtà della sua famiglia, della parrocchia, del volontariato. Fra l’altro, è cuoca (volontaria) in una comunità per malati di AIDS,molti dei quali vi si trovano agli arresti domiciliari. Uno di loro, che chiamerò Giuseppe, è lì da anni ed anni; sta scontando una pena per l’uccisione di due carabinieri. Di per sé, mi raccontava C., non è per nulla pentito. Lo rifarebbe volentieri, dice sempre.
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Però, due anni fa è morta la figlia di C.
E Giuseppe le si è avvicinato, timidamente, farfugliando: “Sai, C., ieri ho detto un’Ave Maria per tua figlia”.
Ogni volta che C. va a cucinare in questa comunità, Giuseppe si accosta alla porta della cucina, il cui ingresso è vietato agli ospiti. Si affaccia, e le porge sempre un bicchiere d’acqua.
Chiunque avrà dato anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno dei miei discepoli, in quanto mio discepolo, in verità vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Giuseppe l’ateo non lo sa. Ma lo fa.