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Se hai fallito, non sei un fallito. Anzi sei proprio sulla buona strada!

BOXER, DOWN, DEAFEAT
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Cristina Buonaugurio - pubblicato il 26/06/19
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Da piccoli ci viene detto che per imparare ad andare in bicicletta bisogna imparare a cadere; da grandi ogni fallimento è un‘obiezione insormontabile: ma perché? Gli errori dicono qualcosa di positivo, che siamo alle prese con la vita in pieno.

Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta.
Alla sua gestione.
All’umanità che ne scaturisce.
A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati.
A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo.
In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare.
A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde.
È un esercizio che mi riesce bene.
E mi riconcilia con il mio sacro poco.

Questo “elogio” del fallimento, erroneamente attribuito a Pier Paolo Pasolini e in realtà opera della maestra Rosaria Gasparro, è a mio parere illuminante. Stiamo perdendo il contatto con alcuni aspetti fondanti della vita, solo perché non rientrano nella finta immagine patinata e luccicante che sentiamo di dover mantenere per essere accettati nella società e per valere qualcosa. Il dolore, la morte e il fallimento sono ormai tabù. Con la conseguente incapacità di fronteggiarli. Perché anche se vogliamo ignorarli, prima o poi bussano alla porta e, proprio perché fino ad allora sono stati ignorati, diventa molto difficile sapere come comportarsi in quelle situazioni.


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Senza errori non si impara

Quando siamo piccoli i nostri genitori (a patto che siano sufficientemente capaci di svolgere il loro compito) ci dicono che sbagliare è normale, che non possiamo sempre riuscire la prima volta che proviamo qualcosa di nuovo, che per imparare a fare qualsiasi cosa c’è bisogno di impegno e che gli errori sono da mettere in conto. Come quando si impara ad andare in bicicletta: riuscirci senza cadere è pressoché impossibile! Immagino che leggendo queste righe tu abbia pensato che sia giusto e che in fondo sia così per tutta la vita.

Eppure quando si cresce non si vuol sentire parlare di fallimento. Anzi: non si vuole neanche accettare che esista l’eventualità di un fallimento, visto come qualcosa di insormontabile e vergognoso, quindi da evitare a tutti i costi oppure da nascondere come una colpa. Forse perché oggi bisogna essere (o fingere di essere) sempre perfetti, quindi non è possibile mostrarsi deboli, vulnerabili… imperfetti!



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Solo che, tolto il fatto che la perfezione è un ideale irraggiungibile, per realizzare i propri obiettivi ed avvicinarsi all’immagine di sé che si vuole incarnare bisogna cadere. Magari cadere anche più di una volta. E poi rialzarsi e fare le cose diversamente, imparando dai propri errori. Del resto gli errori hanno proprio questo di positivo: ci fanno comprendere quale sia la strada da non percorrere e quali alternative restano in gioco. Ci aprono nuove opzioni per il futuro. Con le parole di Thomas Edison: 

“Non ho fallito. Ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato”

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Cadere fa male

Il fatto che fallire sia parte naturale dell’esistenza non implica ovviamente che cadere non faccia male. Fallire è doloroso. Fa paura anche solo il pensiero al fallimento. E lo sconforto in cui si trovano le persone che falliscono non è facile da sopportare. Perché ci mette faccia a faccia con la nostra vulnerabilità, con la fragilità che ci caratterizza, con le mancanze di cui siamo per natura portatori. Ci fa sentire impotenti e frustrati.


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La differenza tra chi sa rialzarsi dopo un fallimento e chi non ci riesce forse sta proprio nella capacità di accettare tali mancanze, di perdonare la propria imperfezione e la propria impotenza e di mettersi al lavoro per acquisire nuove competenze o affinare quelle già presenti. Solo che per comprendere che è necessario agire in tal modo, bisogna farsi carico di quel dolore, guardarlo negli occhi senza fingere. E rialzarsi mentre ancora si è doloranti per la caduta!

Il fallimento non determina il tuo valore

In questa fatica da affrontare c’è una cosa da tenere bene a mente: fallire non vuol dire che sei un fallito!

Questa distinzione è fondamentale: la mia azione (fallire) non determina il mio valore (essere un fallito). Sbagliare qualcosa non implica essere persone incapaci. Vuol dire solo che ho avuto il coraggio di provare a fare qualcosa di nuovo. Quindi tutt’al più un errore dice qualcosa di positivo su di me. E dice che ho bisogno di provare ancora per trovare il modo giusto di fare quella cosa! Theodore Roosevelt nel 1910 disse:

Non è chi critica che conta, né chi sottolinea che anche i forti inciampano, o afferma che potrebbero fare di meglio. Il merito va a colui che scende realmente nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue, e che combatte valorosamente; a colui che, nella migliore delle ipotesi, alla fine conoscerà il trionfo di un grandioso traguardo e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallirà, almeno cadrà sapendo di avere osato in grande.

CHILD

By Yuliia V | Shutterstock

Il valore di una persona si misura sulla capacità di non sedersi in panchina e su quella di non arrendersi dopo aver fallito. Vale chi sa che con umiltà e onestà può raggiungere i propri traguardi… o magari non farcela, ma non per questo non ci prova. In quest’ottica ha valore chi accetta di correre il rischio di fallire. E chi capisce come agire in una tale eventualità: a volte è bene continuare a provare in modo nuovo per raggiungere l’obiettivo fissato, altre volte è più saggio cambiare obiettivo.

J.K. Rowling, raccontando del periodo di fallimento prima di raggiungere il successo con la saga di Harry Potter, ha detto una cosa molto vera:

È impossibile vivere senza fallire in qualcosa, a meno che non viviate in modo così prudente da non vivere del tutto – in quel caso, avrete fallito in partenza.



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4Affrontare il fallimento

Ho detto che il fallimento è naturale, che il fallimento fa crescere, che il fallimento fa male e che non ci rende dei falliti. Ma che si quando si fallisce? Come si affronta una cosa che fa tanto male?Bisogna tener conto di due elementi: emozioni e problemi. Quindi da un lato bisogna imparare a gestire le proprie emozioni, mentre dall’altra è necessario comprendere come risolvere la situazione problematica in cui ci si trova. Per gestire le emozioni è necessario innanzitutto provarle, non negarle, e guardale negli occhi per comprendere cosa dicono rispetto a ciò che si sta vivendo. Poi, se necessario, bisognerà modularle, evitando che prendano il sopravvento sensazioni come lo sconforto e il senso di impotenza. Attraversare le emozioni è una competenza che dovremmo imparare da piccoli… a partire dalle prime cadute dalla bici! Perché proprio come allora le emozioni possono orientarci verso la rinuncia e la sconfitta o verso il successo, comunque lo si intenda.

Per risolvere i problemi, invece, è necessario trovare la giusta strategia di coping, ossia di adattamento. In altri termini, ciò vuol dire che bisogna comprendere come modificare la situazione problematica e, quindi, decidere quale modalità operativa tra le tante esistenti utilizzare per ottenere il cambiamento desiderato.



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L’importante è non pensare mai che un fallimento possa mettere la parola fine alla propria vita: ciò che può mettere la parola fine è, semmai, il nostro modo di reagire al fallimento!Nella vita non si vince e non si perde, non si fallisce né si trionfa.

 

Nella vita si impara, si cresce, si fanno scoperte; si scrive, si cancella e si riscrive; si tesse una tela, la si scuce e si cuce di nuovo.

Ana Cecilia Blum

QUI IL LINK ORIGINALE ALL’ARTICOLO PUBBLICATO DA CRISTINA BUONAUGURIO