Non amiamo le polemiche e quindi non ci butteremo nella mischia già scritta tra quanti tenteranno di usare il prossimo Sinodo dei Vescovi per scardinare l’istituto del celibato ecclesiastico e gli altri che additeranno nella Chiesa tutta, insensatamente, il covo dell’apostasia. Vorremmo invece offrire ai nostri lettori alcuni strumenti per superare le riduzioni semplicistiche di cui vivono le narrazioni manichee: la realtà della Chiesa è di gran lunga più complessa, libera e bella… sarebbe un peccato che i suoi figli se la perdessero.
Fummo facili profeti, quando – presentando ai lettori il testo dell’Instrumentum Laboris del Sinodo sull’Amazzonia – scrivemmo che parte della stampa si sarebbe concentrata esclusivamente sul paragrafo 129.a.2. riducendo tutta la “notiziabilità” del sinodo (come si dice in gergo) alla questione del celibato sacerdotale.
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Per contestualizzare quel paragrafo scrissi inoltre che in esso non si legge più di quanto Papa Francesco avesse dichiarato sul volo che dalle GMG di Panama lo riportava a Roma il 28 gennaio scorso: che cioè si può pensare a limitatissimi casi in ben specifici contesti territoriali caratterizzati da collocamento geopolitico estremamente remoto (Francesco accennò alla Polinesia e alla Micronesia). Ma aggiunse: «Io non renderò facoltativo il celibato ecclesiastico, piuttosto la morte. Questa è la mia decisione».
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Ora, non intendiamo addentrarci nella polemica – sia perché non è il nostro stile sia perché gli haters del Santo Padre non sembrano disposti a lasciarsi persuadere dalla forza delle ragioni –, ma sappiamo pure che c’è una maggioranza silenziosa di persone sinceramente desiderosa di riflettere e di capire. Per loro vorrei provare ad accennare (molto schematicamente e piuttosto brevemente) alcuni concetti.
Un’omelette si fa con le uova ma (se è ben fatta) non sa di uovo
La prima cosa da tener presente, se ci si rivolge al tema del celibato ecclesiastico, è che si tratta di un’antichissima e sensatissima perla dell’ordinamento ecclesiastico latino: con ciò s’intende che esso ha solidissime ragioni per non essere smantellato (e pare che il Papa le abbia sostanzialmente a cuore), ma non è un istituto universale della Chiesa e non è per sua natura irreformabile. Insomma, neanche un Concilio ecumenico unito al Papa potrebbe affermare – ad esempio – che Cristo non è vero Dio e vero uomo; in modo simile, la Chiesa Cattolica ha già escluso (per opera di Giovanni Paolo II) di poter amministrare il sacramento dell’Ordine a fedeli di sesso femminile; il celibato sacerdotale, invece, potrebbe essere smantellato (in teoria) dalla Suprema Autorità della Chiesa con un pezzetto di carta.
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Che piaccia o no, Papa Francesco ha detto nel modo più chiaro possibile di aver già preso una decisione in merito, e la decisione è che quel pezzetto di carta non lo scriverà. Quel che occorre comprendere per andare verso il Sinodo con matura consapevolezza è che l’Instrumentum laboris sta all’Esortazione apostolica postsinodale come le uova stanno a un’omelette: certamente quest’ultima è fatta a partire dalle prime, ma dall’ingrediente procurato alla pietanza servita intervengono tante di quelle cose – le uova vengono rotte e sbattute, il composto di albumi e tuorli salato, pepato, condito a piacere, il tutto alterato biochimicamente dal calore della cottura e infine impiattato secondo il gusto del cuoco – che normalmente (e cioè se l’omelette è ben fatta) il risultato finale non ha più né la consistenza, né il sapore, né l’odore né altro accidente degli ingredienti iniziali. Fuor di metafora, l’Instrumentum non corrisponde che vagamente (e quanto al solo elenco delle materie trattate) all’Esortazione Apostolica. Chi ha buona memoria, relativamente alle più recenti assemblee sinodali, può sincerarsene.
Le “emergenze pastorali” e “il numero dei preti”
Evidentemente, non possiamo prevedere né i contenuti dell’Esortazione apostolica né quelli del Documento finale, ma se non saranno stravolti i limiti tracciati dall’Instrumentum laboris e dalle dichiarazioni che più volte Papa Francesco è tornato a dare sull’argomento possiamo ritenere questi pochi punti:
- il tema del celibato sacerdotale nella chiesa latina sarà aperto a eccezioni unicamente in ragione di vere esigenze pastorali, e con ciò s’intende anzitutto e perlopiù un estremo isolamento territoriale (Francesco pensa in sostanza a come amministrare i sacramenti nelle “isole del Pacifico”);
- entro questo già ristrettissimo àmbito, si parlerà comunque di “viri probati”, ossia di uomini anziani e della cui integrità renda testimonianza una vita irreprensibile fatta di solidità famigliare e onorabilità sociale/professionale;
- all’interno di quest’altro strettissimo sottoinsieme si esclude quindi ogni velleità del tipo “far sposare i preti”: no, questo nessuno lo ha mai fatto; al limite si ordinano preti uomini sposati (che è molto diverso).
Si vede bene, dunque, come non vi siano in alcun modo le premesse per “accontentare” quanti in Occidente sognano di poter ordinare preti (e così clericalizzare) tutti i laici che girano attorno alla Curia. Del resto, occorre anche domandarsi come stabilire il numero di preti “necessari” ai singoli contesti pastorali. Nelle scorse settimane è stato il cardinal Sarah a sollevare l’argomento, in particolare in un’intervista rilasciata ad Utrecht il 7 giugno scorso: secondo il porporato guineano non ci sarebbe crisi del numero dei sacerdoti (i quali anzi sarebbero addirittura “troppi”!), bensì della loro identità.
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Qualcuno sarà forse sorpreso, ma la pura verità è che la Chiesa Cattolica, nei suoi vertici più alti, non ha mai ritenuto il fattore quantità determinante rispetto alla qualità del proprio clero. Le parole di Sarah me ne hanno richiamate di simillime, pronunciate da due Romani Pontefici – uno all’inizio del XX secolo e l’altro alla fine del VI –:
Ci par di vedere tuttora presente al Nostro sguardo l’immagine di Gregorio nel Concistoro del Laterano, circondato da gran numero di vescovi d’ogni parte e da tutto il clero di Roma. Oh come sgorga dal suo labbro feconda l’esortazione sui doveri del clero! Come si consuma di zelo il suo cuore! Le sue parole sono fulmini che schiantano il perverso, sono flagelli che scuotono l’indolente, sono fiamme di amore divino che soavemente investono il più fervente. Leggete, venerabili fratelli, e fate leggere e meditare al vostro clero, specialmente nell’annuale ritiro degli esercizi spirituali, quella stupenda omelia di Gregorio.
Con indicibile amarezza egli esclama tra l’altro: «Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, ma è assai difficile trovare chi si impegna nella messe di Dio, perché abbiamo sì ricevuto l’ordinazione sacerdotale ma non ne adempiamo gli obblighi». E invero, quale forza non avrebbe oggi la chiesa, se in ogni sacerdote potesse contare l’operaio? Quale larghissimo frutto non produrrebbe nelle anime la vita soprannaturale della chiesa, se fosse da tutti efficacemente promossa? Gregorio ha saputo strenuamente suscitare ai tempi suoi questo spirito di energica azione, e per la spinta da lui data, ottenne che il medesimo spirito si mantenesse nelle età seguenti. L’intero medioevo reca l’impronta, per dir così, gregoriana; da quel pontefice infatti riconosceva pressoché ogni cosa: e le regole del governo ecclesiastico, e quelle molteplici della carità e della beneficenza nelle istituzioni ufficiali, e i princìpi dell’ascetica cristiana più perfetta e della vita monastica, e l’ordinamento della liturgia e l’arte del canto sacro.
Pio X, Iucunda sane
Gli stessi risultati delle indagini statistiche, del resto, dicono che le comunità ecclesiali in cui le guide pastorali non sono tenute all’obbligo del celibato non godono di presbiterî più floridi (anzi “curiosamente” in Germania si registra una sensibile flessione degli evangelici rispetto ai cattolici).
Le dispense nelle Chiese latine: opera di Pio XII e di Benedetto XVI
Uno dei saggi che meglio avrebbero potuto preparare le persone (e anche gli osservatori/commentatori) ad affrontare in modo competente ed equilibrato il dibattito del Sinodo Panamazzonico, almeno in ordine alle eventuali dispense per il celibato, è Célibat des prêtres del compianto Jean Mercier. L’autore del fortunato pamphlet “Il signor parroco ha dato di matto” ha dedicato una minuziosa ricerca ai preti sposati nella Chiesa latina: dopo aver studiato la teologia e la storia dell’ordine sacro (e sposando i risultati degli storici che vedono risalire la disciplina del celibato ecclesiastico all’età subapostolica), Mercier si recò fisicamente sul campo, ossia nelle parrocchie e nelle case di quei preti sposati.
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Dell’esistenza di un così significativo campione dovette ringraziare Benedetto XVI, che con la Anglicanorum cœtibus avviò all’esistenza una prelatura personale della/nella Chiesa cattolica caratterizzata da un rito assai simile a quello anglicano, e i cui pastori vengono ammessi alla sacra ordinazione secondo il rito cattolico previa dispensa dall’obbligo del celibato.
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Tempo fa tradussi (in vista di un’edizione italiana che purtroppo non andò in porto) alcuni passaggi di quel saggio. Ne riporto uno dall’Introduzione:
Spesso si crede che la Chiesa cattolica non abbia esperienza di preti sposati se non nelle sue declinazioni orientali (Chiesa melchita, maronita, caldea eccetera). Eppure la Chiesa cattolica di tradizione latina ha nel proprio seno un’esperienza, piccola ma realissima, di un clero sposato che esercita il proprio ministero in modo assolutamente ufficiale e riconosciuto [e qui Mercier precisava in nota: «Non si tratta qui dei preti che vivono clandestinamente in concubinato, né di quelli che hanno lasciato il ministero per sposarsi, pure se restano – da un punto di vista ontologico – sacerdoti per sempre» N.d.T.].
Quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger ha firmato, col pieno accordo di Giovanni Paolo II, la dispensa dal celibato per l’ordinazione di numerosi preti sposati, e la cosa è stata proseguita dal suo successore, William Levada, quando Ratzinger divenne Benedetto XVI (la prima dispensa di questo tipo risale a Pio XII). Tale dispensa concerne uomini che furono pastori protestanti oppure preti anglicani o episcopaliani (gli “anglicani americani”) che si sono convertiti al cattolicesimo. Questi uomini, divenuti agli occhi di Roma dei semplici laici cattolici, sono stati esentati dal celibato contestualmente alla loro nuova ordinazione come preti cattolici. Nel numero del 2 dicembre 2002 della rivista La Vie, un’inchiesta rivelava l’esistenza di questo clero atipico, e alla fine del giugno 2005 il settimanale pubblicava in esclusiva il ritratto di padre Patrick Balland, primo prete francofono toccato dal provvedimento, e quello della sua famiglia. Benedetto XVI ha aperto largamente la porta agli anglicani delusi dalla deriva liberale dell’anglicanesimo avvenuta nel 2009. Da allora hanno avuto luogo ordinazioni di chierici sposati in numero di una cinquantina.
In tale contesto, l’Inghilterra può essere considerata come una sorta di laboratorio di un clero latino sposato che coesiste con un clero celibe. Alcune diocesi contano un numero sostanziale di preti sposati (5%) e non potrebbero funzionare senza di loro. Questo libro presenta la prima inchiesta di valutazione del loro ministero. Si può concludere che si tratti di un successo (è il parere dello stesso episcopato inglese), ma quando si osserva da vicino si constatano delle difficoltà, specialmente in ordine al finanziamento delle famiglie pastorali e alla mobilità dei preti.
Jean Mercier, Célibat des Prêtres, 8-9
Come si vede, la Chiesa cattolica è al contempo consapevole dell’immensa dignità del celibato sacerdotale e del suo carattere giuridico proprio: ciò le permette di custodirlo gelosamente come la perla rara che è mentre al contempo – proprio per non inflazionarlo e insudiciarlo – si tiene la libertà di studiare vie per portare a tutti gli uomini del mondo i misteri di Cristo.