Papa Francesco il 16 giugno tra i terremotati delle Marche: Aleteia ha intervistato le monache di clausura che raccontano l’atmosfera e le difficoltà in cui si svolgerà la visita apostolicaDomenica 16 giugno papa Francesco sarà a Camerino per dare conforto a quella città e diocesi provata dal terremoto del 2016. Una presenza di speranza sono le clarisse di santa Camilla Battista Varano, che hanno voluto tornare il prima possibile nella cittadina in provincia di Macerata (dopo che il loro monastero era stato danneggiato dal sisma), per essere accanto alla gente ancora molto provata.
Alla vigilia dell’arrivo di Francesco, Aleteia ha ascoltato Madre Chiara Laura Serboli e le Sorelle Povere di Santa Chiara, che l’accompagnano in questa delicata missione spirituale.
D: In che atmosfera attendete l’arrivo di Papa Francesco?
R: «L’attesa del Santo Padre a Camerino è carica di emozione da parte di tutti e di grande fiducia per le parole che il Papa vorrà donare a questa terra martoriata e dimenticata. Certo però non possiamo dire che si tratti solo di un fatto emotivo perché la gente, insieme a noi, nelle parrocchie e nelle case sta pregando intensamente per prepararsi a questa venuta affinché ci rafforzando nella fede. Infatti, accanto alla preparazione logistica necessaria, c’è una preparazione dei cuori da compiere, e pensiamo che questo sia il “proprium” della nostra vita di donne dedicate alla contemplazione, e perciò stesso consapevoli della chiamata ad essere segno, nell’oggi della chiesa e del mondo, pur con la nostra povertà e piccolezza, dell’unica cosa che conta: Gesù Cristo e il suo Vangelo di pace e di salvezza».
D: Siete delle testimoni di Cristo tra mille difficoltà.
R: «Noi viviamo da terremotate fra i terremotati, condividendo con tutti le medesime fatiche, gli stessi disagi e difficoltà, gli slanci e le disillusioni per una vita che stenta a ripartire. Per questo sappiamo bene, sulla nostra pelle, che non bastano i preparativi esteriori, come non basta avere una casetta di legno che ti ripara dalle intemperie, ma è ancor più necessario prepararsi “dentro”. Il Cardinal Bassetti, visitando le zone terremotate, ha incontrato, come lui stesso ha riferito: “persone sfiduciate, perché anche le loro casette che sono state probabilmente costruite in modo improvvisato, non reggono o non hanno retto al rigore dell’inverno. La gente soffre – ha evidenziato il Cardinale – e ho l’impressione che sia un po’ abbandonata”».
«Ed è proprio in questo momento di abbandono, che è più che mai concreto il rischio di trasformare la visita del santo Padre in un’occasione mediatica che riaccenda i riflettori su una popolazione dimenticata. Ma noi non abbiamo bisogno di un politico che venga a fare un po’ di clamore o ad elargire promesse a buon mercato, più o meno realizzabili».
D: Con quale messaggio, allora, lo accogliete?
R: «Più che avere messaggi particolari da consegnare a Papa Francesco, attendiamo da lui un messaggio per noi, una parola viva, come sempre sa donare a coloro che sono nella prova, una parola carica di quella sapienza che viene dal Vangelo, e ricca di quella sua calda umanità che sa farsi vicina a chi è nel bisogno. Lo attendiamo come buon pastore che riunisce il suo gregge e lo aiuta a riscoprirsi popolo, comunità in cammino e, dopo tanta disgregazione, lo riconduce verso la comunione e l’unità. Lo attendiamo come buon samaritano che sa piegarsi sulle nostre ferite per curarle con il balsamo della tenerezza di Dio. Lo attendiamo come padre che non ci faccia sentire più orfani, ma figli amati. Lo attendiamo come colui che ci rassicura che Dio non si è dimenticato di noi perché Egli è il Fedele che ha cura dei suoi figli, anche quando tutto sembrerebbe negare questa grande verità della nostra fede: Dio è Padre e Madre!».
«Quando il popolo di Gerusalemme si lamentava con Dio dicendo: “Dio mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”, il Signore rispose: “Può una donna dimenticare il suo bambino o non amare più il piccolo che ha concepito? Anche se ci fosse una donna tale, io non ti dimenticherò mai di voi”. Ecco, abbiamo bisogno di riascoltare da Papa Francesco queste parole e di rinnovare la nostra fiducia in Colui che non si è dimenticato di noi».
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D: Farete qualche sorpresa speciale al Santo Padre?
R: «Veramente speriamo noi in una sua sorpresa, magari venendoci a visitare nel nostro piccolo Monastero in legno, costruito con fatica e tenacia per poter essere nuovamente presenti qui a Camerino. Dopo due anni di forzato esilio, lontane dal nostro Monastero e dalla nostra chiesa completamente distrutti, abbiamo scelto e voluto fortemente ritornare per condividere la sorte degli ultimi. Ma la struttura in cui ora abitiamo, non l’abbiamo pensata solo come una casetta per noi, ma soprattutto come luogo di preghiera che ha come suo centro una chiesa perché i fedeli, in questo tempo di smarrimento, avessero un luogo in cui ritornare a pregare, in cui sentirsi nuovamente a casa, in cui trovare sempre un abbraccio accogliente e fraterno. Con questo spirito, accanto alla nostra chiesetta, che custodisce il corpo e la memoria di Santa Camilla Battista Varano, abbiamo pensato sin da subito ad uno spazio per l’accoglienza dei pellegrini».
«Ecco, noi attendiamo il santo Padre come un pellegrino tra noi, nella speranza che voglia, come tanti suoi predecessori, venire ad incontrarci, ma soprattutto ad attingere alla spiritualità di questa grande santa che tanto ha amato la chiesa anche quando “l’ha coperta di lutti”. Infatti, alla violenza di Papa Alessandro VI , che inviò il figlio Cesare Borgia, detto il Valentino, a sterminare la sua famiglia, Camilla Battista rispose con una fedeltà eroica che assunse la forma di una “preghiera fino alla lacrime per la conversione e la riforma della chiesa” e di un “perdono di vero cuore dei nemici” come è testimoniato nei suoi scritti mistici».
D: Quali sono state le conseguenze peggiori del terremoto? “Fisiche”, cioè relative alla ricostruzione, o spirituali, cioè nell’animo delle persone?
R: «È difficile valutare se le conseguenze peggiori siano più “fisiche” o “spirituali”. Certo è che il terremoto è un vero e proprio affronto alla vita, una tabula rasa in cui l’esistenza viene azzerata, un’immersione forzata nell’instabilità che ti rimanda, senza possibilità di vie di fuga, a fare i conti con la paura, con la fragilità personale e quella degli altri e con la precarietà delle strutture e dei progetti. Ci si ritrova nudi, in tutti i sensi. Nudi quando si è costretti a scappare senza nulla in mano dalle proprie case, lasciando dentro ogni bene, e nudi quando si ritorna, perché niente e nessuno è più come prima. Il terremoto è una tragedia: questo è il messaggio muto eppure scritto a chiare lettere negli occhi della gente che incontriamo ogni giorno».
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D: Cosa fate, attualmente, per la popolazione di Camerino?
«La nostra presenza a Camerino è iniziata nel 2004 quando, dopo il sisma del 1997, aggrappandoci come rami fragili a quella obbedienza che fece di Abramo il Padre della fede, da S. Severino Marche partimmo alla volta di Camerino, facendoci carico della ricostruzione di quel Monastero che si presentava ai nostri occhi come un cantiere a cielo aperto. A distanza di 15 anni, dopo tanto lavoro e tante fatiche, oggi ci ritroviamo, umanamente parlando, al punto di partenza e, oseremmo dire, in una situazione ancor più grave. Nella preghiera personale e comunitaria ci siamo chieste: Signore, che cosa vuoi che facciamo? Ogni volta che ritornavamo a Camerino per sopralluoghi o recuperi con i Vigili del Fuoco, le persone che incontravamo ci chiedevano, tra le lacrime, di tornare per poter pregare insieme, per ricominciare ad attingere alla forza tenace e coraggiosa di Santa Camilla Battista, per consolidare l’esigenza di stare ai piedi di Colui che è l’unica pietra che non crolla, Colui che solo può ricomporre le nostre macerie. E allora, come piccolo gregge, abbiamo deciso di rimetterci in cammino insieme ai tanti che si sono trovati nella nostra medesima situazione, per ricominciare un altro viaggio, portando sulle spalle la fatica e il dubbio, la speranza e i suoi “perché”, insieme alla certezza che ogni rinascita reca con sé la gioia della vita che continua, con la sua forza dirompente che apre al futuro».
D: Diciamo pure che è iniziata una “seconda vita” per le Clarisse a Camerino.
R: «Ecco che cosa facciamo per la popolazione di Camerino: stiamo accanto a loro, o per meglio dire, abbiamo scelto di “essere con” loro, di condividere tutto per camminare insieme e insieme ripartire, con l’impegno e il talento di tutti, tra le lacrime e in ginocchio. Siamo, infatti, consapevoli che la ricostruzione di un’intera città – ancora zona rossa e completamente disabitata nel suo centro storico – è molto dura e faticosa, ma siamo anche fiduciose che, nel Signore Gesù, questa terra ferita potrà essere trasformata in Terra promessa. Qui risiede il senso del nostro rimanere in questa città distrutta, in queste relazioni frantumate, spezzate e sbriciolate come le case dalle quali siamo dovuti uscire scappando».
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D: Cosa vi chiede maggiormente la gente?
«La gente ci chiede di essere luogo di ristoro dello spirito, ma anche luogo di incontro. Il terremoto non solo ha distrutto le case, ma anche i luoghi d’incontro in cui si costruisce, normalmente, il tessuto sociale. Ecco perché la gente viene ad attingere alla nostra dimensione fraterna quella bellezza semplice fatta di relazioni autentiche capaci di accogliere, sostenere e farsi carico delle difficoltà di ciascuno. Spesso ci ripetono: “Voi siete la nostra seconda famiglia”. Questo ci incoraggia a perseverare nelle scelte che abbiamo fatto fino ad oggi, ed è anche il motivo per il quale abbiamo aperto le nostre porte, nel rispetto della nostra vita claustrale, a coloro che volevano incontrasi e incontrarci, non solo per vivere momenti liturgici, ma anche momenti di condivisione, confronto e dialogo. La gente ha bisogno di sentirsi accolta lì dov’è, senza se e senza ma, e questo interroga noi come comunità e come chiesa sulle modalità e le strade da percorrere, in un continuo discernimento operato nella grazia dello Spirito Santo».
«Ma dobbiamo dire, in tutta verità, che anche noi abbiamo bisogno della gente, di tutti e di ciascuno, per camminare insieme verso un futuro che speriamo migliore, fatto di case ricostruite e di cuori riconciliati».
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