Nel marzo 2018 due donne sposate, a cui erano stati affidati sei figli, si sono lanciate col loro SUV da una scogliera della California: il processo ha confermato che si è trattato di un omidicio-suicidio. I servizi sociali dovevano indagare su maltrattamenti in famiglia.Un terribile fatto di cronaca del 2018 sta ritornando a catturare l’interesse dei media e dell’opinione pubblica: due donne americane sposate morirono insieme ai loro sei figli adottivi, precipitando a bordo di un SUV da una scogliera della California, un gesto che oggi si conferma essere stato un omicidio-suicidio premeditato.
In quell’occasione morirono 8 persone, di cui sei ragazzi giovanissimi affidati a due donne. È il dato più tragico dell’evento e rischia di essere offuscato, se non cancellato, da altre polemiche sull’intera vicenda.
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La battaglia mediatica sul tema della famiglia conosce un momento critico, che in molti casi fomenta un puro scontro ideologico tra barricate opposte.
Le protagoniste di questa vicenda sono Jen e Sarah Hart, due donne “sposate”, secondo la legislazione dello stato americano, che hanno adottato sei figli. Attribuire a questa storia il titolo di «madri gay assassine» è quello che molti vorrebbero, e che altri vogliono a tutti i costi evitare di far vedere. Casi come questo rischiano di accendere una guerra puramente astratta tra chi non aspetta altro che poter dimostrare che i diritti omosessuali comportano l’accadere di tragedie come questa, e chi evita colpevolmente di trattare notizie del genere per non attribuire alcuna ombra al regno arcobaleno del «love is love».
La cosa che rende più amaro, per chi scrive, trattare un fatto di cronaca così doloroso è la consapevolezza di finire in una o più delle caselle sopraelencate, come se si trattasse di un misero televoto su «sei un bigotto della famiglia tradizionale o sei un fan di tutte le sfumature amorose dell’arcobaleno?».
Sono morte 8 persone, di questo si parla; di cui 6 bambini, e su di loro vorrei soffermarmi un po’ di più. Ma prima occorre inquadrare i fatti.
Perché questa tragedia è di nuovo balzata agli onori della cronaca? Perché è di questi giorni il verdetto di una speciale giuria californiana chiamata a giudicare il caso: il voto ha unanimamente confermato che si trattò di omicidio-suicidio. Il New York Times spiega che si tratta di un processo inedito:
Queste giurie sono molto inusuali; questa era la prima in 52 anni nella contea di Mendoncino […]. Dal momento che le madri sono morte e non possono subire un processo, le procedure hanno permesso che molte informazioni si desumessero dalle testimonianze. I capi di imputazione non possono essere rivolti a persone decedute, quindi alla giuria è stato chiesto di determinare la causa dell’evento piuttosto che la colpevolezza.
Ricostruzione dei fatti
Il 28 marzo del 2018 Jen e Sarah Hart si suicidarono lanciandosi con il loro SUV da una scogliera della California; in auto con loro c’erano i sei figli adottivi della coppia, tutti morti. Un volo di circa 30 metri. Non tutti i cadaveri furono recuperati dalle autorità: furono trovati i corpi delle due donne e quelli di Markis (19 anni), Hannah (anni 16), Jeremiah (14 anni), Abigail (14 anni) e Ciera (12 anni). All’appello manca tuttora il sesto figlio, Devonte (15 anni), considerato disperso ma certamente morto.
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Le indagini sul caso sono arrivate a mettere progressivamente a fuoco l’ipotesi di un omicidio-suicidio di massa, non di un tragico incidente: non furono rilevati segni di frenata nell’area che separa il bordo stradale dal dirupo, le autopsie hanno evidenziato la presenza di dosi eccessive di medicine nel corpo dei bambini e delle donne. Dagli esami risulta che Sarah Hart aveva nel sangue l’equivalente di 42 dosi di Benadryl (un antistaminico), nel sangue dei ragazzi c’era l’equivalente di 19 dosi del medesimo medicinale. Nella famiglia Hart il Benadryl veniva usato per far dormire i bambini durante i viaggi lunghi. Jen Hart, che era alla guida del veicolo, aveva un tasso alcolemico di molto superiore al massimo di legge consentito (fonte New York Times). Sono informazioni che suggeriscono una premeditazione del gesto, a cui si aggiunge il ritrovamento di certe ricerche sul web da parte della coppia:
Dopo aver lasciato la casa di famiglia il giorno della morte, sul cellulare di Sarah sono state fatte le seguenti ricerche: «500mg di Benadryl possono uccidere una donna di 120 libbre?» «La morte per annegamento è relativamente indolore?»; «Ci vuole tanto per morire di ipotermia nell’acqua mentre si annega in una macchina?» (da Il Messaggero)
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Ma quale sarebbe il movente di questo omicidio-suicidio collettivo?
L’elemento scatenante sarebbe stata la notizia di una visita dei servizi sociali alla famiglia Hart. In un’intervista televisiva, una coppia di vicini di casa della famiglia dichiara di aver sollecitato l’intervento di ispettori per presunti maltrattamenti subiti dai ragazzi Hart. La vicina, in particolare, aveva già accolto in casa alcuni di quei bambini spaventati dalla violenza delle loro madri e tenuti senza cibo per punizione. A corroborare questa testimonianza, c’è un reato del 2011: Sarah Hart era stata riconosciuta colpevole nello Stato del Minnesota di aggressione verso una figlia. A seguito di quel fatto la famiglia si trasferì in Oregon e cominciò a condurre una vita ritirata:
[…] tanto che i vicini erano stupiti di non vedere mai i ragazzi fuori nell’ampio giardino. Ma la coppia ha spiegato che facevano “homeschooling”, cioè facevano studiare i ragazzi a casa e quindi c’era poco tempo per stare fuori. (Ibid)
Il 28 marzo del 2018 gli ispettori dei servizi sociali non hanno trovato nessuno a casa, l’intero nucleo familiare era fuggito. I miseri resti di quelle 8 persone sarebbero stati avvistati più tardi da un passante sotto la scogliera di Mendoncino in California.
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L’amore non è la risposta
L’omicidio non è il tratto genetico di una categoria sociale, perché la tensione tra il bene e il male abita nella coscienza di ogni persona. Il suicidio è una violenza molto chiara negli intenti: è il rifiuto della propria vita.
Si dirà allora che la forza opposta alla distruzione è l’amore, ma questo tragico fatto di cronaca ci dimostra che l’amore è solo una delle parti in causa nella storia di ogni persona. L’amore umano di cui siamo capaci non è la risposta a tutti gli interrogativi che abitano, insieme a molte ombre, dentro la nostra anima.
Nei video su Youtube girati dalle stesse Jen e Sarah Hart si vedono tutti i membri di questa famiglia indossare una maglietta con la scritta Love is always the answer. È il cavallo di battaglia di molta propaganda LGBT per allargare a macchia d’olio, anche su questioni che richiedono ben altro discernimento, l’idea che l’amore tra due persone non può che generare qualcosa di buono. Le due Hart erano senz’altro coinvolte in questo genere di propaganda, i figli non giocavano molto in giardino ma venivano costantemente portati a manifestazioni politiche. La narrazione che volevano dare della propria famiglia era un quadretto idillico perfetto, come quello – palesemente finto – che emerge da un loro video di famiglia. La famiglia come recinto di sorrisi e abbracci, che volevano trasmettere, nascondeva zone oscure molto gravi.
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Anche in casi meno patologici di quello in questione, anche in casi di famiglie davvero serene, il sorriso e l’abbraccio non sono la cornice del quotidiano. Il punto dolente di questa propaganda LGBT è la necessità di offrire un volto impeccabile nella gioia; indice di una incapacità o mancata volontà di mettere a tema le ferite. E’ una favola poco credibile.
Jen e Sarah Hart si amavano e ostentavano la facciata dolce del loro legame, ma sono arrivate al suicidio e all’omicidio. Non conosciamo l’intimo della loro vita, ma evidentemente molti problemi seri le affliggevano e l’amore reciproco non è stata la bacchetta magica che li ha risolti tutti. L’amore non è la risposta a molte cose. L’amore è un’ipotesi di vita, una scelta, una capacità che l’umano abbraccia e poi tradisce. Accanto all’amore ci sono, dentro ogni persona, altre ombre e tempeste contrarie, che l’amore puramente umano e sentimentale non sconfigge.
Quando Dante disse che l’Amore muove il sole e le stelle, si riferiva a un gesto libero e rivoluzionario del Creatore: per mettere il sigillo dell’Amore sul creato, bisogna tirar fuori di necessità la maiuscola, cioè attribuirlo alle mani del Padre. Le nostre ne desiderano l’abbraccio, ma sanno restituirlo ai propri simili in modo assai maldestro e monco. Tutti inclusi, nessun escluso.
La storia di Jen e Sarah Hart conferma che un legame può partire da un’ipotesi di amore, ma è manchevole di molto se tiene come unico fondamento l’affetto reciproco di due persone. Love is love è una sottilissima lastra di ghiaccio sopra un oceano profondissimo. In mare, in questo caso, sono morti anche sei giovanissimi ragazzi.
Soggetto, i figli
Ci sarà chi si premura di mettere in chiaro che l’orientamento sessuale non è la causa dei maltrattamenti, e si aggiungerà che è colpa di chi ha affidato quei bambini a persone inadeguate. Perché – in questo caso – è evidente che il bene di un bambino viene prima del desiderio di due adulti di avere un figlio.
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Ecco. Non è vero solo in questo caso, che si è concluso tragicamente. Lo è sempre. I figli sono sempre soggetto della famiglia; non diventano soggetto solo in certi episodi di cronaca. La persona di ogni figlio è al centro della vocazione della famiglia. Lo è nella quotidianità del nostro vissuto più triviale; lo è nei casi estremi di violenza domestica; lo è quando si parla di genitori straordinari che accudiscono figli disabili; lo è, come in questo caso, quando si parla di adozione; lo è, perciò, quando si parla di forme di concepimento e affidamento che escludono a priori la presenza di un padre e di una madre.
Eppure, spesso, si vivono situazioni da teatro dell’assurdo: è lapalissiano affermare che una figlia non deve essere abusata da un padre; applaudiamo storie di famiglie che accolgono figli segnati da malattie gravissime; ma si è tacciati di omofobia se si afferma che la pratica dell’utero in affitto non rispetta la dignità di un figlio. Nei primi casi è giusto mettere al centro il bambino (soggetto), nel secondo è giusto che prevalga il desiderio dei genitori sulla creatura (oggetto).
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Diciamolo senza mezzi termini: il mondo della famiglia che riduttivamente viene definita eterosessuale ha ammainato da molto tempo la bandiera del love is love e naviga nel pantano dei divorzi brevi, dei delitti, dei tradimenti. Allo stesso modo, fa i conti da tempo col fatto che le sue molte colpe, i suoi molti inciampi, fanno vittime soprattutto tra i più piccoli.
La narrazione di una nuova alba in cui si formeranno nuovi nuclei domestici in cui conterà solo l’affetto di due o più persone di qualsivoglia sesso e in cui la felicità dei figli sarà garantita per il solo fatto che la premessa di tutto è l’amore (va bene. Ma, intendiamoci: quale amore? Come è fatto veramente l’amore?), è una bugia colossale che ferirà in modo atroce soprattutto chi ci crede davvero. Ferirà ancora di più i veri soggetti del discorso, i nascituri. E’ per il loro bene, da chiunque nasceranno o come nasceranno, che li teniamo al centro di ogni discussione che voglia relegarli a mero accessorio di felicità di una coppia.