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Guglielmo ha gridato: “Ti amo, Dio, ti amo”

IENE, GUGLIELMO, DIO
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Annalisa Teggi - pubblicato il 26/03/19
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Lo scoop de Le Iene si imbatte nella sorprendente confessione di uno dei ragazzi a bordo del pullman sequestrato poi incendiato a San Donato milanese.La giornalista de Le Iene Alice Martinelli è di spalle, ma s’intravede lo stesso un sussulto di stupore che le spalanca leggermente le labbra quando Guglielmo stravolge all’improvviso la trama dello scoop. Doveva parlare di amori giovanili, invece il giovanotto ha tirato fuori Dio.

Guglielmo è uno dei 51 ragazzi che sono stati sequestrati sul pullman da Ousseynou Sy lo scorso 20 marzo e ha vissuto in prima persona l’epilogo provvidenzialmente lieto, ma spaventoso, a San Donato milanese.

Passato il panico, passata la fase delle polemiche, in attesa che forze dell’ordine e giustizia procedano nelle indagini, restano loro come protagonisti assoluti: 51 giovanissimi che hanno conosciuto troppo presto il confronto serrato con l’ombra della morte.


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Quasi tutto il clamore mediatico ruota attorno a Rami e alla sua meritata cittadinanza, col rischio che questo ragazzo venga strumentalizzato, di qua e di là, con finalità ben più misere che valorizzare il suo gesto audace di sfidare il pericolo e chiamare i soccorsi. Più si conoscono dettagli di quei 40 minuti da incubo, più emerge un quadro corale di solidarietà tra le vittime (studenti, insegnanti) … che nulla toglie al valore dei singoli, anzi lo incornicia nel quadro più a fuoco possibile. Nessun uomo è un’isola, neppure nei momenti più cupi.

Un grido d’amore in fuga

Un automobilista ha ripreso le concitate fasi della liberazione degli ostaggi del bus sulla Paullese, all’altezza di San Donato: quel breve video inquadra la fuga dei ragazzi, l’intervento mirato ed eccellente dei Carabinieri e poi l’incendio del mezzo. Sono frammenti scandagliati fotogramma per fotogramma, in un brevissimo passaggio si sente un ragazzo che grida: ti amo.


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Alice Martinelli ha pensato molto bene di andare a capire che storia c’è dietro quell’urlo, e si è inoltrata in un viaggio che le ha regalato altri “amori” e una sorpresa finale. È bello constatare che il giornalismo si lasci ancora stupire da copioni che non ha messo in programma.

Il servizio curato da lei per Le Iene e andato in onda il 24 marzo è un’indagine a lieto fine: si tratta innanzitutto di scovare qual è il volto dietro quel grido. Ma, nel frattempo, c’è anche altro da appuntarsi. La Martinelli comincia intervistando alcuni studenti, tra cui l’ormai famoso Rami, ma nessuno sembra ricordarsi quale loro compagno abbia pronunciato quel ti amo, ti amo.

SAN DONATO MILANESE

FLAVIO LO SCALZO / AFP

Però altri “ti amo” sono stati detti sull’autobus. Salta fuori che nel momento più drammatico del sequestro, a bordo dell’autobus e cosparsi di gasolio, alcuni ragazzi hanno dichiarato il proprio amore a qualche compagna o compagno. Sappiamo quanto siano frivole, spinose eppure entusiasmanti queste faccende sentimentali alle scuole medie. Sappiamo, forse solo per sentito dire, che il panico e la prossimità alla morte danno all’uomo la spinta a vedere con lucidissima nostalgia ciò che si corre il rischio di perdere irrimediabilmente, la vita e gli affetti, soprattutto.

Il caso di San Donato milanese non è stato un’eccezione, anche se abbiamo dovuto tremare, sentendo queste voci di amore e paura da chi è ancora giovanissimo. Nel mio precedente contributo sulla vicenda, ho osato infrangere il bon ton giornalistico citando Shakespeare. Ribadisco, sostenendo che non ci siano occhi più lucidi sull’attualità di quelli di chi ha raccontato l’umano in capolavori come I miserabili, Delitto e Castigo, o Otello. E oggi ci imbattiamo in un’altra evidenza: ciò di cui la tradizione umana ha sempre lasciato testimonianza nei miti, nei racconti, nelle poesie è vero. Amore e Morte, sono le due forze opposte e divergenti che si contendono il dramma della vita. Non Vita e Morte, ma Amore e Morte.


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La telecamera che registra le risposte alle domande di Alice Martinelli raccoglie i sorrisi a metà e gli occhi bassi di questi ragazzini che non sanno bene chi ha gridato ti amo, ti amo, ma dicono a loro volta di averlo sussurrato a qualcuno. Nota la giornalista:

E così scopriamo che su quel pullman, in un momento così drammatico, quando tutto sembrava perduto, oltre a pensare a tutti gli istanti della loro vita, qualcuno di loro ha pensato di rivelare il proprio segreto più intimo.

A questo punto lo scoop giornalistico sembra assumere un connotato preciso, bellissimo, autentico, pieno di positività. Eppure una sorpresa fa capolino.


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Guglielmo il ragionevole

La scena si sposta a casa di Guglielmo, riconosciuto – finalmente – come il protagonista di quel grido d’amore in fuga. Ciuffo ribelle e felpa gialla, timido ma chiaro nell’esporre i fatti, ha qualcosa di preciso da raccontare sulla sua storia a bordo di quel tremendo bus e sull’interlocutore del suo amore:

Era rivolto al Signore, perché io non sono mai stato un grande credente. Sul pullman eravamo tutti disperati e anche io ho voluto fare una mia preghiera. E quando siamo riusciti a salvarci mi è sembrato che si fosse avverata e ho voluto ringraziare Dio. Gli avevo chiesto di salvarci perché eravamo tutti ragazzi innocenti e non avevamo fatto nulla di male a nessuno. Sono saltato dal finestrino dietro, sono riuscito a cadere in piedi. E ho urlato: Dio ti amo. La sera stessa ho fatto un’altra preghiera.

SAN DONATO MILANESE

HANDOUT / VIGILI DEL FUOCO / AFP

Dalla voce dei piccoli, o Dio! Scappa questa invocazione, perché a taluni è parso fuori luogo chiamare in causa la Provvidenza nella storia di San Donato. Quasi che ringraziare la presenza del Cielo in quel frangente fosse un insulto all’eccellente intervento dei Carabinieri e al coraggio dei protagonisti. Proprio un protagonista di appena 12 anni ci dimostra che la ragione sa unire ciò che l’ideologia osa separare: Guglielmo non ha visto contraddizione nella presenza di Dio al suo fianco, unita al suo coraggio di fuggire e unita alla presenza delle forze dell’ordine a soccorrerlo.


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C’è un amore più grande della morte?

Qualche settimana fa ho assistito a una conferenza tenuta nella mia città da Don Vincent Nagle, che presta il suo servizio accanto ai malati terminali. Era stato invitato a parlare di educazione dei giovani alla fatica. C’erano tra gli spettatori soprattutto genitori coi figli alle medie e superiori, da certi volti si percepiva una certa perplessità alle parole di Don Vincent … che ha impostato l’intera discussione a partire dalla coscienza della morte. Ciascuno di noi, forse, si aspettava una chiacchierata orientata ad altri orizzonti e non un pugno così forte nello stomaco.

Poi, a qualche giorno di distanza, ecco capitare la strage sventata a San Donato. Puntualmente quel discorso mi è ritornato, parola per parola, come sguardo di speranza nei luoghi che non vorremmo frequentare. C’è ancora questo grosso tabù della morte. Molti di noi adulti, diceva il buon Buzzati, vive senza pensarci, si spaventa quando la cronaca gliela sbatte in faccia e torna a ridere appena se ne dimentica.


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Nessuno di noi avrebbe augurato ai ragazzi di Crema di vivere l’inferno che ha vissuto. Ma è accaduto. È quanto mai vertiginoso per noi genitori fare i conti con l’evidenza che non possiamo proteggere i nostri figli dal male. Ma non è disperante. Se, anche nel buio di male vissuto da questi ragazzi, qualcosa di buono possiamo strappare alla prospettiva della tragicità è questo: il confronto serrato con la morte fa destare più vivido ciò che risiede nelle risorse più profonde dell’uomo, ed è il bisogno di un amore che vince la morte.

L’irruenza assurda della realtà ci costringe a fare i conti con questa drammaticità in momenti che non avremmo programmato a priori. Possiamo insultare il destino, o possiamo stupirci di come la libertà umana dia lode alla luce … anche presa alla sprovvista e senza troppi anni sulle spalle.


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Nel quaderno dei miei appunti ho scritto veloce, mentre Don Vincent parlava, questa domanda che ci ha lasciato: tu hai qualcosa per cui vale la pena morire? Se non ce l’hai non hai nemmeno nulla per cui vale la pena vivere. O la morte è parte di un Amore più grande della morte, o non sapremmo cosa farcene della fatica quotidiana di vivere.