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Elena Santarelli: la preghiera mi aiuta a stringere la mano di mio figlio

Elena Santarelli,
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Silvia Lucchetti - pubblicato il 15/03/19
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La showgirl torna a parlare del tumore contro cui combatte il suo Giacomo e racconta di trovare la forza nella preghiera.Elena Santarelli non si sente una madre speciale, si reputa però una mamma fortunata, nonostante lo sconvolgimento che la sua vita ha subito un anno e quattro mesi fa a causa del tumore cerebrale che ha colpito il figlio Giacomo. “Non sono una super mamma”, ha detto a Mara Venier ospite del programma Domenica In, “siamo tutte super mamme”.

In una recente intervista rilasciata al Messaggero, la showgirl ha raccontato:

«Nulla succede per caso. Come quando quel giorno ho sentito nello stomaco di andare a grattare in fondo su quelle cose che vedevo diverse in Jack. Qualcosa mi diceva Gratta! Gratta, che qualcosa trovi. Sarà stata mia nonna dall’alto» (Ibidem)


MARA VENIER
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Da quel momento è cominciato un percorso intenso, doloroso, di cui ha parlato sui social, sempre con discrezione e grande positività, soprattutto per sostenere la ricerca utilizzando la sua immagine. “Perché se non lo facciamo noi che siamo personaggi pubblici, chi dovrebbe farlo?” ha affermato a Domenica In. In particolare Elena Santarelli sostiene il Progetto Heal, una onlus fondata da famiglie di bambini malati di tumori cerebrali e formata da medici, infermieri, studiosi e biologi che operano a favore della cura e della ricerca e che raccoglie fondi attraverso il sostegno dell’équipe medica della dottoressa Angela Mastronuzzi, all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma (Messaggero). La sua sensibilità l’ha aiutata a non richiudersi nel dolore, a non restare concentrata soltanto sulla propria sofferenza, ma l’ha portata a guardare gli altri, a sostenere anche con piccoli gesti chi è in difficoltà.

«Disperati pure, perché è normale ora fare uscire dolore, rabbia e disperazione. Poi rimboccati le maniche, rivestiti del tuo solito sorriso, combatti, e affidati a questi dottori» (Ibidem).

Mi ritengo fortunata

La Santarelli e suo marito Bernardo Corradi come tanti genitori vivono non solo la sofferenza della malattia di un figlio, ma anche la difficoltà di come relazionarsi con lui, che oggi ha 10 anni, rispetto al tumore. La showgirl non nasconde che il sostegno di una psicologa è stato molto utile per comprendere tante dinamiche complesse: la rabbia di suo figlio, i momenti di sconforto.

«A me è servita per avere il giusto comportamento con mio figlio, nella comunicazione, nel controllo dei momenti più critici come la perdita di capelli, la rabbia: i bambini sono tutti molto arrabbiati, sa? A 4, 5 anni non capiscono ancora, la prendono quasi come un gioco. Ma a 10, per quanto la vita che facciamo sia la più bella e normale possibile, è comunque la vita di un bambino malato, e non posso negare che sia arrabbiato (…) A volte mi dice che palle!. I capelli che cadono, andare in ospedale per la chemio. Io mi ritengo fortunata, ma è difficile spiegare la fortuna che abbiamo avuto a un bambino di 10 anni. Lo capirà quando sarà grande» (Ibidem).


SANTARELLI MARRONE
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Piango fuori casa

Le sue parole sono sincere, piene di coraggio, di misura, positività e soprattutto prive di pietismo. Lei crede davvero di essere fortunata, lotta fiduciosa per la vita di suo figlio senza piangersi addosso né  lamentarsi, il suo compito è un altro: dare forza alla sua famiglia, sostenerla in questa prova.

«(…)Pochi hanno visto le mie lacrime. Se piango, poi, devo sempre andare altrove, a casa non si può. (…) La maschera del va tutto bene è pesante ma la devi portare per forza. A che serve condividere il fatto di avere una risonanza domani? Non lo dico neanche ai miei genitori. Basto io a non dormire da 7 giorni prima, perché dovrei essere egoista e fare stare male anche gli altri?».

La preghiera di gruppo è potente

Con Dio può sfogarsi, lasciare fuoriuscire pianto e parole, in chiesa si sente ascoltata, abbracciata, e grazie alla preghiera, ha detto, trova la forza di stringere la mano del suo Giacomo:

«Ho carattere. A volte però vorrei sfogarmi, ma solo per essere ascoltata. (…) In chiesa. C’è qualcuno che mi ascolta dall’alto, lì. Prego, c’è tanta gente che prega per Giacomo. La preghiera di gruppo è potente. (…) la preghiera mi aiuta a tenere la mano a mio figlio».

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Di fronte al dolore innocente non siamo mai impotenti: possiamo pregare!

Queste parole mi hanno fatto venire in mente i primi versi di una poesia di Alda Merini:

Soltanto una mano d’angelo

intatta di sé, del suo amore per sé,

potrebbe

offrirmi la concavità del suo palmo

perché vi riversi il mio pianto.

Davanti al dolore innocente, al mistero e allo scandalo della sofferenza dei piccoli, non siamo del tutto impotenti: possiamo pregare.