L’attivista iraniana per i diritti umani ha subito un processo controverso ed è detenuta in un carcere tra i più duri del paese; si teme per la sorte di questa avvocatessa che si batte contro la pena di morte e per il diritto delle donne a non indossare il velo. Nasrin Sotoudeh è un’avvocatessa iraniana di 55 anni, sposata con Reza Khandan e madre di due figli. Si occupa da sempre di diritti umani e con una sentenza dello scorso 6 marzo è stata condannata a 33 anni di carcere e 148 frustrate dalla giustizia di Teheran. I reati a lei ascritti sono: incitamento alla corruzione e alla prostituzione, commissione di un atto peccaminoso essendo apparsa in pubblico senza il velo, insulto del leader supremo Ali Khameini e attentato alla sicurezza nazionale.
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Ne esce il ritratto di una donna estremamente pericolosa per il regime iraniano, armata solo di una indomita volontà di giustizia e impegnata nel riconoscimento di diritti basilari per i più deboli.
Senza armi, senza velo
Tuffarsi nella realtà di un paese come l’Iran è difficile per chi, come la maggior parte di noi, si limita a tendere l’orecchio a qualche sporadica notizia ascoltata nei telegiornali. Venire a conoscenza di una sentenza che condanna una persona a subire centinaia di frustate ci pare non solo anacronistico, ma addirittura inconcepibile. Peraltro, è una punizione corporea che può portare alla morte: si tratta di una tortura e di un oltraggio alla persona, violata ed esposta al pubblico ludibrio. Ci dice qualcosa delle ombre più scure che ancora incombono sul governo di Teheran.
Quasi contemporaneamente alla vicenda della Sotoudeh un altro piccolo ma significativo fatto accadeva ad Arak, nel Nord dell’Iran: una proposta pubblica di fidanzamento con tanto di bacio è costata a due ragazzi un arresto.
I due giovani sono stati arrestati per aver “contravvenuto i principi islamici”, il divieto ogni contatto fisico in pubblico fra un uomo e una donna che non siano sposati o famigliari. (da La stampa)
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Per snebbiare la vista, per tentare di avvicinarsi a comprendere il senso di questi eventi occorre dunque infilarsi in un territorio alieno, dove ogni passo di comprensione va fatto con lentezza e attenzione.
Per tutti quelli nati dagli anni Ottanta in poi di Iran ce n’è stato sempre uno soltanto: quello governato in maniera autoritaria dai religiosi sciiti, quello degli uomini con la barba lunga e i turbanti bianchi o neri e delle donne velate. In realtà l’Iran non è sempre stato così, e fino al 1935 aveva anche un altro nome: si chiamava Persia, che è l’antico nome greco dell’Iran – Persis – che deriva a sua volta dal nome del clan principale di Ciro il Grande, uno degli imperatori più importanti e celebrati della storia antica dell’Iran. L’anno che segna il prima e il dopo è il 1979, quando l’Iran si trasformò da monarchia governata dalla dinastia dei Pahlavi a Repubblica Islamica governata dai religiosi sciiti. (da Il Post)
Sotto il regime teocratico, il paese vive tuttora in una situazione contradditoria tra aperture formali all’Occidente e forte repressione interna. La storia di Nasrin Sotoudeh è emblematica anche da questo punto di vista: è sposata con un uomo che la sostiene senza remora alcuna, ma viene perseguitata da un potere che non tollera un messaggio di uguaglianza e libertà per le donne. La dignità che le è riconosciuta all’interno del vincolo matrimoniale viene calpestata dal potere ufficiale.
Come avvocatessa si è esposta per garantire a molte minoranze il diritto di avere una voce: nel 2009 difese gli oppositori politici di Ahmadinejad, in seguito alla sua elezione a Presidente, si schierò anche al fianco dei prigionieri condannati a morte per reati commessi da minorenni. E’ il braccio destro del Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi. La difesa delle donne è stata l’altra battaglia che l’ha vista impegnata a costo di alti rischi personali: un anno fa si era esposta sostenendo le “ragazze di via Rivoluzione”, giovani donne che hanno scelto di togliere il velo sventolandolo come una bandiera.
«Il sistema giudiziario», aveva detto Nasrin, «approva sentenze di durezza sorprendente contro queste donne, ma non penso che potrà fermare così le proteste contro l’hijab obbligatorio: continueranno. L’unico modo in cui affrontarle è prestare attenzione». (Vanity Fair)
La sua attività instancabile le ha meritato il premio Sakharov per i diritti umani dal Parlamento Europeo nel 2012. Contemporaneamente, in patria le persecuzioni contro di lei si sono fatte sempre più mirate e violente: arrestata per cospirazione nel 2010, ha usato la misura estrema dello sciopero della fame perché le fossero garantiti i diritti minimi di un qualsiasi prigioniero, come quello di poter fare una telefonata alla famiglia.
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Rilasciata nel 2013, è nuovamente finita dietro le sbarre nel 2018 e dal 13 giugno è rinchiusa nel carcere di Evin, noto per essere uno dei peggiori penitenziari del Paese. La notizia di quest’ultima severissima sentenza arriva pochi giorni dopo che l’Iran ha nominato un nuovo capo della magistratura e potrebbe esserci un nesso non indifferente:
Secondo Mahmood Amiry-Moghaddam (attivista per i diritti umani – NdR) non è un caso che sia stato nominato capo della magistratura Ebrahim Raisi che, nel 1988, fu uno dei membri della cosiddetta “Commissione della morte“, responsabile delle esecuzioni di migliaia di prigionieri politici. “Il regime è in difficoltà“, spiega, “dal 2017 ci sono state proteste quasi quotidiane di gruppi diversi, lavoratori, insegnanti, le ragazze contro il velo. Per sopravvivere tenta la repressione più dura“. (da Il Giornale)
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Le reazioni
Si sono moltiplicati i messaggi di sostegno alla paladina iraniana da parte della comunità internazionale. Il Predidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani ha diffuso questo comunicato dal suo profilo Twitter:
Condanno la sentenza assolutamente oltraggiosa del governo iraniano contro Nasrin Sotoudeh, vincitrice del Premio Sacharov. Sotoudeh dedicato la propria vita a difendere i diritti delle donne e a battersi contro la pena di morte. Il Parlamento europeo è con lei.
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In occasione della recente festa della donna abbiamo assistito sul territorio nostrano a manifestazioni organizzate da movimenti femminili connotate da accenti di intolleranza, spregio e violenza. L’esempio di questa donna iraniana ci ricorda che lì dove le vere battaglie sono combattute è sempre l’umiltà di una voce chiara ma non superba a far tremare i giganti. Chi patisce l’assenza di rispetto sa brandire il rispetto e la non violenza contro l’oppressore. A chi mancano i diritti primari e fondamentali non manca l’onestà di battersi corpo e anima, senza svilire o svendere la propria dignità.