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Vi racconto mia figlia Anna e la profezia di Madre Teresa di Calcutta

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Silvia Lucchetti - pubblicato il 27/02/19
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In un racconto autobiografico Guido Marangoni testimonia il disegno divino che gli ha fatto incontrare la bellezza della diversitàIl libro di Guido Marangoni: “Anna che sorride alla pioggia. Storia di calzini spaiati e cromosomi rubati”, (Sperling & Kupfer) è uno straordinario viaggio autobiografico nell’esperienza di diventare genitori e fratelli di un bambino con sindrome di Down, narrato con quella speciale leggerezza che riesce ad essere al tempo stesso profonda, e permeato di una esilarante vena di comicità ironica ed autoironica mai però sopra le righe.

È maschio! Me lo sento è un maschio!

Il racconto inizia con una breve vacanza della coppia Guido-Daniela, un ingegnere informatico balbuziente e una psicologa dalla battuta fulminante, a Berlino – opportunità conquistata grazie all’ossessione della moglie per la raccolta di punti al supermercato e ai grandi magazzini – partendo per la quale Guido decide in solitaria di mettere in valigia un test di gravidanza “avanzato” da un precedente controllo risultato negativo. Nella stanza al ventunesimo piano dell’hotel dove sono alloggiati, il test fatto quasi per gioco dà inaspettatamente esito favorevole, riempiendoli di una tale gioia, visto il desiderio da tempo coltivato di un terzo figlio dopo aver avuto Marta e Francesca, da far urlare a Guido dentro di sé: “È maschio! Me lo sento è un maschio!”. Purtroppo l’amniocentesi rivela la presenza di un feto di sesso femminile con un difetto genetico (monosomia X, detta anche Sindrome di Turner), e la gravidanza si interrompe naturalmente al sesto mese costringendo Daniela al trauma del parto indotto di Sofia, già morta nel grembo materno.

Salutati con il dito medio

In un giro fatto per rilassarsi al Lago di Garda, seduti in riva su una panchina, Guido e Daniela incrociano una coppia non più giovane a passeggio con la ventenne figlia con sindrome di Down che, al sincero e rispettoso “Ciao” di saluto, risponde guardandoli di traverso e alzando decisamente verso di loro il dito medio, scatenando così – per la comicità della situazione creatasi – una risata di simpatia a stento trattenuta fino all’allontanarsi del terzetto. Ma…

“(…) riflettendo su quanto era appena accaduto mi apparve chiaro come la sindrome di Down fosse arrivata a me prima di tutto il resto, e la ragazza fosse finita sullo sfondo. Anche l’ammirazione verso quei genitori, per qualcosa che, non solo non sarei mai riuscito a fare, ma che proprio non volevo fare, era un modo per prendere le distanze”.


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“Si tratta della trisomia 21” … “Mi scusi dottoressa , è maschio o femmina?”

Daniela inizia una nuova gravidanza, ma ad un controllo ecografico nasce il sospetto della presenza di una anomalia genetica che costringe all’esecuzione di una villocentesi. Straordinariamente sofferta e comica è la scena in cui viene comunicata alla coppia che il bambino ha la sindrome di Down:

“La dottoressa inforcò gli occhiali e, ignara dei miei pensieri, avvicinò il foglio a sé emettendo un gelido: «si tratta della trisomia 21» (…) Ventuno (…) Quel nuovo ventuno aveva spodestato per sempre il giorno del mio compleanno. «Mi scusi, dottoressa, è maschio o femmina?» Daniela mi salvò dall’esondazione emotiva con uno dei suoi colpi di genio più brillanti di sempre. Brava Ela, pensai riprendendo vigore e stringendo con la mano la sua spalla. Diamo un senso al canestro che ho appeso sopra al garage. La dottoressa, sbarrando gli occhi dalla meraviglia, introdusse la sua mini lezione di genetica con un sorriso di commiserazione: «Mi scusi, signora. Forse lei non ha ben capito. La trisomia 21 è la sindrome di Down». «Dottoressa, mi perdoni. So perfettamente che cos’è la trisomia 21, ma io vorrei semplicemente sapere se nostro figlio è un maschio o una femmina». Questa volta la mia psicologa preferita aveva davvero portato la dottoressa fuori protocollo e il suo imbarazzo me la stava rendendo simpatica. Avrei voluto darle la sedia di Daniela perché la vedevo sbiancare. Ma poi, consultando il referto e cercando l’informazione con il dito, si schiarì la voce e disse: «È una femmina!», sorrise Daniela”.

“La bambina è femmina, ma è anche Down” … e si chiamerà Anna

Quando la notizia dell’arrivo della nuova sorellina viene data a Marta e Francesca che da tempo ne aspettano l’annuncio, la loro reazione è assolutamente gioiosa e accogliente verso la creatura in viaggio che ha “solo” un cromosoma in più. Francesca in un tema scrive:

“(…) io mi sento simile a un pentagramma (…) Dentro lo spartito ci possono essere note di vario tipo e quantità, nel senso che io sono aperta a tutti gli amici: maschi o femmine, disabili o no, per me è uguale e se devo dirla tutta trovo le persone con problemi ancora più speciali di quelle sane. Per esempio mia mamma adesso è incinta. La bambina è femmina, ma è anche Down: noi l’accoglieremo a braccia aperte, e questo problema non altererà il nostro affetto, anzi lo aumenterà”.

Nella lotteria per il nome Francesca ha la meglio: Anna è il nome della maestra delle elementari che ha avuto con lei un rapporto speciale e che ora è in fin di vita per un tumore cerebrale, e di una compagna di classe disabile che ha incontrato da poco iniziando la scuola media. Il nome della nascitura a questo punto non può che essere Anna.

“Abbiamo fatto la festa ad Anna, non alla sindrome di Down!”

La bimba decide di venire al mondo una domenica notte, spiazzando tutti. Tra le puerpere del reparto ve ne è una che si lamenta per il fatto che il maschio appena partorito è leggermente più brutto della primogenita, e che si rende conto solo tardivamente della particolarità di Anna esclamando di fronte a Daniela:

«Ma come? In questi giorni parenti, amici, regali, palloncini, colori. Avete fatto festa e sembra che siate felici (…)»

La risposta di Daniela:

«C’è anche una buona dose di paura, ma lo siamo davvero (…) e poi abbiamo fatto festa ad Anna, non alla sindrome di Down!»



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La prima volta che Anna sale in cattedra: “Mi prese il viso fra le mani (…) «guardami»! sembrava dirmi”

“Uno dei primi gesti intenzionali di Anna che mi sorprese ed emozionò fu quando, mentre leggevo un’email sullo smartphone con lei in braccio, mi prese il viso fra le mani ed indirizzò il mio sguardo nel suo. Mi fissò negli occhi e basta. Con quel semplice gesto Anna mi fece capire che con lei avrei avuto modo di imparare, non solo insegnare. «Guardami!» sembrava dirmi. E in quello sguardo forse c’era la risposta al mio bisogno di studiarla, inquadrarla, e alla mia involontaria tendenza a sottovalutarla. Perché la disabilità a volte è bastarda, con noi genitori: ci fa accontentare. E accontentarsi impedisce di esplorare, osare, provare, sbagliare, rischiare, ma in qualche modo induce a rinunciare per rimanere in una zona circoscritta e rassicurante”.

La pagina fb “Buone notizie secondo Anna”

Guido e Daniela cercano informazioni e contatti attraverso libri, web, social, forum, associazioni, e si rendono conto che i gruppi di famiglie con figli con sindrome di Down tendono ad essere chiusi per proteggere i propri ragazzi e se stessi:

“Trovare un equilibrio tra protezione ed inclusione è la cosa più difficile del mondo”.

Guido vuole fare qualcosa, ma non sa che cosa. Gli vengono in aiuto le parole di Papa Francesco:

“La sfida che oggi ci si presenta è reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione (…) A proposito di limiti e comunicazione, hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità. La diversità può diventare, grazie all’amore dei genitori, dei fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo”.

Capisce finalmente cosa vuole fare: raccontare che Anna è una buona notizia, dire del potere straordinario della sindrome di Down di stravolgere i punti di vista, ed è convinto che scoprire ciò riguardi tutti, non solo i familiari di questi disabili.

“In quelle notti insonni io cullavo Anna e questi pensieri cullavano me. E nella notte del 21 maggio 2015 decisi di creare la pagina. Una volta compilato il form per l’attivazione della pagina feci premere il tasto invio al ditino di Anna, che dolorante per i dentini e ignara di tutto, diede il suo benestare”.

In pochi mesi la pagina riscuote un successo inaspettato, creando contatti, incontri ed amicizie che diversamente non sarebbero mai avvenuti, e toccando cuori desiderosi di raccontarsi e di ritrovare la speranza.



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Imparare a convivere con gli sguardi

Guido nascosto dietro gli occhiali da sole si “diverte” ad osservare le reazioni delle persone che li incontrano passeggiando con Anna.

“Le tipologie erano le più diverse. C’era lo «sguardo tergicristallo» di chi, non appena si accorgeva della sindrome di Down, iniziava il balletto: uno sguardo ad Anna, uno a noi, uno ad Anna, uno a noi. Al terzo o quarto giro la tentazione di dire «Sì, è Down!» era fortissima, ma di solito la risolvevamo con un sorriso. Davanti al sorriso normalmente il «tergicristallo» si bloccava per ricambiare o, molto più frequentemente, appoggiare lo sguardo sulla prima vetrina a portata di occhi, fosse stata anche quella di una ferramenta. Un’altra categoria erano gli «urli di Munch». A volte, per quanto una persona si sforzi di nasconderlo, il terrore che la attraversa, risvegliato da chissà quale vissuto o paura, è difficile da nascondere. Una categoria invece apparentemente più discreta, ma forse più giudicante, erano i «ma lo sapevano prima o lo hanno saputo solo alla nascita?». Poi c’erano i «poverina», i «che bravi». E infine i semplici sorrisi, che da sempre sono quelli che preferiamo”.

 

“«OOOOOOH» tirando fuori la lingua e sorridendo alla pioggia”

All’età di tre anni Anna è costretta ad affrontare un delicato intervento di cardio-chirurgia per una malformazione frequente nei bambini Down. Quando, dopo tante tensioni e momenti difficili passati nel reparto di Pediatria, si accingono finalmente a varcare la soglia dell’ospedale per tornare a casa, ecco che li accoglie la pioggia e i soliti sguardi indiscreti.

“In quel momento entrò dalle porte scorrevoli una coppia di mezza età. Guardarono Anna con il solito distaccato stupore, bisbigliando qualcosa. Mi avviai verso l’uscita andando loro incontro con il broncio, quasi volessi affrontarli. Poi Anna alzò la manina per salutarli: «O!» e contro ogni mia previsione, riuscì a strappare loro un sorriso e un solare «Ciao». Forse era la stanchezza, ma non avevo proprio voglia di convenevoli. Mi attardai ad aprire l’ombrello. Anna fu raggiunta al viso da qualche goccia e, alzando gli occhi al cielo, esclamò uno dei suoi migliori «Ooooooh!» tirando fuori la lingua e sorridendo alla pioggia e a tutto il nostro lamento. Ancora una volta il sorriso di Anna ci aveva indicato qualcosa di potente, ma di nascosto ai nostri occhi”.

“Quando un giorno aspetterai un figlio, qualsiasi cosa succeda, non avere paura!”

Il libro si chiude con il ricordo della profezia che tanti anni prima Guido aveva ricevuto da Madre Teresa di Calcutta, accogliendola distrattamente.

“La storia che ho raccontato in questo libro è nata da quella che può sembrare una profezia, ma in realtà è qualcosa di molto più semplice e altrettanto potente. Avevo diciassette anni, ero un ragazzino in piena tempesta ormonale, incazzato con il mondo e con Dio per la sua balbuzie. Quel giorno ho avuto la fortuna di incontrare madre Teresa di Calcutta che, sorprendentemente, mi disse: «Quando un giorno aspetterai un figlio, qualsiasi cosa succeda, non avere paura!» Sembrava una frase carica di banalità e anacronismo. A un ragazzo di diciassette anni tutto interessa tranne che un figlio. Ma le cose importanti sono così, si mimetizzano con le banalità quotidiane. E infatti quella frase fu squisitamente profetica perché, nel mio cuore, per ben sette volte, ha fatto tutta la differenza del mondo”.

Grazie Guido per averci fatto generosamente entrare nell’intimità della tua famiglia, aiutandoci così con grande semplicità ad aprire il nostro cuore alla bellezza della “diversità” presente nel mistero del disegno divino.


AMANDA BOOTH
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