La martire ha riportato l’episodio prima di essere uccisa insieme ad altri cristianiPerpetua e Felicita nel 203 subirono il martirio sotto Settimio Severo, l’imperatore romano di origine africana. A Cartagine esisteva in questo fine anno 202 un gruppetto cristiano di un genere particolare poiché non è diretto da un sacerdote ma da un laico, Saturus.
Quest’uomo, giovane, ha riunito intorno a lui parecchi proseliti, senza distinzione di nascita, di rango o di sesso. Intorno a Saturus, si incontrano degli schiavi, Revocatus e Felicitas, insieme con ragazzi della buona società, Saturninus e Secundulus, ed una giovane patrizia, Vibia Perpetua, di ventun anni, sposata, madre di un bambino di alcuni mesi.
Tutta l’Africa romana era allora violentemente ostile ai cristiani, per colpa di gruppuscoli eretici, i montanisti, il cui fanatismo e l’aggressività hanno esasperato le folle pagane, poco portate a fare la differenza tra i diversi gruppi della setta bandita. Denunciati, i catecumeni di Saturus, che non sono ancora battezzati, sono arrestati. Questo zelo piomba il prefetto Hilarianus nella costernazione quando scopre, nel numero dei prigionieri, la chiarissima Vibia Perpetua che, dalla sua nascita e dal suo matrimonio, rappresenta l’alta aristocrazia della regione…
Nella speranza che perverrà a dissociare la sorte della giovane patrizia da quello dei suoi compagni meno ben nati, Hilarianus fa dapprima internare il gruppo in una casa privata. E cerca tutto e non importa cosa per riportare Perpetua a quello che crede essere il senso comune : un giorno, è suo padre, Vibius Perpetuus, che la giovane donna vede arrivare, con suo figlio nelle braccia. Segue una scena orribile, strappante, in cui il padre piange, supplica, minaccia, brandisce la sua autorità paterna, prima di mettere il bambino nelle braccia di sua figlia scongiurandola di non lasciarlo orfano (Santa Perpetua ha lasciato il racconto manoscritto della sua prigionia).
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Ma Perpetua non si lascia strappare né dalla vista di suo figlio né dalle lacrime di suo padre. Hilarianus cambia metodo. Egli ha sotto stimato la virtù romana nell’anima gentilizia di Vibia Perpetua. Ma come questa fiera patrizia che sfida la morte ed i supplizi sopporterà di essere trattata come una schiava, privata del conforto e del lusso nei quali è stata allevata? Il piccolo gruppo è riportato a Cartagine e gettato in un fossato, il più ignobile ergastolo che Hilarianus abbia potuto trovare nei bassifondi della città. Davanti alla puzzolente e sordida realtà, i nervi della giovane donna e, accessoriamente, quelli dei suoi amici si romperanno, il prefetto ne è convinto.
Hilarianus ha contato senza parecchi fattori che sorpassano la sua immaginazione di alto funzionario pagano. Dapprima, l’eroico ritorno di Saturus. Assente al momento dell’arresto dei suoi amici, il giovane, temendo che i suoi neofiti vengano meno ed abiurino, è venuto a consegnarsi alle autorità, rivendicando l’intera responsabilità della loro conversione, precisione che, a termine di legge, aggrava pesantemente il suo caso. La presenza del loro capo ha, in effetti, rianimato il coraggio degli infelici, ma, soprattutto, Saturus è pervenuto a prendere contatto con l’esterno ed a trovare un sacerdote per battezzare i suoi amici. Il sacramento li ha tutti sollevati fuori da se stessi, compreso Felicitas, pertanto affaticata da una gravidanza avanzata.
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Una notte, dopo che Perpetua ebbe raccontato come Saturus la aiutasse a salire un’altissima e strettissima scala, di cui ogni scalino era una spada tagliente, e che si perdeva nel cielo, Saturus prende la parola. Nel suo sogno o nella sua visione, essi erano morti (Il pensiero di quello che li aspettava ossessionava tutto il gruppo, esaltato, certo, ma anche terrorizzato… E’ quel terrore talmente umano e nutrito di esempi abominevolmente precisi che da d’altronde il suo valore e la sua dimensione all’esperienza mistica vissuta nell’arena dai martiri di Cartagine) nell’anfiteatro : “Quattro Angeli trasportavano le nostre anime verso l’Oriente, senza toccarle. Noi eravamo coricati nella posizione abituale ma sembravamo salire una costa molto dolce” (Atti dei martiri di Cartagine). Così trasportati, i testimoni giungono in un giardino meraviglioso, pieno di Angeli e di beati che gridano alla loro vista: “Eccoli! Eccoli!”.
I martiri sono allora condotti in trionfo fino al trono dell’Agnello. Cristo si china per accoglierli e dare loro il bacio della pace. Affinché siano alla sua altezza, gli Angeli li sollevano a turno. Visione premonitrice. Il 7 marzo 203, Saturus ed i suoi compagni periscono nell’arena. Il nome Perpetua è entrato nelle pagine importanti della storia della letteratura italiana grazie ai “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, che chiamò Perpetua la donna che prestava il servizio casalingo presso don Abbondio, ed il suo nome è diventato simbolo delle domestiche dei preti, popolarmente dette “perpetue”.
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Riguardo al Purgatorio proprio grazie a questa madre e martire veniamo a conoscenza della fede dei primi cristiani nel Purgatorio e del valore della preghiera per i defunti. Essa, aveva ventidue anni, venne imprigionata insieme con Felicita, Revocato, Saturo e Saturnino. Nell’attesa di venire uccisa in odio alla fede, fece un racconto di quanto le accadeva in carcere:
“Pochi giorni dopo la sentenza della nostra condanna a morte, mentre tutti stavano pregando, improvvisamente nel bel mezzo della preghiera mi uscì un grido ed io chiamai: Dinocrate. Restai sorpresa perché io non lo avevano nominato prima, ma solo in questo istante, e pensai piena di tristezza alla sua sorte. Compresi anche che dovevo pregare per lui e subito incominciai a pregare e supplicare il Signore per lui. Io vedevo Dinocrate uscir fuori da un luogo buio – durante la notte in visione – dove c’erano tante persone aride e assetate con i vestiti sporchi e pallidissimi, con una ferita sul volto, come egli aveva quando morì. Egli era un mio fratello, che morì a sette anni sfinito da un cancro al volto, per cui la sua morte fu uno spavento per tutti. Io avevo pregato per questo mio fratello defunto, e fra me e lui c’era un grande spazio cosicché non ci potevamo incontrare”.
Lontano dal luogo dove si trovava, c’era un bacino pieno di acqua, il cui orlo però era molto più alto di dove poteva arrivare lui, ed egli cercava di allungarsi come se cercasse di bere. Racconta Perpetua:
“Io ero triste, perché quel bacino era pieno d’acqua, ma lui a causa dell’altezza di questo bacino non poteva bere. (…) senti dentro di me che mio fratello soffriva; io però sentivo che potevo venirgli incontro durante i giorni che noi saremmo rimasti in carcere; perché ai giochi avremmo dovuto combattere contro le fiere; era infatti allora il compleanno dell’Imperatore Geta. Ed io pregai notte e giorno con sospiri e lacrime perché egli mi venisse donato”.
“Nel giorno in cui noi rimanemmo legati, in carcere (prima del martirio ndr), ebbi poi la seguente visione – prosegue Perpetua – vidi il luogo visto prima, e questa volta Dinocrate, con il corpo lavato, ben vestito, che si divertiva; dove c’era stata la ferita vidi una cicatrice, e l’orlo di quel bacino era più basso e arrivava ora solo all’ombelico del fanciullo, egli attingeva senza posa da quel bacino. Sopra l’orlo c’era anche una coppa d’oro piena d’acqua; Dinocrate si avvicinò e incominci. A bere dalla coppa d’oro, e questa non si svuotava; dopo che egli ebbe bevuto abbastanza di quell’acqua prese a giocare tutto contento come fanno i bambini, in quel momento mi svegliai e compresi che era stato liberato dalla sua pena”.
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