In un mondo che parla ossessivamente del corpo della donna, una mamma scrive alla sua ragazza per accompagnarla a vivere appieno, con dolcezza e lentezza, il miracolo della vita che entra nel grembo.Bambina mia,
all’improvviso sei così piccola e così grande.
Intravedo i tuoi pensieri cambiare dietro quegli occhi sempre curiosi, a volte persino furiosi, sempre dolcissimi. Intuisco ombre e curiosità che mi riporti, per ora, con grande apertura. E ne faccio tesoro, curando quello scambio come la cosa più preziosa, che spero ci accompagni attraverso tutta l’adolescenza.
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Vedo il corpo che sei cambiarti intorno e il tuo modo di abitarlo cambiare con lui. Gambe lunghe e spalle ossute, movimenti spigolosi e al contempo aggraziati, in quella zona di frontiera che ti circonda e che sei. Un accenno di rilievo sul petto. Solo suggerito. Ma chiedermi di aiutarti a mettere il pigiama rallenta solo in apparenza, nella piega di una carezza, questa crescita così spietata e dolce che ci abbraccia e ci travolge entrambe. C’è qualcosa di simbolico nel tuo arrivarmi esattamente all’altezza del petto ora, mentre mi abbracci e affondi il viso nel mio seno, come se passassi a sfiorare con un saluto la parte del mio corpo che ti è stata nido appena sei nata. E da cui ora prendi la rincorsa che io spero sia un volo.
Incredula mi chiedi, “Ma io veramente sono uscita da dentro di te?”. Incredula anch’io, ti rispondo di sì.
Ti auguro di abitarlo con dolcezza, questo tuo corpo che esplora i suoi nuovi confini, mentre prendi le misure sul pensile della cucina in cui ora puoi sbattere la testa.
Ti auguro di abitarlo con lentezza, questo corpo che ti dà messaggi nuovi.
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La lentezza e la dolcezza non sembrano esattamente parte del bagaglio con cui la società ci accompagna in questa fase. Difendiamole noi, vuoi?
Come si fanno i bambini già lo sapevi, ma te l’ha spiegato di nuovo qualcuno a scuola, curandosi di mettere ben bene l’accento su quanto, ti hanno detto, disgustosa sia la vicenda. Della meraviglia di due corpi che si uniscono per dare spazio a una terza anima, ti arriva -spero- almeno un’eco dalle parole e i gesti miei e di papà.
Quanta fretta c’è stata di farti realizzare che il corpo può unirsi a quello di un altro! E quanta fretta nel farti credere che possa essere qualcosa di desiderabile di per sé, staccato da ogni relazione. La parola S-E-X (con le spelling separato, come la dici tu, sussurrandola come una parolaccia) l’hai imparata prima e più in fretta che making love. Ancora prendi le misure e già ti dicono che è un perimetro aperto.
Ma quel perimetro sei tu. E prima di saperti aperta, desidero tu ti senta de-limitata. Che non significa limitata o imprigionata, ma definita. Come corpo, persona e personalità. Ci vorrà tempo; ma tu puoi prendertelo, senza correre dietro a una società che ti vuole di corsa.
Ti auguro di vedere te stessa con rispetto e conoscenza.
Un diagramma su un libro, a farti vedere come sono fatti vagina e utero e cosa succede quando incontrano un pene, certo, come fanno a scuola…ma che farsene poi? Sapere è importante, ma conta di più sentirsi centrate e connesse, conoscere se stesse oltre che le informazioni generiche.
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Conoscerti e riconoscere nell’anatomia qualcosa di più grande. Che sei tu.
Sai, le zone femminili del corpo hanno una storia un po’ complessa. Per molto tempo, nella nostra cultura, non si potevano neanche nominare. Conoscerle come proprie, sapere come funzionassero, osare toccarle, era un implicito divieto a chiunque desiderasse avere un ruolo considerato dignitoso nella società.
La tua generazione ha il problema opposto: pronipoti di una liberazione esaltante, ricevete in eredità più libertà che conoscenza. E questa, è cosa immemore e miope.
Questa lettera per te dovrebbe comparire sul numero che DeD, una bella rivista per Ostetriche e Donne, dedica al perineo. Che scelta curiosa, eh? È molto simbolico, e densamente significativo che questa lettera compaia su questa rivista per questo numero e confido che, col tempo, saprai raccoglierne l’eco. E con te, mi auguro, le tante donne -e speriamo qualche uomo- che la leggeranno.
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Il perineo, te lo ricordi? È una di quelle parti del corpo che non trovavamo mai sui tuoi primi libri sul corpo umano e aggiungevamo sempre noi. Facevo finta che fosse normale sapere cosa fosse, ma -ora te lo posso dire- fingevo, sai? Personalmente, ho scoperto il perineo -in generale e il mio in particolare- solo quando me l’hanno inciso lateralmente per, dicevano, aiutarti a nascere. “Un piccolo taglietto” mi hanno detto. Non sembrava poi tanto piccolo nei giorni successivi, quando sedersi era come avere un rovo di spine tra le gambe.
Come molte cose collegate al parto e alla maternità, quella zona del mio corpo non era poi tanto mia. Faceva parte di un bagaglio di pensieri ed opinioni che pensavo fossero fatti. Ma mica del tutto fatti miei.
Le ragioni per cui ne sapevo così poco sono molte; e non si riducono solo al fatto che ero un po’ ignorante.
Se ho capito bene, la direttrice della rivista che hai in mano sta scrivendo un pezzo su perineo e patriarcato. Io mentre scrivo non l’ho ancora letto, ma ti consiglio già di andare a guardarlo.
Te lo racconto sempre che la tua bisnonna è stata tra le prime 5 donne in Italia a laurearsi in farmacia, e già lo sai quanta strada hanno dovuto fare le tue antenate per lasciarti in eredità la grande libertà di sognare il tuo futuro di cui godi.
Ma sai, c’è stato molto nel modo in cui le donne sono state viste nel passato che è rimasto impigliato nel modo in cui si vedono tuttora; e soprattutto nel modo in cui le ragazze come te sono viste e, quel che è peggio, spinte prima a vedersi e poi a comportarsi. È importante che tu tenga le antenne alzate, e ti assicuri di guardare a te stessa prima e innanzitutto attraverso i tuoi occhi.
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Quella libertà che ti hanno lasciato in eredità è cosa grande, ma la libertà ha tanti volti e devi scegliere tu quello giusto per te. Se no è solo una gabbia molto grande.
Una rivista dedicata al perineo allora diventa proprio il posto giusto da cui scriverti mentre ti guardo diventare donna.
Etimologicamente, perineo vuol dire “intorno a un vuoto”. È la zona del corpo che più di ogni altra condensa quella grande sfida dell’essere donna: una persona, ma con un corpo costruito intorno a un vuoto necessario perché si possa scegliere (e a volte lasciarsi sorprendere) di essere anche compagna e anche madre.
È significativo che ci sia il bisogno di informare e parlare di una zona del corpo così: questa zona così nascosta eppure così centrale, importante e vitale. Sono muscoli a cui sono affidati grandi lavori: come sostenere te nei tuoi passi nel mondo o accompagnare la vita del figlio che un giorno da lì potrebbe prima entrare e poi uscire. È una parte del tuo corpo depositaria di tanta forza. Ma tu, bambina mia, non confonderla mai con la forza virile. È una forza più complessa e sottile. Infinitamente più difficile da maneggiare ma capace di cose immense.
La tua forza ha tanto a che fare col camminare a testa alta nel mondo quanto con l’arrotolarsi su se stesse con un neonato sul petto. È la forza di essere donna davvero. Con la fatica di conciliare i mille aspetti che ti compongono, in qualsiasi modo tu desideri esserlo.
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Qualsiasi cosa sceglierai, qualsiasi cosa le circostanze della vita ti doneranno, tu abbi cura di te. A partire da te.
Con infinita dolcezza e molto amore.
La tua mamma