Monsignor Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha voluto che due giovani teologi milanesi (uno sacerdote, l’altro laico) preparassero qualcosa per celebrare efficacemente il novantesimo compleanno di Giacomo Biffi (che il Cardinale festeggia in excelsis). Don Samuele Pinna e Davide Riserbato hanno quindi escogitato una serie di interviste con interlocutori d’eccezione, che ci restituisce l’immagine di un pastore attento, di un cristiano appassionato, di un “italiano cardinale” il cui lascito siamo invitati a raccogliere.
Un cardinale che non gioca a bocce
o non si affaccia mai a contemplare la luna,
non scrive filastrocche
per i bambini della scuola materna
o non alleva canarini,
ma compie solo quello che in ogni caso
gli verrà attribuito dopo la morte
dalle biografie ufficiali,
è più pericoloso per la cristianità
di un eresiarca.
Queste parole del cardinale Biffi, tratte dalle sue Meditazioni sulla vita ecclesiale, costituiscono l’esergo di Filastrocche e canarini, “libro-intervista-multipla” su il mondo letterario di Giacomo Biffi a cura di don Samuele Pinna e di Davide Riserbato – tra le punte della nuova leva di pensatori cattolici meneghini. Impegnati a vario titolo nella docenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato mons. Matteo M. Zuppi a chiamarli per affidar loro l’incarico di scrivere qualcosa in vista degli ideali “novant’anni del cardinale”, suo (e loro) predecessore. E così nasce questo singolare Festschrift, che risponde al proprio genere letterario affastellando omaggi a un grande scomparso dall’umano consesso… ma lo fa col tono colloquiale in cui l’aneddoto prevale sul discorso accademico, onde si ricava anche il titolo irrituale.
Pinocchio prefatore, Zuppi “postfatore”
In questo clima di giocoso – ma nient’affatto carnascialesco! – rovesciamento, l’eccellentissimo committente è stato “relegato” alla postfazione, mentre gli autori hanno assegnato la prefazione alla personalità letteraria che spicca per notorietà fra quelle che più hanno segnato il Cardinale: Pinocchio.
E sono felicissimo – si legge nell’immaginifica prefazione firmata dall’ex burattino – che abbiano interpellato proprio me! […] La gioia, non so se lo sapete, era anche una nota caratteristica del mio amico Cardinale, che aveva un cuore sempre in festa, lieto e grato di appartenere alla realtà mirabile della Chiesa, appagato del suo entusiasmante e difficile ministero. Il suo segreto era che, per una grazia singolare, egli sapeva tendere l’orecchio e percepire l’allegria cosmica degli abitanti del cielo, i Cherubini e i Serafini, che non s’immalinconiscono mai, perché attingono direttamente la loro gioia dalla felicità eterna di Dio.
Pinocchio, Prefazione in S. Pinna e D. Riserbato, Filastrocche e canarini, 8
Collodiano è dunque il sostrato del colloquiale Festschrift con cui Zuppi, Pinna e Riserbato hanno voluto onorare la memoria del cardinale, e se il calendario porta a osservare che il testo esce – proprio oggi! – fuori tempo massimo, le 250 pagine del volume edito da Cantagalli spiegano che il 2018 è stato impiegato proprio per frequentare quei nove amici comuni le cui conversazioni compongono il libro. E si tratta di Franco Nembrini, Inos Biffi, Alessandro Ghisalberti, Alberto Guareschi, Maurizio Vitale, Paolo Gulisano, Guglielmo Spirito, Vittorio Possenti e Giacomo Poretti! Pinocchio è dunque il trait-d’union del testo, sì, perché le sue avventure «rappresentano la storia dell’uomo in quanto tale e disvelano la vera natura dell’universo», ma il Cardinale era uomo quanto mai polytropos, curioso come Ulisse e giocondo come un bimbo:
Ecco allora – illustra l’ormai buon bimbo Pinocchio – che alle mie Avventure, specchio luminoso delle esigenze più profonde dell’umanità, si affiancano gli Inni di sant’Am|brogio, espressione più alta di una fede che diviene canto del Mistero, e ancora: Dante con la sua opera divina e immortale, la genuina schiettezza di Giovannino Guareschi, Riccardo Bacchelli con la sua umanissima pietas, la paradossale arguzia di Gilbert Keith Chesterton e l’atmosfera hobbit della Terra di Mezzo di John Ronald Reuel Tolkien, per arrivare infine alle singolari e drammatiche profezie di Vladimir Sergeevič Solov’ëv.
E non finisce qui: c’è anche una gustosa conversazione con Giacomo Poretti sul proverbiale umorismo del Cardinale. […]
Ivi, 9-10
E una volta che uno si sia sciroppato questa serie di chiacchierate – vanno giù come il vinsanto! – avrà l’impressione di una specie di anello (quelli che hanno studiato diranno forse “Ringkomposition”) che lega non soltanto i contributi, ma anche gli amici, legati non soltanto ciascuno a Biffi ma pure – talvolta – l’uno all’altro. Giacomo Poretti, ad esempio, l’ultimo degli intervistati, ammette candidamente di non aver mai conosciuto Biffi di persona (e anzi di aver perso due buone occasioni per farlo), ma di aver recuperato proprio grazie alla “pinocchiologia” del Cardinale divulgata da Nembrini, il primo degli intervistati.
L’umorismo, Leitmotiv per un “bagno di umiltà”
Gli spunti in un’opera così ricca e densa sono ovviamente innumerevoli, ma questa corrispondenza circolare mi ha molto impressionato, e le parole di Poretti (“Giacomino” per tutti noi) sull’umorismo e sull’ironia mi paiono di grande utilità sia per inquadrare la personalità di Biffi sia per afferrare le condizioni della sua eredità: commentando l’affermazione biffiana per cui l’umorismo consisterebbe nell’“amare appassionatamente tutte le creature senza identificare mai nessuna di esse con il loro Creatore” Poretti dice, fra l’altro, che
l’umorismo è mettere in discussione ogni cosa che appartiene agli esseri | viventi, all’uomo. L’umorismo, tra le tante cose, è anche un bagno di umiltà…
Ivi, 224-225
Sarà forse perché una delle ultime cose su cui ho riflettuto e scritto è stato il quarto anniversario dall’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, con annesso bilancio, il riferimento al “mettere in discussione ogni cosa” mi è balzato all’occhio, e che Poretti chiudesse la frase con l’espressione “bagno di umiltà” mentre io pensavo a un bagno di sangue mi ha intrigato. Avevo scritto in particolare:
Una società non può reggersi sulla satira; può bensì avere e garantire un posto per la satira, se l’una e l’altra sono rettamente fondate e intese.
E mi riferivo alle recenti affermazioni apodittiche di una vignettista francese: «Bisogna che l’islam si sottometta alla critica, allo humour, alle leggi della Repubblica, al diritto francese». E allo stridore di queste mezze ragioni mal disposte fra loro rispondeva nel mio cuore un distico di Nâzim Hikmet – poeta turco, comunista, ateo – dedicato al figlio:
[…] certo, le leggi, certo lo Stato, certo la critica e perfino lo humour sono cose buone, anzi ottime. «Ma innanzitutto l’uomo – scriveva Hikmet al figlio, e aggiungeva quasi in un merismo –: ma innanzitutto ama l’uomo».
E l’uomo si ama davvero se si amano i singoli uomini, così come sono realmente, mentre è pericolosissimo professare amore per un’idea di uomo – la cui filigrana è immancabilmente un lager, un gulag o (nella meno infelice delle ipotesi) un ghetto.
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Ho seguito il filo di questi pensieri lungo le pagine di Filastrocche e canarini perché – come è più che noto – anche il Cardinale aveva molto pensato e detto e scritto riguardo ai fondamenti della nostra “società [già] aperta”, spesso con affondi assai critici nei confronti di un indiscriminato immigrazionismo di portato islamico. In fondo a suo tempo quel mitomane di Adel Smith, sempre in cerca di luce mediatica, lo aveva denunciato per la mancata rimozione di alcuni affreschi bolognesi del XIV secolo, che raffiguravano Maometto in pose ispirate alla Commedia dantesca (si fa cenno all’episodio con Ghisalberti) – e dunque poco meno irriguardose delle vignette di Charlie Hebdo: naturalmente la denuncia fu archiviata (e sarebbe un giorno terribile – se mai arrivasse – quello in cui il fanatismo giungesse a distruggere plurisecolari forme artistiche per una distanza ideologica), ma tanto più mi pare centrale centrale, nel nostro contesto, la questione dell’ironia.
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Spesso si riprendono quei passi critici e duri del Cardinale e li si brandisce digrignando i denti… e tutt’a un tratto quelle stesse parole non suonano più come le parole di Biffi: mancano loro il sorriso e la serenità che rendevano in lui briosa perfino la gravità. E difatti – tornando al libro in questione – Pinna e Riserbato avevano di rimando ricordato a Poretti che perfino il ponderoso Memorie e digressioni di un italiano cardinale si apre con una pagina di gustosa autoironia. E l’attore:
Se non parti da lì, guai! Se io ti prendo in giro per i tuoi occhiali o per la tua camicia, mi devo prendere in giro anch’io per il mio naso, altrimenti diventa cinismo, è cattiveria! Ci sono delle branche della comicità che purtroppo sono così… come la satira. In secondo luogo, devi accettare la presa in giro degli altri sul tuo conto. La prima cosa che l’umorismo ti insegna è che hai un difetto, e poi devi vedertela tu, perché sta a te rifletterci sopra… se vuoi.
Ivi, 225
E uno ripensa alle tante pagine di Biffi (e anche di Ratzinger) sulle oggettive distanze culturali tra certi mondi… Però poi le parole di Poretti accennano a un rovescio della medaglia; quando infatti Pinna e Riserbato gli citano le parole del compianto cardinal Caffarra sull’umorismo come «atteggiamento dialettico proprio di colui che si tiene interiormente distaccato dal finito, ma non rifiuta di condividerne la realtà», Poretti replica:
L’umorismo è giudicante, per forza! Esprime cioè un giudizio, però anche laddove il bersaglio sia, per così dire, “cattivo” – non so come definirlo – gli si deve concedere una seconda possibilità, una sorta di via d’uscita, una certa benevolenza, un’occasione di riscatto… mentre tante volte non è così: alla fine diventa dileggio per dileggio.
Ivi, 227
Per un’auspicata rinascenza europea
E qui non solo si sprigiona una dimensione trascendente e perfino teologica dell’umorismo – «riesce bene solo a Dio», diceva Biffi –, ma si evidenzia anche il limite della nostra “società [già] aperta”, la cui satira non sorride ma ghigna, non giudica ma condanna, non lascia spiragli, non offre orizzonti perché in fondo non ha Speranza. E di che potrebbe mai sorridere? «Ritorni solo se / cambia tutto tranne te»: sono le parole che Takagi e Ketra hanno fatto cantare a Elisa, e che potrebbero rivolgersi alla stanca civiltà occidentale, che tanto appassionatamente Biffi amò. L’umorismo potrebbe dunque essere un antidoto – o almeno parte di esso – a quella fragilità e inconsistenza che ci rende così vulnerabili, paurosi e violenti riguardo ai nostri tempi.
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Biffi stesso parlò espressamente di “contravveleno” – a metà tra il Panarion di Epifanio e la valenza “politica” del lavoro di Poretti – nella sua opera su Chesterton, lungamente ricordata nell’intervista a Paolo Gulisano:
Chesterton è un antidoto efficace contro i veleni che sono imperversati lungo l’intero secolo XX […] e stanno attossicando anche gli inizi del secolo XXI. Nei suoi scritti […] si trovano denunciate praticamente tutte le nostre follie. Ricordiamo alla rinfusa non solo le aberrazioni disumane del comunismo e le intemperanze del capitalismo selvaggio; non solo il razionalismo e l’irrazionalismo; non solo l’agnosticismo filosofico, l’indifferentismo religioso, il relativismo morale; non solo la mentalità divorzistica e l’allergia moderna a trasmettere la vita, ma anche la mania dei culti esoterici, l’adesione snobistica al buddhismo (e oggi all’islamismo) dei cristiani vuoti e annoiati, le varie ideologie vegetariane e animaliste, le ambiguità dell’internazionalismo pacifista, eccetera.
G. Biffi, Gilbert Keith Chesterton ovvero il contravveleno, 145; in S. Pinna e D. Riserbato, Filastrocche e canarini, 157
Gulisano racconta di aver conosciuto Biffi nella scia di un altro autore inglese, meno dedito di Chesterton al paradosso ma altrettanto impegnato nell’illustrare il Mistero cristiano come inveramento storico-teologico dell’epopea di ogni cuore – Tolkien:
Furono due ore incredibili, che mi sono veramente rimaste nel cuore, e in cui siamo partiti da molto lontano: aveva infatti esordito, un po’ bruscamente, chiedendomi se appartenessi a Comunione e Liberazione, perché aveva saputo che avevo curato delle mostre per il Meeting di Rimini. Gli risposi che non lo ero, benché fossi molto legato ad alcuni membri del Movimento. Al | che Biffi aggiunse: «No, perché, guardi, io sono considerato un vescovo ciellino… ma all’amico don Giussani ho sempre detto quello che dovevo dire!». E così ha cominciato a raccontarmi una serie di aneddoti gustosissimi riguardanti lui e don Giussani, e di come per esempio lo trascinasse con sé al mare, perché don Giussani non andava mai in vacanza… Mi ha raccontato anche di quando l’ha portato sulla tomba di Garibaldi!
Ivi, 162-163
Continuare ad alimentare “il fuoco del Cardinale”
E via da una conversazione all’altra: in alcune mancano totalmente aneddoti personali sul Cardinale – ad esempio in quella con Alberto Guareschi – perché il punto di contatto con Biffi verte tutto sull’autore (nella fattispecie il padre Giovannino) e sulle sue opere; in altre si spazia dall’alta divulgazione alla vera letteratura accademica – è il caso di Alessandro Ghisalberti e di Vittorio Possenti – ma non mancano i riferimenti agli incontri col prelato.
Questo libro – scrive mons. Zuppi nella Postfazione – […] [mostra che] i suoi interessi non si sono […] fossilizzati sulla riflessione teologica di matrice scientifica o su una continua ricerca di perfezionamento di strategie pastorali. Egli ha attinto a ciò che di buono la realtà offriva, muovendosi in molti campi, ma armonizzandola, poiché riconosceva nel Verbo fatto carne l’elemento unificatore e l’origine del senso di ogni essere creato.
M. M. Zuppi, Postfazione in S. Pinna e D. Riserbato, Filastrocche e canarini 246
«Comprendere Biffi attraverso i “suoi” autori» è un bell’esercizio di libertà, oltre che di autentica Cultura, perché porta «a conservare il fuoco, non ad adorare le ceneri» – questo è il senso di ogni vera e feconda Tradizione (secondo l’espressione di Gustav Mahler già più volte ripresa anche da Papa Francesco) – e se tante volte abbiamo nostalgia del Cardinale, della sua intelligente schiettezza, della sua schietta intelligenza… dobbiamo impedirci pure di impugnare le sue parole per fini diversi dall’alimentare quella compagnia cristiana a cui egli consacrò la vita:
Certo, non essendosi mai asservito a nessuna moda dominante – è ancora Zuppi a scrivere – e avendole viste scorrere numerose sotto il suo sguardo attento (e diverse esaurirsi da sole), non ha mai inteso annunciare una “sua” verità, ma solo quella insegnataci da Cristo, via, verità e vita (Gv 14, 6). Non aveva nulla da difendere, perché aveva Tutto ricevuto nella fede come dono bellissimo. Per questo, nonostante i mutamenti sociali sempre più accelerati, che hanno spesso schiacciato l’uomo, non aveva perso il sorriso, né il suo umorismo tanto contagioso, sempre incline a far riflettere e mai banale.
Ivi, 245
Ecco, il proposito che sta all’origine di questa singolare “intervista multipla” dovrebbe essere pure un criterio di discernimento per l’autenticità del nostro cammino – individuale e comunitario, ovvero sempre e comunque ecclesiale.
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