L’ombra della depressione dietro il gesto estremo, la storia di Pina ci renda più solerti nel guardare con premura chi ci è a fianco. Mi ha sempre stupito che in francese la pronuncia di mare e madre coincida.
Effettivamente la prima nostra esperienza materna è fatta di acqua, del liquido in cui nuotiamo dentro la pancia. L’acqua ci è madre in senso ancora più ampio, nei fondali marini la vita si generò milioni di anni fa. In qualche modo l’acqua parla di un’origine, e del bisogno che la nostra origine sia materna e femminile.
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Pina Orlando aveva 38 anni, era madre di tre gemelli (uno morto alla nascita) e ieri si è uccisa buttandosi nell’acqua del Tevere. Erano le sei e mezza di mattina ed è uscita di casa senza che il marito se ne accorgesse; ha avvolto le due bimbe di 5 mesi in una coperta e ha camminato per 500 metri fino al Ponte Testaccio. Da lì si è gettata, è stata ritrovata cadavere a due chilometri di distanza, all’altezza del Ponte Marconi.
Ancora ignoto il destino delle piccole, il fiume viene ininterrottamente dragato e ispezionato ma per ora invano. Quel che inizialmente poteva essere un segno di speranza, diventa col passare delle ore solo l’ulteriore prolungarsi di una orribile tragedia. Il padre è affranto e inconsolabile, confessa di non aver intravisto nella moglie segnali di disturbo.
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La famiglia si era trasferita da Isernia alla capitale proprio perché la gravidanza plurigemellare fosse seguita da un centro specialistico come il Policlinico Gemelli. Il lutto per la perdita del piccolo, un inizio di vita complicato per le altre due sorelline sono elementi che senz’altro tratteggiano la cornice del dolore che ha ottenebrato la testa e il cuore di mamma Pina. Premurosa fino all’ultimo nel coprire le bimbe con una coperta, ferita così nel profondo da scegliere il buio cieco della morte.
Il volto di lei campeggia su tutte le testate dei giornali, scorrono le immagini della famiglia nei principali TG. E’ la solita triste trama della cronaca nera: la storia di una sconosciuta che finisce sotto i riflettori, spiattellata, squadernata nelle intimità, analizzata al microscopio dagli specialistici cui si chiede un commento mordi e fuggi.
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Invece l’acqua ha coperto il mistero di Pina, e non è solo un’immagine simbolica. Quel fiume la sottrae al nostro voler ghermire una vita e spiegarla a tutti i costi. La depressione post-parto, ecco il ritornello con cui si chiosa la vicenda e tra qualche giorno non se la ricorderà neppure il redattore che ci ha dedicato un paio d’ore se va bene.
La depressione post-parto c’è, in forme lievi e in forme pesanti. Personalmente ne parlo apertamente tutte le volte che posso, per combatterla: ho tre figli, ho avuto tre forme depressive diverse ma presenti dopo ogni gravidanza. Potevano essere serie, ma sono state passeggere perché le ho messe sulla pubblica piazza con parenti, amici, dottori. Sono quasi noiosa, ma lo ripeto il più possibile: mamme, facciamo un regalo a chi lo diventerà e raccontiamo quanto sono tosti i primi mesi … anzi il primo anno di vita di un bambino. Non facciamo un torto al dono immenso che è avere un figlio se ammettiamo che di sorrisi ce ne sono pochi e pianti e dubbi e veli neri molti.
La nascita è una crisi, il che non vuol dire che sia brutta o da temere, vuol dire che esige da noi la consapevolezza di un cambiamento su tutta la linea (personale, matrimoniale, quotidiana, lavorativa, emotiva).
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La voce di Pina Orlando non ci verrà a raccontare la sua versione dei fatti, e non è per forza necessario vilipendere la sua persona mettendosi a spiattellare frammenti di vita privata sulle prime pagine o prime serate. Il suicidio è una sconfitta singolare e collettiva. Ma il mistero dell’anima di ogni essere umano per fortuna non è in mano a nessun altro essere umano. Tra noi e lei c’è l’acqua, quella in cui si è tuffata come per ritornare nel grembo, al principio di sé come madre e figlia. Tra noi e lei c’è la Misericordia.
A chi resta e vede parte di sé in questa storia, diciamo che c’è un altro velo azzurro e materno che può abbracciare ciò che nel cuore è solo contorto e disperato. E’ quello di Maria, Stella Maris. Il mare materno in cui Pina voleva riposare è il Suo, di Lei che certamente adesso avrà trovato una via di consolazione inimmaginabile ai nostri criteri umani.
Seguendo l’esempio della Madonna, è compito nostro scrutare con premura chi ci sta a fianco e fa i conti con l’ombra della disperazione; senza fustigarci troppo se non ci accorgiamo sempre e perfettamente di tutto, ma solerti nell’affidarci a chi può far passare la Sua Provvidenza attraverso i nostri occhi e le nostre mani.