Nel Centro per la medicina riproduttiva di Dallas è stata proposta alle due donne una procedura complicatissima che permetteva di soddisfare ogni loro richiesta e si chiama Reciprocal Effortless Ivf, cioé fecondazione in vitro condivisa senza sforzo. Cosa è accaduto passo per passo?
Una volta che la prima madre ha tenuto nella pancia per qualche giorno il figlio, lo ha passato alla pancia dell’altra mamma:
Come lanciare sul mercato una storia del genere, che parla di una dittatura del desiderio sempre più puntigliosa (voglio un figlio biologicamente mio, non voglio la gravidanza) e di una scienza sempre più spregiudicata nello speculare sulla vita? Sono state scelte parole adatte a confezionare una distorsione umana e visiva.
È sceso in campo l’asso della condivisione : non c’è concetto più accogliente, positivo, buono. La storia di Stetson viene diffusa urbi et orbi come il miracolo della maternità condivisa . È nato un bambino, in fondo. Che c’è di male? È nato nel modo in cui le madri lo desideravano. Non è fantastico? È stato realizzato un sogno, da una macchina medico scientifica sempre più all’avanguardia. Chissà di cosa saremo capaci domani? Stetson è un bambino davvero speciale.
Alcune parole possono mentire. Altre possono essere taciute.
E quando entrano in campo espressioni come “embrioni migliori” e “figlio perfettamente sano”, l’unica parola onesta da dire a voce alta è: eugenetica .
Leggi anche: Già un secolo fa Chesterton si batté per salvare tutti gli Alfie che sarebbero nati Davvero Stetson avrà la percezione di essere frutto di un amore condiviso, quando verrà a sapere che è stato fecondato artificialmente, poi traghettato da un grembo all’altro? Nonostante tutti i fuochi artificiali della retorica, è facile smascherare l’inganno: il centro della scena è tutto delle madri e non della persona nata, che sempre più assomiglia a un prodotto confezionato da una filiera rispettosa di imposizioni man mano più ambiziose, specifiche, egocentriche .
A me la gravidanza, a te il travaglio Ricordo perfettamente il giorno in cui, ridendo, ho detto a mio marito: “Dai, io l’ho portata nove mesi, il travaglio lo fai tu? “. Rise a sua volta; era uno di quei momenti, a fine gravidanza, in cui viene lo spauracchio del parto. Nell’ironia di quella battuta non avrei mai pensato di intravedere un’ipotesi realizzabile nella realtà. Neanche l’avrei voluto davvero.
Eppure accade; accade che si voglia far assomigliare la realtà alle fissazioni delle nostre voglie . Ne verrà fuori un mondo sempre più ristretto e ingabbiato, non più libero.
Quando vado al parco coi miei figli capita che i bambini litighino per un gioco. È facile vedere due fanciulle che si contendono una bambola e la tirano una da una parte e una dall’altra. È altrettanto facile sentire i genitori dire: “Condividi il tuo gioco! Ci gioca un po’ lei e poi ci giochi tu”.
Nel mondo dei giochi la parola condivisione può essere sinonimo di “un po’ mio e poi un po’ tuo “, perché è chi gioca il protagonista e non l’oggetto del gioco. Ma nell’ambito della famiglia il senso della condivisione si trasfigura proprio perché, nel caso dei figli, il bambino non è un oggetto e i genitori nel darlo al mondo non reclamano il ruolo di protagonisti, ma di collaboratori.
La parola condivisione nel regno del concepimento naturale è il mistero per cui anche un padre porta il figlio che sua moglie ha in grembo. È identico per un marito e una moglie che portano assieme il dolore di non avere figli. Condividere non è possedere in parti uguali una “cosa” – figuriamoci una persona!
Leggi anche: Ovodonazione e fecondazione eterologa: quanta dolo(ro)sa ignoranza! Quella volta io non avevo davvero bisogno che mio marito si facesse carico del travaglio; ho avuto bisogno di appoggiarmi senza ritegno alle sue braccia mentre soffrivo. Non è suddividendosi le parti di una gravidanza che si diventa genitori . Il marinaio condivide il medesimo viaggio col cuoco di bordo.
Ma sopratutto la gravidanza non è un fine, la maternità neppure. Più una donna sta di fronte all’accoglienza della vita, meno desideri e opzioni personali mette sul tavolo. In un mondo alla rovescia, si sta arrivando a idolatrare la premessa e non il contenuto , il trailer e non il film, la gravidanza e non il bambino.
Salomone 2.0 Apparentemente, la storia di Bliss e Ashleigh potrebbe sembrare un finale alternativo alla vicenda delle due madri che andarono dal re Salomone, giurando entrambe che un certo bambino fosse il loro. Il figlio è di entrambe le madri? In realtà, Salomone continua ad avere ragione: la madre resta una . Spostare il feto da una pancia all’altra è lacerante quanto l’ipotesi di dividere a metà il bambino. L’illusione ottica della retorica e dei convincimenti personali non cambia la verità.
Come dicevo all’inizio, il vero assente di questa storia è il protagonista: Stetson , il figlio concepito artificialmente, passato di grembo in grembo e poi nato perché – fortunatamente – sano come un pesce. Questo essere umano ha viaggiato sul filo del rasoio di molti imperativi altrui. E lungo la strada nessuno ha prestato molta attenzione a curarsi del suo nudo esserci.