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Quella sottomessa di Cenerentola dà il cattivo esempio

KEIRA KNIGHTLEY
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Annalisa Teggi - pubblicato il 23/10/18
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“Salvati da sola, non aspettare un uomo ricco che ti salvi”. L’uscita di Keira Knightley contro le principesse Disney è l’ennesimo grido a vuoto di un mondo che vuol fare a meno di ogni morale, ma si stordisce di ideologie

Salvati da sola, non aspettare un uomo ricco che ti salvi (da Ellen Show)

Così Keira Knightley ha spiegato perché ha messo al bando per sua figlia di 3 anni la favola di Cenerentola. Era ospite nel salotto di Ellen Degeneres e ha avuto da dirne anche contro la Sirenetta: «Non perdere la tua voce per un uomo!». Applausi in studio e, dunque, bandita anche Ariel.

Per fortuna la star che esordì con Sognando Beckham ha salvato almeno la pesciolina Dory dal rogo. Anzi, Dory le pare proprio fantastica e ci mancherebbe! Ma forse proprio l’amica di Nemo ha qualcosa da dire alle donne-mamme-femministe di oggi: sono parecchio smemorate. E sono pure leggermente contraddittorie, considerando che la signora Knightley sta promuovendo proprio un film della Disney in questo periodo, Lo schiaccianoci in cui interpreta la Fata Confetto. Usando il suo stesso criterio, vorrei chiederle se non ritiene altrettanto sessista per il povero genere maschile presentare un principe ridotto a un misero attrezzo di legno…



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Suppongo che Keira non disdegni neppure tutta la fama che le ha dato l’altra produzione Disney, Pirati dei Caraibi. Niente da dire verso una gentildonna che si mette i pantaloni e diventa comandante, eppure anche in quella storia c’era ancora quella vetusta idea di un amore eterno che si merita dei sacrifici.

Non seguo bene il copione di queste attrici che fanno le femministe part time, e nell’altro part time sono bambole agghindate con outfit da capogiro. Perdonateci, care dive da red carpet che apparite sempre vestite da principesse, se noi continuiamo a credere alle favole e un po’ meno alle vostre parole.

KEIRA KNIGHTLEY

Ce n’è anche per Biancaneve…

Un’altra star del cinema, Kristen Bell, che ha prestato la voce ad Anna di Frozen si è scagliata contro la beneamata Biancaneve (che, suppongo, avrà fatto spallucce dall’alto della sua centenaria esperienza). La Bell in veste di mamma ha posto questa domanda alle figlie:

Non pensate che sia assurdo che il principe baci Biancaneve senza il suo permesso? Perché non puoi baciare qualcuno quando dorme… (da The Guardian)

Eh sì, in effetti, dopo quest’affermazione milioni di madri e padri si sentiranno in colpa per essersi furtivamente introdotti nelle camere dei loro bambini, nottetempo, e averli baciati. Questa uscita della Bell così viziata di ideologia merita di essere smentita per filo e per segno da ciò che le fiabe hanno sempre difeso: i gesti eroici delle persone comuni e in carne ed ossa. Che mondo sarebbe quello in cui occorra dare il permesso a qualcuno di salvarci? Anche i feriti svenuti sotto il ponte Morandi non hanno dato il consenso ai Vigili del Fuoco per il loro salvataggio. Biancaneve non era stordita da troppi gin tonic a un happy hour con un principe pronto a violentarla; era avvelenata. Il bacio non era un abuso, ma un gesto di cura.



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È evidente un disagio grave negli occhi di certi lettori moderni, l’incapacità di comprendere il potere simbolico dell’immaginazione. Occorre un esempio concreto, allora. Nei reparti pediatrici di molti ospedali ci sono biblioteche piene di libri per accompagnare i piccoli pazienti, e forse anche i loro genitori, nel percorso di guarigione. Non mi stupirei se ci fosse una copia di Biancaneve; forse, se mi accorgessi che manca, gliela porterei io.

Perché immagino una scena che tante volte si sarà ripetuta. Immagino che pensando alla malattia del proprio figlio non sia così assurdo che un padre chiami “veleno” ciò che ferisce – diciamo – la sua bambina. Immagino anche che vedendola addormentata e quasi morta, magari dopo intensi cicli di chemioterapia, possa averla ripetutamente baciata, sperando di infonderle tutto il bene e la forza di cui era capace.

Sono altrettanto certa che quella bambina, come tutte e tutti noi, non desideri altro che vivere in un mondo in cui arrivi qualcuno a guarirti quando stai male. I cristiani, poi, sono i capostipiti di una razza che, senza averlo chiesto, è stata salvata dalla morte da un Principe.

5 leçons que nous ont enseigné les princesses disney

© Disney

Ovviamente, con questo caso estremo vorrei solo ricordare che «la morale delle favole» non è mai un indice puntato verso certi tipi di comportamento; è invece un abbraccio spalancato a ospitare i misteri più profondi dell’umano. Suonano molto più moralistiche le voci di queste femministe moderne che vorrebbero stritolare gli echi della speranza che canta dentro le storie con la misera bandiera di un’ideologia meschina. Bisogna tirar fuori dal cassetto la sottomessa Cenerentola per salvare un briciolo di buon senso in questo mondo alla deriva …

Beati gli umili

Devo dare a Cesare quel che è di Cesare. Ho amato le fiabe fin da piccola, ma solo da adulta ho ringraziato che esistessero ed è stato quando ho letto certe frasi fulminanti di Chesterton che mi hanno permesso di discernere perché è così importante che i nostri figli le leggano.



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La mente moderna è ossessionata dal capire, come se per gustare davvero il ragù della nonna dovessimo sapere la lista degli ingredienti: per fortuna c’è una forma di comunicazione che  arriva prima al cuore e lo cura, poi nel tempo anche il cervello ne comprende il valore. È come quando una medicina viene messa sotto la lingua perché faccia effetto immediato. Le fiabe nutrono la nostra coscienza e lo fanno attraverso immagini che restano impresse e «lavorano» nel nostro intimo.

Ho pianto vedendo La bella e la bestia molto prima che Chesterton mi spiegasse perché. Sentivo che quella storia parlava di me e guariva certe ferite, anche se non ne sapevo esprimere in forma razionale una spiegazione. Poi ho letto la morale che ne traeva Chesterton e tutto si è illuminato: «una cosa deve essere amata prima di essere amabile».

Come disse egregiamente Flannery O’Connor: «Una storia è un modo di dire qualcosa che non può essere detto altrimenti. Racconti una storia perché un ragionamento sarebbe inadeguato». Ed è così sconfortante notare che oggi non sappiamo più ascoltare la “nostra” voce che riecheggia dentro le favole, ma ci convinciamo che tanti ragionamenti gretti e riduttivi ci illuminino la via. Incapaci di ascolto intimo, ci nutriamo di frottole intellettuali.

La tanto vituperata – da Keira Knightley – Cenerentola fu letta in un modo completamente diverso da Chesterton, e vi sfido a scegliere da quale parte della barricata volete stare:

C’è una lezione anche in Cenerentola, che è la stessa del Magnificat: ha innalzato gli umili (da Ortodossia)

Possiamo ridurre questa storia a una sguattera che è diventata ricca grazie a un uomo benestante. A che specie di mondo apparteniamo se crediamo questo? A un mondo di categorie astratte e senza una visione umana universale.


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Oppure, possiamo continuare a leggere Cenerentola e lasciarci abbracciare dalla voce della tradizione popolare che voleva consegnarci un messaggio di vera dignità: non importano gli sguardi che ti riducono a cenere, perché la tua anima è fatta a misura di Re e nessuno ti toglierà questa eredità.

La morale della favola

Mi sono dilungata perché sono donna. Sono anche mamma e difendo la bellezza di consegnare ai miei figli quel tesoro inestimabile che c’è nelle fiabe. Però, tornando alla triste polemica sollevata da Keira Knightley & Co, mi rendo conto che per affossare quel ragionamento riduttivo bastava un colpo ben assestato di sintetica ragionevolezza maschile, e lo ha fatto Antonio Gurrado. Da donna non mi sento né svilita né sminuita nel cedergli la battuta finale:

Da piccola Kristen Bell ha mai guardato Biancaneve? Sì. E qualcuno ha mai proibito a Keira Knightley di guardare la Sirenetta? No, anzi dice che è il suo cartone Disney preferito. Allora perché ciò nonostante non sono diventate baciatrici di ipnotizzati non consenzienti, allora perché si sono comunque rivelate brave abbastanza da far strada da sé? Purtroppo le loro figlie sono troppo piccole per domandarlo. (da Il Foglio)