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Soppresso volontariamente neonato con patologia neurologica. Poteva vivere fino a 10 anni

NEONATO OSPEDALE CURA
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Paola Belletti - pubblicato il 13/10/18
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Con l’accordo dell’equipe medica e dei genitori il piccolo è stato ucciso. Si scrive eutanasia ma è infanticidio. E’ il secondo caso ufficiale dal 2005 in Olanda di iniezione letale su neonato. Dobbiamo continuare a trovare la forza di scandalizzarci e di attaccare le ragioni alla base di queste e altre aberrazioni in aperta ostilità con la vita, soprattutto quando è debole e indifesaQuesta mattina su un motore di ricerca specifico per individuare contenuti in tutto il mondo a seconda del tema trattato sono incappata nel giornale diocesano di Brooklyn, The Tablet che tra i molti contributi ne offre uno sul tema eutanasia su minori, senza il consenso dei genitori. Vi riporto l’attacco del pezzo.

TORONTO (CNS) – In una prestigiosa rivista medica, i medici dell’Ospedale per bambini malati di Toronto hanno definito politiche e procedure per la somministrazione di morte medicalmente assistita ai bambini, compresi scenari in cui i genitori non sarebbero stati informati fino a quando il bambino non fosse morto.

Nel pomeriggio invece mi sono imbattuta grazie a Tempi in questa notizia che ci offre il Vecchio, anzi no, il Moribondo continente, l’Europa.

In Olanda è stato ucciso un neonato di «meno di 12 mesi» con l’eutanasia. Si tratta del secondo caso ufficiale dal 2005, quando i pediatri olandesi hanno adottato il Protocollo di Groningen, elaborato dal professor Verhaegen, sulla soppressione dei neonati «affetti da malattie gravi». (Leone Grotti, Tempi)

E a dichiararlo è un documento che vi metto a questo link ma che vi sembrerà del tutto incomprensibile. E non solo per via dell’olandese stretto. Si tratta del rapporto Commissione di valutazione dell’interruzione tardiva di gravidanza e della morte provocata dei neonati. 



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Potremmo desumere che i genitori, in certi ambienti, si ascoltano solo se sono d’accordo nel terminare una vita. Perché siamo tutti sicuri di aver visto mamme e papà cercare di convincere giudici a non far uccidere i loro figli. E li abbiamo anche visti, pur non credendo ai nostri occhi, piantonati in ospedale da schiere di poliziotti per impedire loro di portare i figli altrove, fosse anche solo a casa per morire in pace, dopo un bagno e un po’ di coccole. Erano necessarie le forse dell’ordine perché quei genitori si ostinavano a volerli vivi e ad amarli nonostante la “qualità scadente” della loro vita, altresì detta “futile”. Ma quali sono le vite davvero scadute, quasi precipitate ad un livello infimo davvero?


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Tornando al paese dei tulipani e di altre amenità: lassù esiste un insieme di persone che si sono fatte notare per competenza, annosa esperienza e specchiata integrità (!), che ci ragiona su con calma, raccoglie dati, discute, soppesando il rapporto costo-benefici.

Un gruppo di esperti che decide se e quando far abortire una mamma quasi pronta a partorire o quando uccidere un bambino suo malgrado già nato. (La qual cosa, a pensarci bene, è molto più precisa della soppressione prenatale che deve affidarsi ancora troppo a statistiche, probabilità, ipotesi. Vediamoli per bene questi bambini difettosi, assicuriamoci che il controllo qualità venga compiuto con rigore. Meglio averli fuori dalle pance, no?)

La commissione di cui sopra, per l’appunto. Me li immagino con i loro meeting già fissati in agenda per valutare in corso d’opera come stiano andando queste faccende negli ospedali del paese. Avranno obiettivi, avranno delle corde elastiche come quelle dei ring che ancora chiameranno per convenzione”vincoli etici” alle quali appoggiarsi se sono stanchi.

Tutto questo è e resta incomprensibile.

Eppure è conseguenza follemente razionale delle premesse date. La vita rinchiusa nel temporale senza l’eterno e senza altro dio oltre l’uomo è un oggetto di consumo per il titolare e per gli altri fruitori a lui connessi (quelli di primo livello, come i genitori, ma anche la società che insomma non può continuare a trascinarsi avanti questi portatori sani di imperfezione); e se la sua qualità è scadente cosa resta da fruire?

Per qualità intendendo naturalmente la quota di momenti piacevoli accumulabili e il numero il più possibile ridotto di momenti spiacevoli. Ci sarà un quorum? E l’autonomia raggiunta, forse. Questo secondo indicatore, per un neonato, è giocoforza escluso ma la sua prospettiva si potrà anche valutare e loro che la testa ce l’hanno ben salda sulle spalle e avranno raccolto una discreta massa critica di informazioni lo sapranno senz’altro prevedere. Questo bambino non sarà autonomo, mai. E con lui nemmeno i genitori. Infatti nelle motivazioni addotte per giustificare il fatto che hanno iniettato nel corpo di quel bimbo di 8 o 9  kg “2 millilitri di Lidocaina, 250 milligrammi di Tiopental e 15 di Rocuronio” (Ibidem) è indicata anche questa: «la sofferenza psicologica dei genitori» (ecco che il pronostico del disagio o il fastidio percepito dei genitori diventa criterio sufficiente ad infliggere la morte), che non avrebbe fatto che aumentare nel tempo. Messa così, la questione, i crudeli sono quelli che insistono a tenere in vita bimbi del genere. Non ne convenite?

Ora a noi sempliciotti (sebbene stiamo cercando di correre ai ripari con l’approvazione delle DAT del gennaio scorso che ha commosso un campione di umanità e attenzione agli ultimi – esclusi i feti, è chiaro – come la signora Bonino) la cosa può urtare un poco i sentimenti ma dipende da noi, dalla nostra immaturità e dal grado ancora basso di progresso raggiunto. Non l’hanno fatto avventatamente, che diamine! non erano in preda alla rabbia, alla disperazione o che altro. Erano calmi, con un contegno tutto fiammingo privo di folkloristiche smorfie tipiche di noi cisalpini.

Non hanno usato le mani tese in aria o la bocca tutta contorta in un pianto inconsolabile come forse avremmo fatto noi, triviali mediterranei, per comunicare un senso di angoscia e di impotenza. Hanno preso delle ragionevoli decisioni, conti alla mano. Sono mercanti da secoli, li sanno fare i conti tra il dare e l’avere. Sanno valutare gli scambi quando siano vantaggiosi e quando no.

Ma noi, invece, o gran parte di noi, che siamo caldi, mediterranei e istintivi continuiamo a sentirci in piena sintonia col Santo Padre che solo due giorni fa, fendendo come una rompighiacci il pack che sta ricoprendo diversi chilometri quadrati di coscienze, ha avuto l’ardire di chiedere:

«Io vi domando: è giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema? È come affittare un sicario».


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Si vede che il problema di questi genitori era troppo grosso o la loro medicina degli ospedali olandesi troppo indietro o il loro desiderio di muoversi liberamente per il mondo troppo impellente per ammettere che forse quel bimbo, loro figlio, con una aspettativa di vita di circa 10 anni (parole dei loro esperti, che di solito sono smentiti al rialzo), sarebbe stato bello poterlo tenere con loro, amarlo, vederlo sorridere? E sì che forse anche vederlo soffrire e soffrire con lui avrebbe avuto un senso.

Perché è solo di questo che si deve parlare. Il senso della vita e, in essa, quello della sofferenza. E’ inutile, non ci andrà mai giù questa storia perché siamo fatti bene. La sofferenza è contro di noi, non ci piace, è anti uomo, è obiezione radicale alla nostra felicità. Se non fosse venuto Cristo.

Ma Cristo, invece, è venuto ed è venuto per restare.

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