Sembrava che si dovesse parlare solo di omosessuali e di pedofili, al IX Incontro Mondiale delle Famiglie, invece non s’è parlato affatto dei primi e dei secondi s’è fatto cenno nel contesto di una riproposizione integrale del Vangelo di Cristo per l’uomo e per la società. I media avevano scalette già scritte; qui vi proponiamo una sintesi dei discorsi.
Facilmente chi stasera abbia seguito un qualunque telegiornale nazionale avrà avuto l’impressione che Papa Francesco sia andato in Irlanda a parlare di pedofilia. Addirittura il Tg1 ha preparato un servizio con interviste a “vittime di abusi” (a proposito, sembra che non siano riusciti a trovare neppure una donna…). Già nel pomeriggio Repubblica apriva il proprio sito internet con lo strillo “Il Papa: «La Chiesa ha fallito»”, laddove Francesco ha parlato invece di “fallimento delle autorità ecclesiastiche”. Sembra che l’unico modo per informarsi obiettivamente sul magistero del Romano Pontefice sia leggerne gli interventi, sine glossa e senza malizia. E si scopre, per esempio, che di “pedofilia” (ma si direbbe meglio “pederastia omofila”) il Santo Padre ha parlato al termine dell’incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. Per essere più precisi, Francesco ha parlato di «questi crimini ripugnanti» solo dopo aver diplomaticamente richiamato l’Irlanda del “matrimonio” gay e dell’abrogazione dell’Ottavo emendamento della Costituzione (quello che aveva finora impedito che si legiferasse per la liberalizzazione dell’aborto).
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Il Paese ospitante
Già, perché il Papa è andato in Irlanda per parlare di famiglia e alle famiglie, poiché che «la Chiesa è […] una famiglia di famiglie, e sente la necessità di sostenere le famiglie nei loro sforzi per rispondere fedelmente e gioiosamente alla vocazione data loro da Dio nella società».
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A istituzioni, politici e diplomatici Francesco ha infatti ricordato:
Non occorre essere profeti per accorgersi delle difficoltà che le famiglie affrontano nella società odierna in rapida evoluzione o per preoccuparsi degli effetti che il dissesto del matrimonio e della vita familiare inevitabilmente comporteranno, ad ogni livello, per il futuro delle nostre comunità. La famiglia è il collante della società; il suo bene non può essere dato per scontato, ma va promosso e tutelato con ogni mezzo appropriato.
Primo, aiutare le famiglie concrete. Secondo, non illudersi di poter impunemente «dissestare il matrimonio e la vita della famiglia».
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La realtà ha i propri diritti e anche le proprie esigenze: se si vuole parlare della “famiglia dei popoli” non si può prescindere dal «ricco patrimonio di valori etici e spirituali» che è proprio della famiglia stricto sensu e anche di tutto ciò che per analogia si definisce tale. Ad esempio:
Il Vangelo ci ricorda che la vera pace è in definitiva dono di Dio; sgorga da cuori risanati e riconciliati e si estende fino ad abbracciare il mondo intero. Ma richiede anche, da parte nostra, una costante conversione, fonte di quelle risorse spirituali necessarie a costruire una società veramente solidale, giusta e al servizio del bene comune. Senza questo fondamento spirituale, l’ideale di una famiglia globale di nazioni rischia di diventare nient’altro che un vuoto luogo comune. Possiamo dire che l’obiettivo di generare prosperità economica, o finanziaria, porta da sé a un ordine sociale più giusto ed equo? Non potrebbe invece essere che la crescita di una “cultura dello scarto” materialistica, ci ha di fatto resi sempre più indifferenti ai poveri e ai membri più indifesi della famiglia umana, compresi i non nati, privati dello stesso diritto alla vita? Forse la sfida che più provoca le nostre coscienze in questi tempi è la massiccia crisi migratoria, che non è destinata a scomparire e la cui soluzione esige saggezza, ampiezza di vedute e una preoccupazione umanitaria che vada ben al di là di decisioni politiche a breve termine.
Un fondamento spirituale lo esige ogni pace, anche quella secolare, ha detto il Papa con franchezza profetica. E poi a seguire una ripresa della lezione della Centesimus annus (è fideistico illudersi che “il mercato” possa fondare l’equità sociale) e il già espresso riferimento all’aborto – furiosamente inseguito dall’Irlanda – come espressione della “cultura dello scarto”. Quella stessa che promuove l’indifferenza dei popoli verso i migranti e la miopia dei loro politici.
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Per questo – perché vanno tutelati con la medesima forza il concepito non nato e il povero che grida aiuto – «ogni bambino è […] un dono prezioso di Dio da custodire, incoraggiare perché sviluppi i suoi doni e condurre alla maturità spirituale e alla pienezza umana». Chi pensava di vedere un Papa piegato dalla vergogna, che per il rossore abdicasse al proprio dovere di confermare i fratelli nella fede, s’è dovuto ricredere: il motivo per cui il Papa ha sottilmente rimproverato l’Irlanda per la deriva abortista è il medesimo per cui s’è umilmente battuto il petto per i minori abusati.
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L’incontro con istituzioni, politici e diplomatici si è concluso con un richiamo alla nobile storia cristiana d’Irlanda, che dal IV secolo ha prodotto sintesi mirabili di fede e cultura:
Prego affinché l’Irlanda, mentre ascolta la polifonia della contemporanea discussione politico-sociale, non dimentichi le vibranti melodie del messaggio cristiano, che l’hanno sostenuta nel passato e possono continuare a farlo nel futuro.
La Chiesa
Dopo aver salutato la rappresentanza civile del Paese ospitante – e non senza aver indirizzato anche alle istituzioni la pro-vocazione evangelica – il Santo Padre si è recato nella procattedrale di Santa Maria. Lì diverse coppie, anziane e giovani, di sposi e di fidanzati, lo hanno salutato a nome dell’assemblea tutta e gli hanno rivolto domande. Rispondendo loro Francesco ha potuto percorrere le vie del matrimonio cristiano, che dall’umanissimo mistero dell’amore conducono sacramentalmente al Mistero unitrino di Dio.
La #famiglia è icona di Dio: l’alleanza tra un uomo e una donna genera vita e comunione.
— Papa Francesco (@Pontifex_it) August 24, 2018
La società cambia e le generazioni si susseguono, ma con gli stili di vita non muta l’essenza della relazione sponsale, così il Santo Padre ha potuto dire a una coppia di anziani:
Grazie sia per le parole di incoraggiamento sia per le sfide che avete presentato alle nuove generazioni di sposi novelli e di fidanzati, non solo qui in Irlanda ma in tutto il mondo. Loro non saranno come voi, saranno diversi. Ma hanno bisogno della vostra esperienza per essere diversi, per andare più avanti. È così importante ascoltare gli anziani, ascoltare i nonni! Abbiamo molto da imparare dalla vostra esperienza di vita matrimoniale sostenuta ogni giorno dalla grazia del sacramento.
E poi ha risposto a due giovani fidanzati che hanno palesato al Pontefice il timore di impegnarsi “per sempre”, con quello che al nostro mondo rapace sembra un salto nel vuoto:
Certamente dobbiamo riconoscere che oggi non siamo abituati a qualcosa che realmente dura per tutta la vita. Noi viviamo una cultura del provvisorio, non siamo abituati. Se sento che ho fame o sete, posso nutrirmi, ma la mia sensazione di essere sazio non dura nemmeno un giorno. Se ho un lavoro, so che potrei perderlo contro la mia volontà o che potrei dover scegliere una carriera diversa. È difficile persino star dietro al mondo, in quanto tutto intorno a noi cambia, le persone vanno e vengono nelle nostre vite, le promesse vengono fatte ma spesso sono infrante o lasciate incompiute. Forse quello che mi state chiedendo è in realtà qualcosa di ancora più fondamentale: “Non c’è davvero niente di prezioso che possa durare?”. Questa è la domanda. Sembra che nessuna cosa bella, nessuna cosa preziosa duri. “Ma non c’è davvero qualcosa di prezioso che possa durare? Neanche l’amore?”. E c’è la tentazione che quel “per tutta la vita” che voi direte l’uno all’altro, si trasformi e, col tempo, muoia. Se l’amore non si fa crescere con l’amore, dura poco. Quel “per tutta la vita” è un impegno da far crescere l’amore, perché nell’amore non c’è il provvisorio. Se no si chiama entusiasmo, si chiama, non so, incantamento, ma l’amore amore è definitivo, è un “io e tu”. Come si dice da noi, è “la metà dell’arancia”: tu sei la mia metà arancia, io sono la tua metà arancia. L’amore è così: tutto e per tutta la vita. E’ facile rimanere prigionieri della cultura dell’effimero, e questa cultura aggredisce le radici stesse dei nostri processi di maturazione, della nostra crescita nella speranza e nell’amore. Come possiamo sperimentare, in questa cultura dell’effimero, ciò che veramente dura? Questa è una domanda forte: come possiamo sperimentare, in questa cultura dell’effimero, ciò che veramente dura?
E dopo aver empaticamente ripercorso ed espanso la domanda, Francesco ha annunciato il Vangelo del Matrimonio come Dio lo vuole:
Ecco quello che vorrei dirvi. Tra tutte le forme dell’umana fecondità, il matrimonio è unico. È un amore che dà origine a una nuova vita. Implica la mutua responsabilità nel trasmettere il dono divino della vita e offre un ambiente stabile nel quale la nuova vita può crescere e fiorire. Il matrimonio nella Chiesa, cioè il sacramento del matrimonio, partecipa in modo speciale al mistero dell’amore eterno di Dio. Quando un uomo e una donna cristiani si uniscono nel vincolo del matrimonio, la grazia di Dio li abilita a promettersi liberamente l’uno all’altro un amore esclusivo e duraturo. Così la loro unione diventa segno sacramentale – questo è importante: il sacramento del matrimonio – diventa segno sacramentale della nuova ed eterna alleanza tra il Signore e la sua sposa, la Chiesa. Gesù è sempre presente in mezzo a loro. Li sostiene nel corso della vita nel reciproco dono di sé, nella fedeltà e nell’unità indissolubile (cf. Gaudium et spes, 48). L’amore di Gesù per le coppie è una roccia, è un rifugio nei tempi di prova, ma soprattutto è fonte di crescita costante in un amore puro e per sempre. Fate scommesse forti, per tutta la vita. Rischiate! Perché il matrimonio è anche un rischio, ma è un rischio che vale la pena. Per tutta la vita, perché l’amore è così.
E subito dopo, sul “come trasmettere la fede”, Francesco è tornato ad affermare la priorità del “dialetto domestico” (cf. 2Tim 1, 1-8) sui – pur essenziali – programmi di catechesi:
si impara a credere a casa, attraverso il calmo e quotidiano esempio di genitori che amano il Signore e confidano nella sua parola. Lì, nella casa, che possiamo chiamare la “Chiesa domestica”, i figli imparano il significato della fedeltà, dell’onestà e del sacrificio. Vedono come mamma e papà si comportano tra di loro, come si prendono cura l’uno dell’altro e degli altri, come amano Dio e la Chiesa. Così i figli possono respirare l’aria fresca del Vangelo e imparare a comprendere, giudicare e agire in modo degno della fede che hanno ereditato. La fede, fratelli e sorelle, viene trasmessa intorno alla tavola domestica, a casa, nella conversazione ordinaria, attraverso il linguaggio che solo l’amore perseverante sa parlare. Non dimenticatevi mai, fratelli e sorelle: la fede si trasmette in dialetto! Il dialetto della casa, il dialetto della vita domestica, lì, della vita di famiglia. Pensate ai sette fratelli Maccabei, come la madre parlava loro “in dialetto”, cioè a quello che da piccoli avevano imparato su Dio. È più difficile ricevere la fede – si può fare, ma è più difficile – se non è stata ricevuta in quella lingua materna, a casa, in dialetto. Io sono tentato di parlare di un’esperienza mia, da bambino… Se serve, la dico. Ricordo una volta – avrò avuto cinque anni –, sono entrato a casa e lì, nella sala da pranzo, papà arrivava dal lavoro, in quel momento, prima di me, e ho visto papà e mamma che si baciavano. Non lo dimentico mai! Che cosa bella! Stanco del lavoro, ma ha avuto la forza di esprimere l’amore a sua moglie! Che i vostri figli vi vedano così, che vi accarezzate, vi baciate, vi abbracciate; questo è bellissimo, perché così imparano questo dialetto dell’amore, e la fede, in questo dialetto dell’amore.
Gustosissimo poi un altro aneddoto, questo ambientato in Italia:
Ho conosciuto una signora che aveva tre figli, di sette, cinque e tre anni più o meno; erano bravi coniugi, avevano tanta fede e insegnavano ai figli ad aiutare i poveri, perché loro li aiutavano tanto. E una volta erano a pranzo, la mamma con i tre figli – il papà era al lavoro. Bussano alla porta, e il più grande va ad aprire, poi torna e dice: “Mamma, c’è un povero che chiede da mangiare”. Stavano mangiando bistecche alla milanese, impanate – sono buonissime! [ridono] – e la mamma domanda ai figli: “Cosa facciamo?”. Tutti e tre: “Sì, mamma, dagli qualcosa”. C’erano anche alcune bistecche avanzate, ma la mamma prende un coltello e comincia a tagliare a metà ciascuna di quelle figli. E i figli: “No, mamma, dagli quelle, non della nostra!” – “Ah no: ai poveri dai del tuo, non di quello che avanza!”. Così quella donna di fede ha insegnato ai suoi figli a dare del proprio ai poveri. Ma tutte queste cose si possono fare a casa, quando c’è l’amore, quando c’è la fede, quando si parla quel dialetto di fede. Insomma, i vostri figli impareranno da voi come vivere da cristiani; voi sarete i loro primi maestri nella fede, i trasmettitori della fede.
Una misura alta ed esigente, della vita cristiana, ma radicata nella concretezza del quotidiano:
Le virtù e le verità che il Signore ci insegna non sono sempre popolari nel mondo di oggi – a volte, il Signore chiede cose che non sono popolari – il mondo di oggi ha scarsa considerazione per i deboli, i vulnerabili e per tutti coloro che ritiene “improduttivi”.
I poveri
C’è in Irlanda una Chiesa che continua ad essere in una stretta relazione col popolo irlandese, e Francesco l’ha salutata nella comunità dei Cappuccini di Dublino. I poveri sono il tesoro della Chiesa – insegnava san Lorenzo agli aguzzini imperiali all’alba del IV secolo. E così Francesco è andato a incontrare le famiglie senzatetto accolte e sorrette dai figli del Poverello di Assisi.
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Ne è derivata una breve e quasi gestuale catechesi su cosa sia la vita della Chiesa e, un attimo prima, su quali siano alcune derive clericali da cui un rapporto sano fra chierici e laici mette in guardia:
Un’altra cosa che Lei ha detto e che mi ha toccato il cuore: che qui voi non domandate nulla. È Gesù che viene [nei poveri]. Non domandate nulla. Accettate la vita come viene, date consolazione e, se ce n’è bisogno, perdonate. Questo mi fa pensare – come un rimprovero – ai preti che invece vivono facendo domande sulla vita altrui e che nella Confessione scavano, scavano, scavano nelle coscienze… La vostra testimonianza insegna ai sacerdoti ad ascoltare, a essere vicini, perdonare e non domandare troppo. Essere semplici, come Gesù ha detto che fece quel padre, che quando il figlio tornò pieno di peccati e di vizi, il Padre non si sedette in confessionale incominciando a domandare, domandare, domandare; accettò il pentimento del figlio e lo abbracciò.
Ai poveri, nei quali il Papa – con i frati della Comunità – ha salutato e onorato Cristo stesso, Francesco ha rivolto l’invito a continuare a dare fiducia ai religiosi:
Vi dirò una cosa: sapete perché venite con fiducia? Perché loro vi aiutano senza togliervi la dignità. Per loro, ognuno di voi è Gesù Cristo. Grazie per la fiducia che date a noi. Voi siete la Chiesa, siete il popolo di Dio. Gesù è con voi. Loro vi daranno le cose di cui voi avete bisogno, ma ascoltate i consigli che loro vi danno: sempre vi consiglieranno bene. E se avete qualcosa, qualche dubbio, qualche dolore, parlate con loro, e vi consiglieranno bene. Voi sapete che vi vogliono bene: altrimenti, questa opera qui non ci sarebbe. Grazie per la fiducia. E un’ultima cosa: pregate. Pregate per la Chiesa. Pregate per i sacerdoti. Pregate per i Cappuccini. Pregate per i vescovi, per il vostro Vescovo. E pregate anche per me… mi permetto di chiedere un po’. Pregate per i sacerdoti, non dimenticatevi.
Essendo essi stessi la Chiesa – Francesco lo aveva detto all’inizio dell’incontro – i poveri possono salvaguardare i consacrati da varie aberrazioni:
Lei [il Padre Cappuccino che ha fatto la presentazione] ha detto che i Cappuccini sono noti come i frati del popolo, vicini al popolo, e questo è vero. E se qualche volta qualche comunità cappuccina si allontana dal popolo di Dio, cade. Voi avete una speciale sintonia con il popolo di Dio, anzi, con i poveri. Voi avete la grazia di contemplare le piaghe di Gesù nelle persone che hanno bisogno, che soffrono, che non sono felici o che non hanno nulla, o sono pieni di vizi e di difetti. Per voi è la carne di Cristo. Questa è la vostra testimonianza e la Chiesa ha bisogno di questa testimonianza.
Ecco il primo giorno di Francesco in Irlanda, quello che non vi hanno raccontato: molto poco si è parlato di pedofilia, per nulla di altre fantasiose invenzioni di relatori eversivi. Il Mondo, la Chiesa, i Poveri. Il profumo di Cristo per «una rivoluzione dell’amore. Che questa rivoluzione inizi da voi e dalle vostre famiglie!».