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A che cosa serve una preghiera di riparazione? E’ davvero efficace?

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Fabio Bartoli - pubblicato il 27/07/18
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Se ne è sentito parlare di recente a proposito del gay pride di Rimini quando la diocesi ha promosso una processione per riparare i peccati commessi durante quell’evento

Spesso si sente parlare di preghiera di intercessione e riparazione, molte volte a sproposito, ma che cosa è? Che valore ha? Davvero è possibile pregare al posto di un altro? Non è un po’ come se mio fratello fosse ammalato e io pretendessi di aiutarlo a guarire prendendo io la medicina al posto suo?

Sembrerebbe l’eredità di una concezione pagana di Dio, come se il nostro Padre celeste fosse un idolo adirato e offeso da placare o come se io fossi in grado di aggiungere qualcosa al valore infinito della Redenzione operata dal sacrificio di Cristo. E ancora: come si può pensare che la preghiera abbia il potere di modificare la realtà? Ad esempio di far regredire un tumore o di evitare un qualche disastro naturale?

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Roman Catholic Archdiocese of Boston | Flickr CC by ND 2.0

La questione dell’utilità della preghiera è vecchia quanto il cristianesimo, fin dall’inizio infatti quando i primi cristiani si sono incontrati con la sapienza greca (e penso ai più intellettuali, come Giustino o Clemente A.) si sono trovati a discutere con dei filosofi che li deridevano appunto per la concezione ingenuamente antropomorfica di un Dio che cambia idea a seconda di come viene pregato o che plasma e riplasma le leggi della natura in conseguenza delle preghiere.

Indubbiamente sembra poco intelligente e indegno di una visione “alta” di Dio pensare che Egli, nella sua infinita maestà, possa piegarsi ai nostri capricci.



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Ora, anche a prescindere dal fatto che Gesù raccomanda esplicitamente la preghiera di richiesta ed io non vorrei mai presumere di essere più intelligente di lui o avere una visione di Dio più alta della sua, mi sembra che sia stato Origene a dare la risposta più profonda alla questione.

Egli osserva infatti che il vero antropomorfismo è quello di chi pensa che Dio sia limitato dalle categorie del tempo e dello spazio e debba quindi PRIMA ascoltare le nostre preghiere per POI decidere di intervenire. In realtà le cose non avvengono così. Dio vive nell’eternità, eternità che Boezio (un paio di secoli dopo Origene) così definisce: “simul et tota vita possessio” ovvero possesso simultaneo di tutta la vita.


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Detto in altri termini, Dio non recepisce il tempo come una successione, come facciamo noi, ma tutto simultaneamente, il che fa sì che in un solo istante egli vede la necessità dei suoi figli, ascolta la loro preghiera e provvede alle loro necessità. In questa prospettiva si capisce che la nostra preghiera sono i mattoni dell’esistenza futura.

Dio costruisce il mondo usando anche le nostre preghiere che intesse con la realtà nel momento in cui essa viene all’esistenza.

Giovannino Guareschi in uno dei più bei dialoghi tra Gesù e don Camillo spiega questa cosa in modo molto semplice (riassumo a memoria, non ricordo da quale racconto è tratto):

Gesù: Caro don Camillo, immagina che in una delle tue passeggiate in campagna devi attraversare dei binari, ma proprio in quel momento scivoli e cadi sui binari stessi, proprio in quel momento senti arrivare il treno, cosa faresti?

don Camillo: pregherei di essere salvato

Gesù: e faresti bene, ma come potrebbe in quel momento la preghiera salvarti? Potrebbe far saltare il treno da un binario all’altro? Oppure farlo deragliare provocando così un incidente molto maggiore?

don Camillo: non lo so Signore

Gesù: ma povero don Camillo, non riesci proprio a vedere che ancora prima che il treno partisse io ho visto la tua caduta e ascoltato la tua preghiera e per questa ragione quel treno si troverà sul binario opposto a quello dove tu sei caduto?

Ecco, io trovo questa concezione molto bella. Noi siamo co-autori con Dio della realtà, con-creiamo il mondo proprio attraverso la nostra preghiera che in un modo che non conosciamo contribuisce a plasmarlo quanto e più di quanto facciano le nostre mani.



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C’è poi un caso particolare di preghiera di intercessione, ed è quella in riparazione dei peccati, che senso ha? Possiamo noi riparare i peccati di un altro? Ha senso pensare che se prendiamo noi la medicina un altro possa guarire?

Ci sono molti esempi nella Bibbia di questo tipo di preghiera, il cui prototipo, evidentemente, è la preghiera di Gesù sulla croce: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” che ci ha salvati tutti, quindi è chiaro che non si può né disconoscerla né sottovalutarne l’importanza. Per non ricadere però in un paganesimo pratico (cioè per non finire senza accorgerci con l’adorare un dio che non è il Padre), è importante seguire fedelmente il modello biblico di queste preghiere.


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Forse l’esempio più impressionante è la preghiera di Mosè, che pur di ottenere la salvezza del popolo, che aveva commesso un peccato terribile, rifiutando Dio e adorando il vitello d’oro, non esita a mettersi contro Dio stesso, arrivando a dire: “se vuoi condannare loro condanna anche me, ma io non posso essere separato da loro” (Cfr Es 32,9-14.30-34).

Questo è l’elemento più importante in una preghiera di intercessione, soprattutto quando si tratta di una richiesta di perdono: deve essere motivata dall’amore e dalla solidarietà, solidarietà che può arrivare fino a mettersi contro Dio dalla parte del peccatore, sapendo che in realtà anche Dio stesso è da quella parte.

Solo una simpatia infinita può motivare una richiesta di perdono, solo una solidarietà che non tollera di essere separata da quei fratelli che hanno peccato eppure restano fratelli nostri e del Signore Gesù. È come fare di se stessi un ponte che collega due sponde, stendersi al di sopra di un abisso e accettare di essere noi stessi lacerati se le due sponde si allontanano.



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No, la preghiera di intercessione non è affatto a buon mercato, suppone da parte nostra la disponibilità a salire in croce, a pagare con la nostra sofferenza ciò che manca alla sofferenza di Cristo, secondo la misteriosa espressione di Paolo (Cfr Col 1,24). Senza questo la preghiera di intercessione è solo un fastidioso e farisaico “chiamarsi fuori”, è come dire: “io non sono come loro”, inutile e direi perfino dannoso nella misura in cui rischia di gonfiarci di orgoglio spirituale, ben più dannoso di qualsiasi altro “pride”.



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Non voglio fare il processo alle intenzioni ma purtroppo nei casi in oggetto, da cui i nostri vescovi si sono ripetutamente e prudentemente dissociati, sembra essere esattamente questa la modalità proposta e allora certo la Chiesa non può sposare ufficialmente una preghiera siffatta, che certo non sembra potersi dire cristiana.

Riparare a patto che…

Non voglio dire che non si può intercedere per i mille peccati che sicuramente saranno commessi durante i cosiddetti “gay pride”. Si può e si deve, come del resto nel caso di qualsiasi altro peccato pubblico, dalle povere vittime del mare abbandonate a se stesse in nome della ragion di stato, alle guerre combattute unicamente per difendere il capitale e i suoi interessi, ma la preghiera pubblica deve essere fatta con modalità e linguaggio che siano autenticamente cristiani, e quindi appunto siano mossi innanzitutto dalla solidarietà e dalla carità.


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