“L’uso di pornografia fa perdere davvero la vista, non certo perché perdiamo diottrie, ma perché non riusciamo più a vedere l’altro contemplandolo per tutto quello che è”.Come redazione For Her Italia abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il prof. Giuseppe Spimpolo sull’emergenza della diffusione della pornografia e del suo utilizzo smodato. Come esperto educatore, come uomo di fede e consulente esperto sui temi della affettività e della sessualità mostra un approccio integrale al tema e all’essere umano. La pornografia non è un problema da liquidare con una repressione morale; è anche un sintomo, personale e sociale, di un disagio. Uno degli ultimi frutti di una cultura che ci vuole sempre più fragili e indeboliti sul fronte delle relazioni: soli, manipolabili. Ma la libertà dell’uomo è irriducibile…
Prof. Spimpolo, innanzitutto grazie di cuore per avere accettato di rispondere alle nostre domande; per prima cosa ci può dire in breve chi è e di cosa si occupa?
Sono un uomo, marito e padre, che si trova a contatto con il mondo giovanile anche perché faccio l’insegnante. Da alcuni anni poi faccio parte con mia moglie dell’Iner (Istituto per l’educazione alla sessualità e alla fertilità), un’associazione che a partire dalla promozione e divulgazione dei metodi di regolazione naturale della fertilità, si occupa più in generale della sessualità e affettività umana e dell’educazione della sessualità e dell’affettività.
Pornografia: malattia o sintomo? La pornografia è una questione solo morale?
Potremmo dire che vi sono due livelli del discorso, ossia quello sociale e quello personale. Per entrambi questi livelli la pornografia è insieme sintomo e problema. Direi che nella pornografia appare evidente sinteticamente quella che io chiamo la pornologia di cui la pornografia non è che l’ultima, ma non in senso cronologico, manifestazione. La pornologia è la logica del porno, dell’uso e consumo dell’altro fino a dis-integrarlo, condannarlo alla virtualizzazione, fino all’estinzione e alla sparizione, perché viene distrutto, fatto a pezzi (basterebbe ricordare le morti, anche recenti, di giovani pornostar) in nome dell’ego. Ma la sparizione dell’altro, è anche la mia dis-integrazione dal momento che la dimensione relazionale è antropologicamente costitutiva dell’essere umano.
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Se questo è il problema di fondo, è facile coglierne anche la dimensione simbolica e sintomatologica a livello sociale: la pornografia è la sorella minore, l’ultima arrivata di una serie di vicende sociali in cui la sparizione dell’altro e quindi del senso pieno della dimensione relazionale è dominante: il divorzio, la convivenza al posto del matrimonio, la contraccezione, la fecondazione artificiale, l’aborto, l’ideologia gender e l’omosessualismo dilagante… In tutto ciò è presente una progressiva e galoppante tensione ad abbassare il livello del coinvolgimento personale, una tensione all’assolutizzazione dell’ego e alla morte dell’altro. A livello personale poi, è sintomo della fatica esistenziale di essere umani, di costruire relazioni armoniose e armoniche, è sintomo di solitudini affettive importanti; per cui essa si propone come una scorciatoia che promette di avere in fretta e a buon mercato il massimo da una relazione senza la relazione e la fatica della (costruzione di una) relazione. Per questo facilmente può aggredire nell’età dello sviluppo, ossia quando la ricerca del sé dinanzi agli altri può apparire talora particolarmente laboriosa o faticosa, quando si può essere particolarmente vulnerabili. Peccato però che la pornografia prometta più di quanto mantenga. Comprendere tuttavia questo è essenziale per non fare moralismo, ma cogliere la dinamica anche morale all’interno della fatica di crescere.
Dove sta allora la radice, il virus?
La potenza della pornografia non sta solo nelle immagini che offre, ma, attraverso le immagini che offre, nell’offrire un’immagine di uomo e donna. Mi spiego: l’essere umano sente di non bastare a se stesso, di potersi costituire solo nella dimensione relazionale che è per sua natura sponsale. Dentro tale tensione all’infinito, dentro tale desiderio, la pornografia promette la realizzazione di sé, senza la fatica di metterci la faccia, di coinvolgersi fino in fondo in una relazione che cresce attraverso bellezza, gioia ma anche la fatica del confronto, di sopportare tensioni e conflitti, di trovare strategie di riconciliazione, senza doversi implicare nella forma del dono personale e totale. Senza la fatica di imparare ad essere uomini e donne fino in fondo. Quando stentiamo a vivere relazioni belle, ricche di significato, illuminanti per la nostra esistenza; quando stentiamo a vivere fino in fondo la nostra mascolinità o femminilità, allora in tale insoddisfazione, può capitare di percepire illusoriamente la pornografia come un rimedio, meglio, una scorciatoia per uscire dalla condizione stagnante in cui ci troviamo. In secondo luogo, la potenza della pornografia si manifesta nel fatto che essa aggredisce affettivamente, toccando cioè corde umane particolarmente sensibili, perché tocca l’eros, ossia la capacità di cogliere la bellezza. Di fatto la pornografia usa la bellezza per catturarci, ma una volta adescati ci fa compiere un viaggio esistenziale che deformerà sempre più quello che siamo, ci farà a pezzi, deformando il nostro sguardo. C’è un quadro di Magritte, Lo stupro, che potrebbe essere suggestivo al riguardo: l’autore dipinge il volto di una donna stra-volto, ossia il volto di una donna completamente genitalizzato.
Io credo davvero che l’uso di pornografia faccia perdere la vista, non certo perché perdiamo diottrie, ma perché non riusciamo più a vedere l’altro contemplandolo per tutto quello che è; viceversa, impariamo gradualmente a guardarlo solo per quanto ci può dare in termini di gratificazione consumistica e narcisistica. Insomma, la pornografia tocca, colpisce l’affettività umana affettivamente; da questo punto di vista dovrebbe e potrebbe paradossalmente insegnarci una cosa: che non si può fare educazione affettiva se non affettivamente. L’affettività non è solo materia da plasmare secondo un impianto valoriale, ma essa è lo strumento per formare le persone ad una buona vita relazionale e insieme il luogo, il punto di innesco dentro cui è inscritta la logica stessa della vita relazionale. D’altro canto questo è anche il motivo per cui ritengo che il contesto adeguato e primario dell’educazione affettiva e sessuale sia propriamente la famiglia, ossia il luogo esistenziale per eccellenza dove si può educare l’affettività affettivamente.
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Cosa c’entra la capacità di relazione con l’uso di pornografia? E con l’autostima?
Proprio le difficoltà e immaturità relazionali sono un terreno vulnerabile all’aggressione della pornografia. Essa non solo tende ad innescarsi in tale fatica relazionale, ma, anziché aiutarci a superarla come illusoriamente promette, non fa che radicalizzare la solitudine e l’isolamento originario da cui si è partiti. A monte, l’idea di non essere all’altezza di relazioni vere, autentiche piene, il che, a mo’ di circolo vizioso, viene radicalizzato dall’uso di pornografia che continua a riconfermare all’utente la sua incapacità di vivere pienamente al di fuori di quel mondo. D’altro canto diventa facile capire come la pornografia aggredisca stima e autostima attraverso il meccanismo dell’intercambiabilità delle scene e sceneggiature, degli attori e attrici. Sempre alla ricerca di carne fresca da macerare, l’unico dogma è l’ottenimento del piacere personale, per cui la continua intercambiabilità delle persone in gioco sembra attestare l’insignificanza di tutte e ciascuna. Se alla fine io sono alla ricerca solo della mia soddisfazione, diventerà progressivamente sempre più irrilevante e insignificante il volto – in senso forte – delle persone; anzi il meccanismo funziona tanto meglio quanto più è in grado di garantire un costante ricambio dei personaggi in gioco. La costante disponibilizzazione di situazioni e volti nuovi, oltre che creare progressivamente nell’utente l’idea di poter tutto nei riguardi altrui, conferma lo svilimento di tutte le persone che gravitano, pur se con ruoli e posizioni differenti, attorno alla pornografia. Da ultimo l’avvento delle nuove tecnologie e internet in particolare, quando asserviti alla pornografia, ha innescato un processo di normalizzazione della stessa pornografia e di tutto quanto essa è rappresentativa e promotrice, perché, sempre a portata di mano, offre la sensazione di poter essere parte integrante della ferialità e ordinarietà della vita.
A tal proposito, chi e perché vuole questo mercato così accessibile e carico di offerta?
Non vorrei perdere tempo sul business dell’industria del porno, dato che sembra abbastanza evidente l’interesse economico che sta alle spalle di questo mondo. Più interessante è cogliere come vi sia un altrettanto evidente progetto di indebolimento e dis-integrazione dell’umano. Spappolare l’umano, significa costruire delle individualità deboli, manipolabili, anestetizzate emotivamente dinanzi alla vita, incapaci di scelte autentiche e coraggiose, chiuse nel proprio sé e incapaci progressivamente di interesse per il mondo, alla fine infelici perché ripiegate su se stesse. Ma anche laddove non diventi una forma clinicamente certificata di dipendenza, l’uso di pornografia costruisce un’immagine di sé e dell’altro deformata rispetto alla realtà.
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Purtroppo talora la castità appare solo come rinuncia, privazione. Negli anni ho scoperto come il suo significato principale sia proprio quello di integrazione. In fondo quando educhiamo i nostri figli, noi cerchiamo non solo che essi portino ad attualità le loro potenzialità, ma che tale attualizzazione avvenga in maniera armonica e armoniosa; è questa la ragione per cui nel processo di educazione e formazione dei giovani, dei nostri figli desideriamo che essi possano realizzare al meglio tutte insieme, progressivamente e armoniosamente, le loro dimensioni: fisica, relazionale, cognitiva, morale, spirituale… In tale direzione, la gestione delle proprie pulsioni non ha nulla di castrante; semmai è collocare la pulsione esattamente al suo posto all’interno dell’organismo umano. Castità è mettere ordine, coordinare le dimensioni costitutive dell’essere umano in modo che possa svilupparsi come unità integrata. Quindi la castità non è rinuncia alla pulsione sessuale ma promozione di tale pulsione all’interno di un più generale equilibrio personale; è promozione dell’autocontrollo e quindi della capacità libera e autentica di dono; è promozione dello spirito di sacrificio, anch’esso una qualità caratterizzante la personalità adulta; è non ridurre la sessualità a soddisfazione genitale. Se l’eros diventasse una dimensione prevaricatrice – come nel caso della dipendenza – creerebbe degli squilibri personali: intrapersonali e interpersonali. Le faccio un esempio di un fatto che mi ha molto segnato: qualche anno fa, con mia moglie, ci siamo trovati ad affrontare il tema della sessualità con un gruppo di diciasettenni all’interno di un camposcuola estivo. Un ragazzo, in apertura del campo e sapendo quale sarebbe stato il tema della settimana, disse che nessuno nella vita l’avrebbe fatto desistere dall’utilizzo di materiale pornografico e successiva masturbazione. Senza alcun nostro merito, alla fine della settimana, lo stesso ragazzo raccontò a tutti, non solo di non aver mai visionato materiale pornografico e di non essersi mai masturbato, ma di non averne mai sentito l’esigenza. Che cosa era successo? Soltanto che la pulsione aveva trovato il suo giusto posizionamento: l’esperienza di condivisione, amare ed essere amato per quello che era attraverso i normali servizi di un camposcuola: gli spazi di sano divertimento, invece di reclinarlo su di sé, avevano orientato gradualmente le energie e risorse di questo ragazzo nel senso – direzione ma anche significato – del dono; tale esperienza era stata sufficiente per mostrare al ragazzo il destino dell’eros, della sessualità e affettività umana. Il ragazzo si era sentito finalmente libero di pensare la propria vita diversamente, e di viverla diversamente.
Come prevenire il rischio di dipendenza da materiale pornografico e come “disintossicarsi”?
Non sono un clinico, per cui il mio raggio e campo di azione è sul piano educativo. La prima cosa che vorrei dire è che non vi è situazione, per quanto qualche volta possa apparire tragica da cui non si possa uscire. I vizi, così come li abbiamo contratti, possiamo anche sradicarli, forse con fatica, dolore ma è una strada percorribile. Da questo punto di vista, la libertà umana è irriducibile. In secondo luogo è importante richiamare la prudenza. Se non vi è alcun dubbio che la visione di materiale pornografico non sia immediatamente assimilabile ad un fenomeno di pornodipendenza, ciò non significa che non vi sia continuità tra le due e che a scherzare col fuoco ci si potrebbe fare del gran male. In un bel film di qualche anno fa, L’avvocato del diavolo, il diavolo dichiarava: «Vanità, decisamente il mio peccato preferito». In terzo luogo vorrei ricordare che prima di un problema, l’uso di materiale pornografico è il sintomo di un problema, di una fatica esistenziale per cui è importante comprendere quale sia il brodo di cottura, la condizione esistenziale che rende più vulnerabili all’aggressione pornografica. Qui credo ci sia molto da lavorare sul piano educativo e preventivo. A titolo esemplificativo si pensi all’importanza di educare i nostri figli a vedersela con i problemi, le difficoltà senza sostituirci loro, ma accompagnandoli in un percorso di stima – da cui possano imparare l’autostima – in cui si sentano incoraggiati a lottare, senza che ne escano continuamente frustrati; a non fuggire le fatiche; a imparare lo spirito di sacrificio; a vivere la realtà invece che evadere nella virtualità dove tutto sembra, apparentemente, immediatamente possibile e disponibile; a realizzare il loro essere maschi o femmine originario nell’uomo o nella donna adulti, altrimenti anche la pornografia può diventare una fuga da un sé incompiuto e non soddisfacente; a fare esperienze concrete di dono gratuito di sé; alla castità come valore decisivo per lo sviluppo affettivo…
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Credo alla fine che noi genitori dobbiamo tornare a fare i genitori, le mamme e i papà, costruendo in casa tessuti affettivi veri, impastati di amore fedele, totale, generoso e fecondo: non è vero che «i figli debbano fare le loro esperienze», frase spesso usata per disimplicarci dalle loro esistenze; dobbiamo educarli a far esperienza affiancandoli, raccontare loro che non è vero che una cosa valga l’altra; appassionarli alla realtà concreta facendo loro vedere il senso e la bellezza di tale realtà, anche laddove vi sia di mezzo del sacrificio, del dolore… Ma per tutto questo dobbiamo esserci! Infine esistono percorsi, sul territorio italiano, come quelli offerti dai Sessodipendenti Anonimi o di natura specificamente clinica, nei quali si può trovare un supporto specifico importante, laddove l’uso di materiale pornografico acquistasse i tratti della dipendenza. In ogni caso credo sia doveroso dire che in ultima analisi non possiamo che interpellare la libertà umana, che non è solo libertà per e di, ma anche libertà da. Per diventare liberi, talora potrebbe essere necessario liberarsi anche da tutto quanto sembra intoccabile per gli uomini d’oggi: dalla tv, al computer, agli smartphone… Decidere è anche recidere, tagliare con tutto ciò che si presenta come un’occasione prossima per farci del male. Dopodiché non è pensabile la libertà se non come libertà per e di: e in questo, a noi cristiani è stato dato di conoscere la profonda vocazione a cui sono chiamati l’uomo e la donna.
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