Una giovane donna scrive una lettera alla malattia che l’ha colpita e che ora ha sconfitto. Grazie “perché mi hai insegnato ad amare e ad apprezzare la mia vita”.
“Caro cancro, (…) Voglio ringraziarti per avermi insegnato ad amare, ad apprezzare le piccole cose, a provare tanto amore verso le persone che mi circondano, ad apprezzare la mia vita e quello che mi offre ogni giorno”. (Corriere.it)
Comincia così la lettera che una ragazza americana ha scritto al suo tumore, con un “grazie”. Sembra inconcepibile una simile gratitudine eppure è reale, profonda, possibile. Dire grazie al dolore, al male, non per assurdo masochismo, ma perché nella sofferenza si ha avuto l’occasione di amare e lasciarsi amare più intensamente, di coltivare la speranza, di ritrovare Dio.
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Grazie perché le lacrime che mi hai fatto versare mi hanno riavvicinato a Dio
Ciascuno di noi nella sua vita ha fatto esperienza direttamente o indirettamente della malattia, e quindi con i sentimenti di paura spaventosa, smarrimento, dolore, rabbia, impotenza. Eppure… le parole di questa giovane raccontano anche altro.
“Ti ringrazio per tanti dolori, poiché mi hai insegnato che sono più forte di quanto pensassi; grazie per i segni che hai lasciato nel mio corpo, poiché, grazie a loro che vedo ogni giorno, ricordo chi sono e tutto ciò che ho superato; grazie per avermi aiutato a perdere le cose che pensavo fossero insostituibili, per fare in modo che rimanessi calva e capissi poi che i capelli ricrescono, che questo corpo è prestato e non devo aggrapparmici; grazie per le lacrime che a causa tua ho versato, poiché mi hanno aiutato a liberare la mia anima avvicinandomi a Dio e a renderlo la cosa più importante nella mia vita; grazie per essere stato la via che mi ha permesso di sentire i miracoli, di sentire quanto Dio stia vicino a noi”. (Corriere.it)
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Liberarsi dagli idoli e lodare il Signore
“Grazie per avermi aiutato a perdere le cose che pensavo fossero insostituibili” e poi “Grazie per le lacrime che a causa tua ho versato, poiché mi hanno aiutato a liberare la mia anima avvicinandomi a Dio e a renderlo al cosa più importante della mia vita” scrive. Sono i due passaggi che mi hanno colpito di più. La malattia ha liberato questa ragazza dai fardelli inutili, da quegli idoli a cui dedichiamo tempo e pensieri. E poi le lacrime, il dono del pianto di cui ha parlato tante volte il nostro Pontefice, che l’hanno purificata, le hanno scavato dentro per fare spazio al Signore, l’unico che non si scandalizza di nulla e che ci dona la vita invece che togliercela (come fanno gli idoli).
Mi è venuto in mente che Alda Merini in merito al male diceva: “Io il male l’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente”. La poetessa dei Navigli nella sua vita travagliata si era lasciata attraversare dal dolore, dalla sofferenza e così era divenuta capace di comporre versi ardenti, e di amare gli altri e la vita. Nel libro del Siracide si legge: “Accetta quanto ti capita, sii paziente nelle vicende dolorose, perché con il fuoco si prova l’oro”.
Non sprecare il tempo della malattia
Il tempo della malattia può essere un momento fecondo e prezioso per lasciarsi coccolare dagli affetti e soprattutto un’occasione grande per incontrare il Signore e affidarsi completamente a Lui. Perché quando si è ammalati si è fragili, ci si scopre poveri e così si può finalmente chiedere, mendicare, aprire le mani e ricevere. Così è stato per questa giovane che infatti continua la sua lettera scrivendo:
“(…) Voglio che tu sappia che non ho paura di te, al contrario sei tu che dovresti temermi, poiché Dio è con me e tu conosci bene il suo potere. Ti ringrazio per avermi reso una completa guerriera e soprattutto grazie per avermi insegnato il valore della vita e quanto sia importante amare e avere fede, amare senza aspettarmi niente in cambio ed avere fede senza dubitare, poiché l’amore è la migliore medicina e la fede l’unica cosa che ha potere su di noi” (Ibidem).
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La parola che in maniera sbalorditiva ricorre in questo testo è “grazie”! Quando il cuore è grato trova la vera pace; è ricco, felice.
Infatti scriveva Chesterton: «La misura di ogni felicità è la riconoscenza».