Imputare a una sola causa la moria delle api significherebbe dimenticare che esse sono vittime di una crisi ecologica globale che si manifesta mediante un insieme di fattori cumulativi e convergenti, tra i quali ciascuno ha la propria parte di responsabilità.
Da due o tre anni la “scomparsa delle api” conquista le prime pagine. E ben venga che questo fenomeno planetario, questo gravissimo sintomo dell’attuale crisi ecologica non sfugga più ai cittadini. Peccato che – detta così – la cosa si presti a semplificazioni che aprono la porta a reazioni caricaturali più o meno artefatte… e in ultima analisi alla negazione. In questo, si tratta di un buon caso per esemplificare le nostre reazioni a fronte dei problemi ecologici, in particolare di quelli che toccano gli ecosistemi.
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L’ape – intendiamo l’ape mellifera europea, più o meno impropriamente detta “domestica” è senza dubbio l’archetipo dell’animale “utile”, “simpatico” e mediatico. Non paga di fornire all’uomo il miele che simbolizza godimento e prosperità da un lato all’altro della Bibbia (l’alimento vi è citato 69 volte), essa è celebre per la sua funzione nell’impollinazione. Così fra alti e bassi le sorti degli alveari sono associate alla minaccia globale che incombe su di essi, e alla possibile conseguente scomparsa di alcuni prodotti agricoli.
Una minaccia globale
Quali sono i mali in causa? I pesticidi, tanto per cominciare. I casi di un allevamento difficile, ma pure l’incuria di certi apicoltori che porta altri a concludere che non esiste alcun problema ecologico, che sono tutte cose che “fanno parte del gioco” – diremmo plagiando i telecronisti dei Mondiali – e la polarizzazione isterica del dibattito che sorge da un approccio emotivo. Non è sufficiente, del resto, rilevare che le “nostre” api sono massicciamente stroncate dal parassita Varroa destructor e che non c’è bisogno di cercare altrove l’origine dei lutti apidi? «Non esiste un problema ecologico, con le impollinatrici: solo un po’ di pioggia e dei cattivi apicoltori. Smettetela con l’agro-bashing, trattate le arnie contro il Varroa e andate avanti».
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Purtroppo la tesi non regge. A parte che il Varroa non ha niente di naturale: si tratta di una specie invasiva originaria del Sud-Est asiatico (e lì, fra l’altro, le specie locali di apidi resistono ai suoi attacchi). Le nostre, per i quali i suoi attacchi sono fatali, non ci si sarebbero mai dovute trovare in contatto. La sua presenza dice quindi molto bene ciò che chiamiamo “crisi ecologica”. D’altra parte, le epidemie recentemente constatate riguardano massicciamente allevamenti di apicoltori professionisti ed esperti, che contro il flagello avevano preso le misure del caso… e nondimeno trovavano le colonie sterminate.
Tutte le impollinatrici sono toccate
Infine (e soprattutto), non è la sola ape domestica a essere decimata in Europa e altrove, ma la grande maggioranza delle impollinatrici. Le api della specie detta domestica, fra l’altro, non assicurano se non una modesta quota di impollinazione. Innumerevoli altri insetti, e specialmente i bombi, fanno il grosso del lavoro. Il Varroa non li tocca.
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Per spiegare il loro declino, bisogna cercare altrove. Per esempio sul versante delle innumerevoli trasformazioni del paesaggio agricolo da settant’anni a questa parte: dove sono le siepi, gli stagni, i cigli delle strade e dei viottoli pieni di fiori che assicuravano a tutte queste specie una tavola imbandita in ogni stagione, e non solo quando una delle nostre culture si degna di porre attenzione ai propri sbagli?
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Dove sono andate le vecchie praterie, che ne è dei muri coperti di edere che ronzavano di api in autunno, quando tutti gli altri fiori erano spariti? In ultimo, non si dovrà considerare per bene come una causa abbia inciso sulle altre – e come l’impiego massiccio di insetticidi abbia finito per eliminare gli insetti (del resto servivano a questo…)?
Fattori cumulativi e convergenti
Raramente – per non dire mai – le crisi ecologiche gravi hanno un colpevole ideale oppure unico. È in maniera multiforme e cumulativa che i fattori entrano in gioco, si accumulano, convergono e finiscono per trascinare popolazioni animali e vegetali nel baratro. Nella fretta di discolpare oppure al contrario di incriminare questo o quello, spesso si dimentica questo fenomeno (che pure è ben documentato). Ciascuno produce il proprio studio, condotto per definizione “a parità di altre condizioni”, ove non si fa che variare uno e un solo fattore, che lo riguarda e che si pretende di dimostrare come irrilevante nell’economia complessiva. «Non sono responsabile io da solo. Quindi non c’è motivo che io modifichi o rinunci alla mia pratica o al mio prodotto».
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E si compilassero insieme queste confutazioni individuali si arriverebbe all’assurdità per cui la scomparsa delle api e dei bombi selvatici sarebbe un fenomeno senza causa. Le api non possono morire, perché niente è ciò che le fa morire. Questa riduzione di un fenomeno complesso a un elenco di responsabilità individuali esaminate una ad una ci conduce a siffatta assurdità.
Tutto è legato
Questo caso esemplare si declina in parecchi altri domini. Ferrero non è il solo responsabile della scomparsa degli orangotango. I motori a diesel non sono i soli fattori dell’inquinamento atmosferico. Oppure, cambiando piano, l’oscillazione climatica non è il solo elemento che destabilizza le società di Africa e di Medio Oriente. E non sono meno gli ingredienti di catastrofi – si pensi ai reagenti – senza i quali forse non accadrebbe nulla.
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La nostra griglia di lettura individualistica e giuridicizzata ci tappa bocca, occhi e orecchie nell’atto di leggere fenomeni ecologici in cui tutto è relazione. Dopo decenni di impatti molteplici e cumulativi, gli ecosistemi (la fauna e la flora) non ne possono più: l’implosione arriverà forse da un colpetto di tosse il cui autore sarà assai stupito di vedersi impiccare a Piazzale Loreto per ecocidio. Povero lui: non sarà stato colpevole di gran cosa, ma dopo che lo avremo linciato staremo un pezzo avanti. L’implosione, frattanto, avrà avuto luogo. Bisogna cambiare approccio, e alla svelta: comprendere che lì fuori, proprio lì, tutto è collegato e tutti sono collegati.
[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]