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Gnostici e Pelagiani: ma non si possono spiegare in modo semplice queste due eresie?

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Giovanni Marcotullio - Aleteia Italia - pubblicato il 16/04/18
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Due dottrine antiche, poliedriche e storicamente molto complesse: eppure Papa Francesco ne richiama spesso i nomi per indicare due atteggiamenti spirituali fondamentali, che facilmente (benché in modi differenti) possono infettare la vita ecclesiale. Eppure non serve averle studiate sui libri per riconoscerle: basta aver fatto qualche passo col Risorto nella sua Chiesa…

Quest’insistenza di Papa Francesco su “gnostici e pelagiani” ha un che di intrigante: due eresie “vecchie” tirate in ballo così spesso da un uomo tanto attento ai segni dei tempi… Nell’ultima esortazione apostolica, la Gaudete et exsultate, il Santo Padre ha voluto addirittura dedicare al tema un intero capitolo (il secondo dei cinque che formano il documento), per un totale di 27 numeri su 177, e di più o meno 3.101 parole su 19.070 circa. Insomma, poco meno di un sesto del documento sulla santità che non intende soffermarsi a «spiegare i mezzi di santificazione che già conosciamo» (GE 110) è votato a illustrare due eresie sorte nel primo millennio della storia cristiana.

Eresie antiche, prego, non vecchie

Poiché per studi e per indole, però, a quell’epoca e a quei temi ho dedicato non poche attenzioni, mi trovo contemporaneamente eccitato, oltre che stupito, da tanta attenzione prodigata loro dal Magistero ecclesiastico del XXI secolo. Il fatto è che pelagianesimo e gnosticismo sono eresie più antiche che vecchie, e il loro stesso sorgere in date molto remote dell’avventura cristiana – lungi dall’essere segno di vecchiume superato – è spia di arcaica vetustà, o se si preferisce di archetipica ciclicità. In altre parole, si tratta di errori che si ripropongono continuamente nella storia del cristianesimo (e perfino in quella del singolo cristiano!).


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Com’è possibile? Perché non si deve dire lo stesso – che so – dell’adozionismo, del patripassianesimo o di altre eresie antiche? A parte il fatto che, forse a livelli minori, anche queste eresie sopravvivono carsicamente nella coscienza collettiva cristiana… e in realtà non si sbaglierebbe a ritenere che tutte le eresie che sono esistite una volta potrebbero esistere ancora e in qualche misura sussistono sempre. L’arianesimo, in particolare, conosce nella nostra epoca un revival forse larvato (le discussioni teologiche sull’“Ingenerato” vanno poco di moda) ma sostanzialmente fervido, eppure a differenza di gnosticismo e pelagianesimo esso non raggiunge un livello di guardia, almeno a giudizio del Papa.



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Vorrei provare a spiegare qualche ragione di questa insistenza di Francesco, dopo che negli ultimi giorni in diversi amici (persone normalissime, eh, non studiosi di patristica) sono venuti a confrontarsi con me proprio su questo tema: se n’è parlato a cena, ci siamo raccontati storie, soprattutto ci siamo aperti e raccontati con una serenità che già da sé provava che l’eresia era messa in fuga.

Disambiguazione extra-accademica

Per addentrarci un poco nella materia, però, è necessaria una premessa: lo gnosticismo e il pelagianesimo di cui parla il Papa non sono, non tout court, identici agli omonimi movimenti ecclesiali-ereticali che rappresentarono le manifestazioni “classiche” di tali fenomeni. Essi sono piuttosto “stati dell’anima”, un po’ come Leopardi intendeva “classicismo” e “romanticismo”. Ciò per alcuni motivi che provo a elencare in modo estremamente sintetico:

  1. sia la categoria di gnosticismo sia quella di pelagianesimo sono designazioni sommarie di fenomeni già storicamente vasti e molto differenziati;
  2. a differenza di “gnosticismo” il nome di “pelagianesimo” è una nomenclatura dei moderni studiosi di eresie… all’epoca esistevano persone che si dicevano “gnostiche”, sì, ma nessuno si sarebbe mai detto “pelagiano”.

Oltre a questo, ci sono altri due motivi “accademici” per il quale mi verrebbe da storcere il naso riguardo a una troppo stretta e superficiale assimilazione tra le due eresie:

  1. l’avvio della crisi pelagiana è collocabile tra la seconda e la terza decade del V secolo, ed è un fenomeno quasi esclusivamente occidentale, mentre l’arcipelago gnostico costellò fin da subito l’ecumene cristiana, perlomeno dagli inizi del II secolo!, e si sviluppò in varie forme sia in Oriente sia in Occidente;
  2. il “pelagianesimo” volle precisamente reagire, nella propria epoca, ad alcuni strascichi delle dottrine gnostiche.

«Ma perch’io non proceda troppo chiuso» – avevo promesso che il discorso sarebbe stato semplice e coinvolgente… – cerchiamo ora di uscire dalle categorie accademiche, che risultano utili solo a chi non abbia bisogno di sentirsele illustrare, e cominciamo dal principio: che cos’è lo gnosticismo? Ovvero, e in via più interessante, quand’è che noi siamo gnostici?

«Io e te tre metri sopra il cielo»

Avete presenti quei momenti in cui pensate di essere speciali, di aver capito cose che nessuno ha capito (o pochi altri al massimo)? Vi è mai capitato di guardare l’umanità come si vedono i tettucci delle automobili bloccate nel traffico dall’alto di una moto da granturismo che ci fa lo slalom in mezzo? Ecco, precisamente quello stato d’animo è il cuore dell’eresia gnostica, che si rifà meno a una serie di dottrine che a qualcosa di contemporaneamente impalpabile e pressante… come un sentimento di superiorità. Voi mi direte: «Ma a cosa si deve, tale sentimento di superiorità? Non si motiva forse sulla base di conoscenze?». Sì, anche… ma vedete, la Gaudete et exsultate, che di questa intuizione di Papa Bergoglio rappresenta a oggi l’esposizione più evoluta e più raffinata, non se la sta prendendo con “un’eresia della conoscenza”, quasi che abbia di mira una recrudescenza del razionalismo ottocentesco. No. È vero, il Papa mette in guardia contro

una pericolosa confusione: credere che, poiché sappiamo qualcosa o possiamo spiegarlo con una certa logica, già siamo santi, perfetti, migliori della “massa ignorante”. San Giovanni Paolo II metteva in guardia quanti nella Chiesa hanno la possibilità di una formazione più elevata dalla tentazione di sviluppare «un certo sentimento di superiorità rispetto agli altri fedeli». In realtà, però, quello che crediamo di sapere dovrebbe sempre costituire una motivazione per meglio rispondere all’amore di Dio, perché «si impara per vivere: teologia e santità sono un binomio inscindibile».

GE 45

Ma il cuore dello gnosticismo è

un fascino ingannevole, perché l’equilibrio gnostico è formale e presume di essere asettico, e può assumere l’aspetto di una certa armonia o di un ordine che ingloba tutto.

GE 38

Subito dopo, infatti, Papa Francesco mette le mani avanti:

Facciamo però attenzione. Non mi riferisco ai razionalisti nemici della fede cristiana. Questo può accadere dentro la Chiesa, tanto tra i laici delle parrocchie quanto tra coloro che insegnano filosofia o teologia in centri di formazione. Perché è anche tipico degli gnostici credere che con le loro spiegazioni possono rendere perfettamente comprensibili tutta la fede e tutto il Vangelo. 

Il razionalismo è legato soprattutto alla conoscenza delle cose – ecco la grande differenza –, laddove lo gnosticismo ha il proprio marchio di fabbrica in una certa percezione di sé: non per nulla i grandi campioni del cattolicesimo contro le correnti gnostiche (penso anzitutto a Ireneo, a Tertulliano, a Origene…) distinguevano opportunamente tra “vera e falsa gnosi”, e in moltissimo accoglievano i contributi intellettuali degli gnostici, rigettandone in fondo tre cose:

  1. la presunzione di essere “sostanzialmente diversi” dagli altri uomini (anche dalla “massa dei fedeli”);
  2. la presunzione che da questa stessa diversità “del modo di essere” derivi invariabilmente e infallibilmente (cioè a prescindere dal modo in cui si vive) il proprio destino di salvezza eterna;
  3. la presunzione dell’immutabilità delle nature umane: gnostici si nasce, non si diventa – in altre parole, e pensando a quando ci siamo sentiti “superiori”, o sei uno che sta nella monovolume e quindi sei destinato a un’esistenza da imbottigliato nel traffico o nella tua anima ci sono sempre state due agili ruote destinate infallibilmente a distinguersi dalla massa.

In fondo, al cuore dello gnosticismo sta una profonda superbia spirituale

dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti.

GE 36 (che cita Evangelii Gaudium 94)

Gli gnostici di ogni epoca, cioè quelli immersi nello “gnosticismo” come stato del cuore,

concepiscono una mente senza incarnazione, incapace di toccare la carne sofferente di Cristo negli altri, ingessata in un’enciclopedia di astrazioni. Alla fine, disincarnando il mistero, preferiscono «un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo».

GE 37

Questa parola del Papa è terribilmente seria, e ciascuno dovrebbe esaminarsi attentamente alla sua luce (proprio perché c’è uno gnostico acquattato nel cuore di ogni cristiano). E Francesco difatti, conscio della sottile duttilità di questo inganno, esprime un passaggio di rara intensità spirituale:

In tal modo, forse senza accorgersene, questa ideologia si autoalimenta e diventa ancora più cieca. A volte diventa particolarmente ingannevole quando si traveste da spiritualità disincarnata. Infatti, lo gnosticismo «per sua propria natura vuole addomesticare il mistero», sia il mistero di Dio e della sua grazia, sia il mistero della vita degli altri.

GE 40

«Mangia, prega, ama» • «Immagina, puoi»

Esattamente all’opposto si collocano i pelagiani, acerrimi nemici di ogni ingiusto privilegio: se gli gnostici sono quelli che hanno ricevuto tutto in dono dalla sorte, i pelagiani sono quelli che vogliono sudarsi anche i regali. Anzi, i regali, in senso stretto la Grazia… semplicemente non esistono. La grazia di Dio – è la dottrina pelagiana classica – consiste in:

  1. avere una natura ordinata al bene e capace di intelletto e volontà;
  2. conoscere i comandamenti di Dio, grazie alla Rivelazione;
  3. avere in Cristo l’esempio supremo della Legge incarnata.

Insomma, il motto popolare degli gnostici – quello che ciascuno può facilmente rintracciare nel proprio cuore – era “perché noi siamo noi”; il motto popolare dei pelagiani suona piuttosto qualcosa come “se vuoi, puoi”.



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V’immaginate con agio dove vada a finire questa strada dorata dell’umana perfezione: se fai un peccato è perché non vuoi salvarti, e se non vuoi salvarti è giusto che tu bruci in eterno all’inferno. Il pelagianesimo assomiglia alle ideologie totalitarie nella pretesa di forgiare ex novo un’umanità perfetta: ogni totalitarismo, poi, ha i suoi inferni – si chiamino Lager o gulag – e sono sempre pieni da scoppiare. Molto opportunamente Papa Francesco ha citato Agostino, il “Dottore della Grazia”, per descrivere l’errore pelagiano ed esporne i limiti:

Quando alcuni di loro si rivolgono ai deboli dicendo che con la grazia di Dio tutto è possibile, in fondo sono soliti trasmettere l’idea che tutto si può fare con la volontà umana, come se essa fosse qualcosa di puro, perfetto, onnipotente, a cui si aggiunge la grazia. Si pretende di ignorare che «non tutti possono tutto» e che in questa vita le fragilità umane non sono guarite completamente e una volta per tutte dalla grazia. In qualsiasi caso, come insegnava sant’Agostino, Dio ti invita a fare quello che puoi e «a chiedere quello che non puoi»; o a dire umilmente al Signore: «Dammi quello che comandi e comandami quello che vuoi».

GE 49

E subito, da fine direttore spirituale ed esperto in umanità, il Papa spiega:

la mancanza di un riconoscimento sincero, sofferto e orante dei nostri limiti è ciò che impedisce alla grazia di agire meglio in noi, poiché non le lascia spazio per provocare quel bene possibile che si integra in un cammino sincero e reale di crescita. La grazia, proprio perché suppone la nostra natura, non ci rende di colpo superuomini. Pretenderlo sarebbe confidare troppo in noi stessi. In questo caso, dietro l’ortodossia, i nostri atteggiamenti possono non corrispondere a quello che affermiamo sulla necessità della grazia, e nei fatti finiamo per fidarci poco di essa. Infatti, se non riconosciamo la nostra realtà concreta e limitata, neppure potremo vedere i passi reali e possibili che il Signore ci chiede in ogni momento, dopo averci attratti e resi idonei col suo dono. La grazia agisce storicamente e, ordinariamente, ci prende e ci trasforma in modo progressivo. Perciò, se rifiutiamo questa modalità storica e progressiva, di fatto possiamo arrivare a negarla e bloccarla, anche se con le nostre parole la esaltiamo.

GE 50

Come leggevo in un trattato di storia del dogma: talvolta nelle chiese gli inni delle liturgie sono stati predestinazionisti (cioè tutti impegnati ad esaltare l’importanza della grazia, che ci precede al di là e al di qua di ogni merito) e le omelie invece risultavano pelagiane. E ormai dovrebbe essere chiaro in che senso. Perciò – poiché nel nostro cuore cristiano sta acquattato (anche) un pelagiano – mi piace molto questo passaggio ricapitolativo e attualizzante del Papa:

Ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo.

GE 57

Certo, il pelagianesimo storico non ha nulla a che vedere con l’esibizione di conquiste sociali e politiche, né con il feticismo liturgico né con l’attivismo sociale… però è chiaro che se lo gnosticismo ci attende al varco della nostra concezione di noi stessi possiamo sempre inciampare nel pelagianesimo ogni volta che spostiamo l’accento sulle opere, sulle cose da fare, sul “body building dello spirito”.



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E l’altra sera, parlando col mio amico Luciano, un ottimo fisico teorico poco avvezzo alla speculazione teologica, restavo stupito al vedere come dal racconto primario della sua esperienza religiosa sgorgasse la chiara distanza della vera fede dal pelagianesimo:

Io Cristo – mi diceva – lo incontro in mia moglie, nei miei figli… è come la presenza di papà al piano di sopra, che non scende neanche le scale per non disturbare ma io avverto la differenza tra quando c’è e quando non c’è… so che c’è anche se non lo vedo…

E io gli chiedevo un passo in più:

Va bene, ma questo può dirlo anche un pelagiano, paradossalmente. La differenza sta qui: Cristo sta sempre e solo davanti a te, come un modello, come un esempio?

E lui, senza neanche riprendere fiato:

No, che scherzi? Se non stesse anche dentro di me, nel mio desiderio… ma chi avrebbe la forza anche solo di volergli assomigliare, di volerlo seguire, di voler stare in sua compagnia?

Ecco: questa è l’essenza della fede cristiana – voler incontrare Cristo in tutto e insegnare agli altri a fare altrettanto, perché Egli è già dentro di noi e «suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni» (Fil 2, 13).

Il volere e l’operare: neanche un desiderio, in noi, precede la grazia di Dio, e per questo già il solo desiderio, quando è depurato da affezioni disordinate, è un sicuro «stairway to Heaven». Ma se tra il volere e l’operare c’è di mezzo anche più del mare (un mare di Grazia e di obbedienza cooperante), non tutto si risolve all’interno di questa polarizzazione: gnostici e pelagiani sono molto simili, nella loro diversità, e molto diversi nella loro somiglianza. Se mi fate passare la metafora, immaginatevi una classe scolastica: i figli di papà strafottenti e sicuri di passare l’anno in forza del loro solo cognome sono gli gnostici; i figli dei poveri convinti di doversi sudare tutto, nella vita, nonché strenui difensori dell’assoluta uguaglianza di classe, sono i pelagiani. Gli uni e gli altri rischiano di attraversare l’esperienza scolastica in modo refrattario, senza imparare alcunché della scuola, cioè di quello stare insieme che fa crescere «in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52). Qualcosa di simile accade nella Chiesa, tra gnostici e pelagiani.