Una giovane donna che si impegna, si trasferisce per gli studi, ottenuta la laurea inizia subito a lavorare; sposa il ragazzo di cui si innamora nel collegio universitario. Appena trasferitisi a Roma c’è ad accoglierli la triste sorpresa di quella diagnosi. Eppure lei…
“Sono una trentunenne piuttosto solare. Nata a Sora, Ciociaria operosa. A diciannove anni sono andata via da casa per andare a studiare a Torino, Politecnico. Sacrifico gli affetti, ma con grande orgoglio dei miei mi laureo. Inizio quasi immediatamente a lavorare, mi sposo con un ragazzo conosciuto nel collegio universitario… storie di altri tempi!
Lavoriamo entrambi e viaggiamo spesso, siamo così fortunati che riusciamo a trasferirci a Roma e… appena arrivati lì scopro di avere un tumore. La vita che sembrava sorridermi si ferma. “
Si apre così una lettera pubblicata sul blog di Concita de Gregorio ad ottobre scorso e che forse in tanti già abbiamo gustato.
E invece, leggendola per intero, scopriamo che stava solo prendendo la rincorsa, questa vita. No, un attimo. Troppo facile, digitando veloce sulla tastiera, dar seguito al pathos superficiale che trova una facile via d’uscita dalla sofferenza e dalla malattia col gran finale della forza ritrovata, della vita che diventa più vita.
Non tocca a nessuno se non ad Eleonora stessa cercare in questo fango, nelle angustie e in mezzo al guado della paura quella vera, quella scura scura, una qualche perla, se mai volesse offrircela.
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Basta avere la pazienza di scorrere le righe e ne troveremo ben più d’una di perle, in effetti.
Insieme ad un consiglio tra i più preziosi che si possano ottenere. Come si affrontano i problemi? In fila per uno e, se possibile, a pezzettini.
Sì perché quando scopre la malattia, incassato il colpo, poi decide saggiamente di curarsi e di farlo obbedendo ai medici. Esami diagnostici, prelievi, chemioterapie, interventi. E, racconta, non lo fa mai mettendo tutte queste cose insieme, aggiungendo peso a peso, fatica a fatica ed elevando alla massima potenza la paura. No, no, fa un’altra cosa. Davvero saggia e utile in ogni contesto, vita, giornata. Ci sono consulenti che si fanno pagare fior di quattrini per trasferire questo metodo di problem setting and problem solving (loro li chiamano così!).
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“Non metto mai tutti i problemi insieme nella stessa pentola, quelli passati presenti e futuri, anche immaginari o previsti. Non faccio il mischione, anzi, al contrario. La base di tutto è pensare una cosa alla volta, e quella cosa spezzettarla in tante parti così che devi affrontare un piccolo pezzo alla volta.
Non caricarli tutti insieme, non mescolarli. Quando facevo la chemio non pensavo all’operazione che mi aspettava, e che ho fatto a giugno. Pensavo alla chemio, e ogni giorno a come affrontare quel giorno. Volevano spiegarmi dell’operazione ma dicevo no, ora mi distrae, me la spiegate dopo.” (Invececoncita – blog)
Eleonora faceva così già da bambina. Se l’era trovata da sola questo metodo da problem solver!
Ecco, passata la chiemio arriva il momento di sapere che intervento affrontare e quali conseguenze porterà. L’utero? Me lo dovete togliere?
Sì, certo, è un organo fondamentale per me che sono donna, osserva. Ma per fortuna si può togliere! (ai figli penserà dopo la guarigione. Ci sono tanti modi di essere padre e madre, aggiunge).
Non male come esercitazione di reicorniciamento. Che forza, questa donna.
Ah, mi stavo dimenticando di dirvi un’altra cosa: quando racconta di come se la sta cavando in questa prova riferisce del sostegno commovente del marito che si manifesta in molti modi dei quali uno la colpisce particolarmente e vi assicuro che chi deve avere spesso a che fare con i servizi sanitari sa cosa significhi: lui, il marito innamorato della moglie innamorata e in questo momento ammalata, sbriga tutte le questioni burocratiche. Prenota controlli, produce carte, recupera documenti, attiva protocolli. Se fosse per me quest’opera meritevole andrebbe aggiunta all’elenco delle opere di misericordia, sia corporale che spirituale.
Diceva così Eleonora qualche riga più sopra:
“io non riuscivo a pensare alla burocrazia, i ricoveri, le carte. Lui si è sostituito a me in tutto, sollevandomi completamente. Può sembrare una sciocchezza ma vi assicuro che mi ha fatta sentire davvero sostenuta e amata, mi ha dato tanta forza”.
Infine, lo afferma lei e può farlo con autorità, ci ricorda di essere grati per la vita, per il fatto che è data ed è bella.
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“Volevo soltanto ricordare a tutti che la vita è bella, che aprire gli occhi ogni giorno non è scontato. Per favore: emozionatevi e lasciatevi coinvolgere… siate grati e felici per ciò che avete senza stare troppo a pensare a ciò che invece vi manca” (Ibidem)