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Il “mammone”, il “mammista” e la nullità matrimoniale

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Lucandrea Massaro - Aleteia Italia - pubblicato il 06/12/17
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Un rapporto non libero tra madre e figlio può inficiare una relazione e addirittura essere causa di nullità matrimonialeAl centro di un gran numero di matrimoni falliti, religiosi e non, c’è un rapporto non sano tra uno dei coniugi e la madre. Il più delle volte è il marito ad avere un attaccamento patologico con la madre, ed è certamente una immagine perfino stereotipata del tipico maschio italiano. Non mancano naturalmente anche le mogli e i padri a interferire nel sano sviluppo delle giovani coppie. . Secondo l’opinione della maggior parte degli avvocati matrimonialisti, l’intromissione delle suocere è responsabile del 30 per cento di tutte le separazioni, e il fenomeno è in crescita. Questo problema è riconosciuto anche dal Codice di Diritto Canonico tra le possibili cause che certificano la nullità del matrimonio.

Lo psichiatra e psicoterapeuta Giacomo Dacquino nel suo libro “Guarire l’amore. Strategie di speranza per la famiglia di oggi” (Edizioni San Paolo), possiamo sintetizzare le due figure in questo modo:

Il “mammone”

Il mammone rimane solo affettivamente e soprattutto è incapace di amare, poiché non allenato negli anni precedenti. Si tratta per lo più di un soggetto non seduttivo, la cui sessualità si è sempre e solo soddisfatta di autoerotismo. Spesso tale “figlio simbiotico di mamma”, sostiene Dacquino finisce nella depressione ed è compito della psicoterapia iniziare una nuova crescita psicoaffettiva.

…e il “mammista”?

Il mammista è invece quel figlio che, pur essendosi sposato, per ogni scelta e comportamento necessita, per la dipendenza patologica dai propri genitori o da uno di essi, della loro approvazione. Il padre o la madre diventano psicologicamente il vero coniuge, mentre il partner funziona solo da comparsa. Sono figli che, non avendo risolto il rapporto con un genitore, non possono stabilire un legame profondo con il partner, in quanto prolungano la relazione infantile con madre o padre anche dopo il matrimonio.



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Ma Aleteia ne ha parlato anche con Hector Franceschi ordinario di Diritto Matrimoniale Canonico presso la Pontificia Università della Santa Croce, di cui è anche Vice Rettore, e giudice del Tribunale di Prima Istanza del Vicariato di Roma.

“Come giudice” spiega Franceschi, “in più di un’occasione ho avuto a che fare con cause di nullità nelle quali, pur senza parlare esplicitamente di ‘mammismo‘, era in questione l’incapacità psichica: in quei casi, tramite anche la perizia di uno psichiatra o di uno psicologo, emergeva spesso non che c’era semplicemente una dipendenza troppo forte dalla madre, ma che quel mammismo patologico costituiva un vero e proprio disturbo di personalità. Spesso queste sono situazioni che gli psichiatri attribuiscono ad un periodo che risale alla prima adolescenza. In molti di questi casi quella dipendenza è quella che fa nascere un cosiddetto disturbo dipendente di personalità, e quindi una dipendenza psicologica dal padre o dalla madre”. Ma Franceschi sa che il tentativo di salvare il matrimonio va fatto, è uno dei compiti della Chiesa e dunque anche del Tribunale “Alle volte si vede che c’è un problema di comunicazione grave tra loro due, per l’ingerenza della madre, ecc. Allora è importante avere un buon consultorio familiare, indirizzare la coppia ad uno psicologo o a un consulente familiare perché possa essere aiutata a superare quello che rende difficile il dialogo coniugale”.  Tuttavia egli stesso riconosce che non sempre viene fatto dai tribunali e che la situazione può variare molto da paese a paese.

Una delle questioni centrali nel matrimonio cristiano è la libertà. Molto precocemente la Chiesa ha riconosciuto (almeno nella teoria) che alla base di questa scelta dovevano esserci due persone che in libertà si accostavano l’una all’altra.  Ad esempio, con il condannare perfino con pene gravi le influenze esterne che privano di questa libertà, come quei genitori che obbligano i figli a sposare una determinata persona. Questo capitava regolarmente fino a pochi secoli fa, ma ci sono culture nelle quali sono ancora i genitori a decidere chi debba sposare il proprio figlio o la propria figlia. La Chiesa ha sempre difeso la libertà del consenso, che è insostituibile. “Il diritto della Chiesa – riprende Franceschi – dice che il consenso non può essere supplito da nessuna potestà umana: né dalla Chiesa, né dai genitori, né dal gruppo culturale”. Ma ci sono diversi tipi di assenza di libertà, quand’è che questa è davvero assente? “Posso fare due esempi. Il primo è quello del timore grave, di qualcuno che è obbligato contro la sua volontà a dare il consenso, sotto minaccia; il secondo caso è quello dell’incapacità. Una persona che per un’anomalia psichica non ha la sufficiente libertà, non può essere se stessa mentre prende la decisione, ma è trascinata da un condizionamento patologico, o da una dipendenza patologica; se viene accertato dalla psicologo, allora questo fa dire alla Chiesa che non c’è stato matrimonio”.



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Per una dichiarazione di nullità – perché ricordiamolo sempre che non si tratta mai di annullare qualcosa che era valido, ma di dichiarare che quel matrimonio non è mai stato un matrimonio, cioè non era valido fin dall’inizio – le cause più frequenti riprende il professor Franceschi “penso siano da una parte quella che si chiama l’esclusione o la simulazione, cioè una persona che si sposa con la volontà positiva ad esempio di non avere figli. Allora il problema è nel fatto che questa persona sta escludendo qualcosa che è nell’essenza del matrimonio: ad esempio, l’esclusione della fedeltà“.

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